Faust, CG 4

Opera in cinque atti

Musica: Charles Gounod (1818 - 1893)
Testo: Jules Barbier e Michel Carré da Goethe

Ruoli:

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, triangolo, tamburo, grancassa, arpa, archi
Composizione: 1856 - 1859
Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre Lyrique, 19 marzo 1859
Edizione: Choudens, Parigi, 1859
Sinossi

Atto primo.
Chiuso nel suo laboratorio il vecchio dottor Faust si interroga sulla vanità delle sue ricerche ("Rien! En vain j'interroge"). Si odono dall'esterno canti che salutano la primavera e la resurrezione. L'eco gioiosa di tali voci getta Faust nella disperazione. Deciso a suicidarsi, invoca in un sussulto blasfemo il demonio. Appare Mefistofele che gli offre fortuna, gloria e potenza. Gli doni piuttosto la giovinezza, replica Faust: essa è un tesoro che contiene ogni cosa. Una piccola formalità e avrà ciò che chiede, risponde Mefistofele; si tratta di cedere l'anima per l'eternità. Davanti all'esitazione di Faust, Mefistofele fa apparire l'immagine meravigliosa di Margherita. Detto fatto, il vecchio dottore firma il patto e viene trasformato in un giovane elegantissimo pronto ai piaceri della vita ("A moi les plaisirs").

Atto secondo.
È la kermesse, un brulicare di popolo vociante. Valentino, in procinto di partire per la guerra, affida la sorella Margherita alle cure dell'amico Siebel; per se stesso non teme, sarà protetto dalla medaglia sacra che Margherita gli ha donato ("O sainte médaille"). Si unisce quindi ai compagni d'arme: ci sarà qualcuno che vorrà intonare una canzone lieta per scacciare la tristezza? Si offre Wagner ma è interrotto dall'arrivo di Mefistofele. Sarà il nuovo arrivato a cantare ("Le veau d'or"). Applaudito come cantante, Mefistofele si esibisce quindi come indovino: predice a Wagner la morte in battaglia, a Valentino la stessa sorte in duello, a Siebel che non potrà più toccare fiori senza che appassiscano. Alza quindi un brindisi «alla salute di Margherita». È veramente troppo per Valentino: estrae la spada ma gli si spezza in due. Che sia un sortilegio satanico? Meglio scacciare lo stregone con le spade messe a forma di croce ("De l'enfer qui vient"). Mefistofele si allontana imbattendosi in Faust. È tempo gli faccia incontrare Margherita, lo rimprovera il dottore. Solo un momento e la vedrà, ribatte Mefistofele. Ecco infatti la ragazza uscire dalla chiesa, mentre si scatena un valzer vorticoso ("Ainsi que la brise légère"). Mentre Mefistofele allontana Siebel, Faust può avvicinare Margherita che, con garbo respinge le profferte amorose del cavaliere ("Ne permettrez-vous"). A Faust, sempre più innamorato, Mefistofele promette il proprio aiuto.

Atto terzo.
In giardino sul retro della casa di Margherita, al crepuscolo. Giunge Siebel, che coglie fiori per Margherita ("Faites-lui mes aveux"). Non fa a tempo a toccarli, però, che avvizziscono. Bagna allora la mano con l'acqua benedetta e il sortilegio svanisce. Raggiante, depone i fiori sulla soglia, mentre entrano Faust e Mefistofele. Faust è rapito dall'incanto del luogo ("Salut, demeure chaste et pure"), vorrebbe fuggire ma Mefistofele lo richiama all'ordine e depone un cofanetto di gioielli di fianco ai fiori di Siebel. Ecco giungere Margherita, assorta nell'immagine del giovane incontrato la mattina ("Je voudrais bien savoir"); si pone all'arcolaio e canta la ballata del re di Thulé ("Il était un roi de Thulé"). D'un tratto si accorge dei fiori e del cofanetto, e non resiste alla tentazione di indossare i gioielli ("Ah, je ris de me voir"). Entra la vecchia Marta. Tutto quello che vede le sembra il dono di un ricco innamorato e se ne compiace con Margherita. Si fanno avanti Faust e Mefistofele. Quest'ultimo annuncia a Marta la morte del marito e inizia, subito dopo, a corteggiarla. La vecchia si consola in fretta della vedovanza e passeggia compiacente con Mefistofele. Faust può così stringere d'assedio Margherita, che questa volta lo ricambia ("Il se fait tard"); si rifugia però in casa quando la corte diviene troppo pressante. Faust vorrebbe fuggire, felice del momento vissuto, ma Mefistofele lo trattiene: non gli interessa ascoltare ciò che Margherita confesserà alle stelle? Ecco infatti la ragazza affacciarsi alla finestra e, credendosi sola, dichiarare tutto il proprio amore. Faust allora, travolto dalla passione, si palesa a Margherita che gli si abbandona fra la braccia tra le risate sardoniche di Mefistofele.

Atto quarto.
Sedotta e abbandonata da Faust, Margherita è fuggita e schernita da tutti; solo Siebel le è rimasto fedele. Intenzionata a cercare conforto in Dio entra in una chiesa ma è tormentata da Mefistofele, che le ricorda il passato e le preannuncia la dannazione ("Seigneur, daignez permettre"). Tornano i soldati dalla guerra ("Gloire immortelle de nos aieux"); tra loro è Valentino che non tarda ad apprendere da Siebel ciò che è successo. Entrano Faust e Mefistofele: il primo vuol rivedere Margherita, il secondo allora, per farla affacciare, le intona una serenata offensiva ("Vous qui faites l'endormie"). Giunge furibondo Valentino che sfida Faust a duello, ma è una lotta impari; il dottore, aiutato magicamente da Mefistofele, ferisce l'uomo che cade a terra moribondo. Mentre i due fuggono ecco accorrere Marta, Margherita e un gruppo di borghesi. Prima di spirare, Valentino maledice la sorella ("Écoute moi bien, Marguerite").

Atto quinto.
Mefistofele conduce Faust nel suo regno, le montagne dello Harz. È la notte di Valpurga. A un cenno di Mefistofele il paesaggio sinistro si muta in un palazzo meraviglioso: le regine e le celebri cortigiane dell'antichità si offriranno a Faust per ottenebrare il ricordo del passato. Ma ecco apparirgli d'improvviso la visione di Margherita, il collo cerchiato di sangue. Turbato, Faust ordina a Mefistofele di condurlo da lei. Margherita langue in prigione: presa dalla disperazione ha ucciso il figlio avuto da Faust e deve essere giustiziata all'alba. Giunge Faust; Margherita, fuori di sé, lo abbraccia e rievoca il passato ("Oui, c'est toi, je t'aime"). Inutilmente Faust cerca di riportarla alla ragione e convincerla a fuggire. Quando Margherita si avvede della presenza di Mefistofele, invoca le potenze celesti, respinge Faust e cade a terra morta. «Dannata» grida Mefistofele, «Salvata» canta un coro celeste, che chiude l'opera inneggiando alla resurrezione.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Fu leggendo la straordinaria traduzione francese di Gérard de Nerval che nacque in un Gounod ventenne il primo desiderio di musicare Faust. Vinto il Prix de Rome nel 1839, non mancò di portare con sé, durante il soggiorno a Villa Medici, il poema goethiano. «Il Faust non mi abbandonava un solo istante, lo portavo sempre con me e abbozzavo qua e là qualche motivo per servirmene il giorno in cui mi fossi deciso a scrivere l'opera», troviamo scritto nella sua autobiografia. Una gita a Capri fa scaturire, durante una passeggiata notturna sugli scogli, le prime suggestioni musicali della notte di Valpurga. Il Dies irae di un Requiem del 1842 contiene invece il tema dell'agonia di Margherita. Sono anni che vedono il progressivo arricchirsi del laboratorio faustiano di Gounod. L'esecuzione de La damnation de Faust di Berlioz nel 1846 lo vede spettatore interessato, così come la rappresentazione, nell'agosto 1850, del dramma Faust et Marguerite di Michel Carré con musiche di Couder. Frattanto ha già in tasca un contratto per il debutto all'Opéra con Sapho (1851), cui segue la truculenta La nonne sanglante (1854). Il Faust è però sempre nel suo cuore. A Carvalho, il fondatore del Théâtre Lyrique, che gli chiede di comporre un'opera tratta dal poema di Goethe risponde: «Un Faust! Ma lo sto preparando da anni». Il librettista designato è Jules Barbier, che già aveva offerto il soggetto a Meyerbeer ottenendone un rifiuto. A Gounod, per contro, la cosa non par vera e si butta a capofitto nel lavoro. La rappresentazione del Faust di Goethe con musiche di Emery in un teatro parigino convince però Carvalho a temporeggiare: meglio far rappresentare un'altra opera, magari comica. Ed è la volta di Le médicin malgré lui (gennaio 1858), che il docile Gounod compone su libretto di Barbier e Carré tratto da Molière. Archiviata con un grande trionfo quest'ultima esperienza, si torna a Faust. Jules Barbier, nell'adattare il libretto alle esigenze di Gounod, compie una serie di scelte che fanno perdere al testo ricchezza e profondità, assicurandogli però una grande efficacia scenica. Ecco quindi l'attenzione concentrata sulla vicenda amorosa di Faust e Margherita, come già nel dramma di Carré; eliminate le presenze sovrannaturali, con l'eccezione di Mefistofele; sintetizzate le scene alle porte della città, nella cantina di Auerbach e nella strada dove Faust incontra Margherita, in un quadro unico: la kermesse. Stessa sorte per la stanza di Margherita e il giardino di Marta; creato di bel nuovo il personaggio en travesti di Siebel; semplificata la formidabile complessità della figura faustiana ai minimi termini di un anelito sentimentale diffuso e generico. Volendo inserire nell'atto terzo la chanson du Roi de Thulé contenuta nel Faust et Marguerite di Carré, Barbier chiede e ottiene da questi il permesso; basta ciò, in aggiunta al testo scritto per la chanson du veau d'or di Mefistofele, per accreditare Carré quale coautore di un libretto opera in pratica tutta dell'amico.

Simbolo dell'opera francese per generazioni di spettatori, Faust rappresenta anche uno dei più formidabili successi nella storia del teatro lirico. Un successo nato dapprima in sordina al Théâtre Lyrique, quando l'opera aveva ancora la forma di opéra-comique, con i dialoghi parlati; propagatosi poi, lento ma inesorabile, scandito sui trionfi dei vari debutti internazionali. Il primo a Strasburgo nel 1860, con l'inserzione dei recitativi cantati; altra tappa importante fu il debutto alla Scala nel 1862, con la traduzione italiana di De Lauzières: una versione che dominò le scene del mondo intero per decenni. Il debutto londinese del 1863 apportò invece l'aggiunta dell'aria di Valentino "Avant de quitter ces lieux", scritta per il celeberrimo Charles Santley. Il sospirato debutto all'Opéra avvenne, trionfale, il 3 marzo 1869 e obbligò Gounod ad aggiungere il balletto: sette episodi inseriti a continuazione del quadro della notte di Valpurga. Tanto luminoso e in ascesa fu il cammino dell'opera, tanto fu travagliata la storia della sua forma definitiva. Una storia ricca di tagli, aggiunte, sostituzioni, spostamenti di episodi, su cui non si è ancora giunti a far luce del tutto, anche a causa della gelosissima custodia che gli eredi di Gounod esercitano sui manoscritti autografi. Nonostante il suo fascino sia apparso negli ultimi decenni lievemente fané, Faust rimane opera ricca di pagine meritatamente celeberrime, pervase da un'infallibilità di pronuncia che ha sovente del miracoloso. Ecco una rapida rassegna dei luoghi memorabili che hanno fatto la leggenda dell'opera gounodiana. Anzitutto il preludio, che accosta felicemente la severità contrappuntistica della prima parte alla cantabilità spiegata della seconda. Trascinante, al termine del primo atto, l'allure del duetto "A moi les plaisirs", ricco di spunti da opéra-comique. Nel secondo atto, accanto alla vivacità chiassosa della kermesse, si segnalano il rapinoso valzer corale "Ainsi que la brise légère", l'aria di Valentino "Avant de quitter ces lieux" (sul tema cantabile del preludio) e l'orgiastica "Le veau d'or" di Mefistofele; un cenno d'obbligo anche per la dichiarazione d'amore di Faust a Margherita "Ne permettrez-vous", d'uno charme squisito. Il terzo atto è ricchissimo di prelibatezze. Si passa dall'elegante strofa di Siebel "Faites-lui mes aveux", alla celeberrima aria di Faust "Salut, demeure", cavallo di battaglia di generazioni di tenori, brano di scrittura elegante e di melodia irresistibile. Altro cavallo di battaglia, dei soprani stavolta, è l'aria di Margherita "Je voudrais bien savoir", che unisce la malinconia venata di inflessioni modali della ballata del re Thulé allo slancio travolgente, virtuosistico del valzer successivo. Degno culmine dell'atto, il duetto tra Faust e Marguerite "Il se fait tard", che contiene alcune delle melodie più seducenti e famose del melodramma ottocentesco. Nel quarto atto spicca soprattutto la drammaticità sinistra della scena della chiesa, con i tortuosi cromatismi dell'organo, il canto disperato di Margherita, quello inflessibile di Mefistofele e i rabbrividenti interventi corali di demoni e fedeli. Gran celebrità ha arriso al coro di soldati "Gloire immortelle" di effetto infallibile così come alla serenata beffarda che Mefistofele canta a Margherita "Vous qui faites l'endormie". Nel quinto atto, segnalato il suggestivo esordio dalla notte di Valpurga, di sapore mendelssohniano "Dans les bruyeres", l'attenzione si sposta sul quadro finale. Dopo il rimarchevole preludio, ecco la toccante intensità espressiva del duetto iniziale "Oui, c'est toi!" nel quale idee nuove e altre già udite vengono utilizzate con indubbia efficacia. Trascinante infine il terzetto finale seguito dal coro celeste, degna chiusura dell'opera all'insegna dell'opulenza sonora. Opera simbolo si è detto, riuscita commistione tra i fasti spettacolari del grand-opéra e un intimismo lirico personalissimo, Faust porta alla ribalta un linguaggio melodico e armonico che andrà lontano, influenzando sensibilmente la musica francese posteriore. Il debito di riconoscenza verso Gounod sarà ammesso dai suoi più illustri successori da Saint-Saëns a Debussy a Ravel, che di lui scrisse: «Riscoprì il segreto della sensualità armonica, andato perduto dopo i clavicembalisti francesi del diciassettesimo e diciottesimo secolo».

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nella ricerca del proprio esauriente nome, l'uomo europeo d'avanti Cristo si chiama Prometeo, Orfeo, Acliille, Edipo, Ercole, Ulisse, Enea, Sigurd: uomo in urto con un ordine sovrumano sotto il cui inesorabile mistero soccombe, se per tremenda umilmente accettata esperienza (Edipo, e anche Prometeo), o per provvide lunghe temerarie fatiche senza requie (Ercole), o per obbediente, ascolto alla voce del mistero (Enea il pio), o per eroica nostalgia dei quieti limiti umani al di là d ogni anelito ad ulteriore conoscenza (Ulisse), non abbia in fine salvezza e pace.

Ritorna, più analiticamente concreta e innestata nella storia, dopo la redentrice Incarnazione divina, tale ricerca; i nomi dell'uomo sono allora Rolando, Parsifal, Tristano, Amleto, Lear, Don Giovanni, Don Chisciotte, ed uno dei nomi antichi, Ulisse, in aspetto opposto a quell'originario riappare: entro l'orbita della Redenzione i primi due, tragicamente ai margini o fuori di essa gli altri. Nei giorni più oscuramente complessi del fermento eretico luterano, da un personaggio esistito, il dottor Giovanni Faust nativo di Knittlingen, mago-filosofo teologo alchimista, in relazione con Melantone che lo definisce «turpissima bestia, cloaca multorum diabolorum», un novissimo nome si forma, dove dei precedenti risuonano palesi o segreti, anche lontanissimi, echi. Si compongono su questo nome, tra la fine dal 5oo e del 600, i testi della prima Istoria o Faustbuch, di Spiesz, della Veridica Istoria di Widman, del Faust del Benpensante Cristiano, e di quello di Pfitzer, dai quali derivano i vari spettacoli popolari anche per teatro di marionette, su sfondo cattolico, e quindi la Tragical history of Doktor Faust di Mariowe, El magico prodigioso di Calderon; più tardi, una sorta di sommario polemico della leggenda,di Kirchner, e un romanzo di Klinger. Tutte concezioni a soluzione pessimistica, dannazione di Faust; Lessing, intorno alla metà del 700, ne interpreta la leggenda secondo un finale catartico: salvazione di Faust.

Su tale fondamento costruisce - lavoro d'oltre mezzo secolo - Goethe il suo poema: dove il dramma di Faust è profondamente incluso nell'orbita di due elementi letterari non europei: la scommessa biblica fra Dio e Satana per provare Giobbe, e la parabola del Figliuol Prodigo; così col Prologo in cielo si apre e nei canti del Paradiso si conclude l'opera goetbiana. Accanto e dopo, un rifluire alla originaria concezione pessimistica nei testi di Müller, Grabbe, Lenau, Lenz, Puskin, Heine, Vischer.

Nella prima metà dell'8oo il mito di Faust (hanno un inesauribile spirito musicale tutti gli «assoluti» della poesia) subito comincia ad aprire nella musica la sua voce: con un singspiel di Ign. Walter, con musiche di scena di A. H. Radzwill, con. l'opera di Spohr e di Peellaert, con l'ouverture di Lindpalter, con i sette pezzi sinfonici e l'ouverture di Wagner (l832~l853), con La dannazione di Faust di Berlioz su testo in parte della versione di G. de Nerval (1829), con le Scene dì Faust - soli, coro e orchestra - di Schumann, con la Sinfonia Faust - orchestra, tenore e coro maschile - di Liszt; col melodramma di Gounod s'apre il nuovo ciclo musicale faustiano, che comprende Il piccolo Faust, parodia di Hervé e Crémieux, la Sinfonia Faust di A. Rubinstem, il dramma lirico di Lassen, le musiche di scena di M. Zenger e di W. Fritze, quelle del Don Juan und Faust di Grabbe, con un Preludio e fuga di Moszkowshy; altre musiche di scena, di Bungert, di Weingartner, di Albrecht, di Reichwein, anche per la trilogia di Tournemire, Faust, Don Chisciotte, S, Francesco.

In Italia, dopo il Mefistofele di Boito, su libretto-sintesi dell'intero poema goetlnano (1865-75). Il Dott. Faust di Busoni (1924) molto originale interpretazione poetica della primitiva leggenda.

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Faust, «opera dialogué» in 5 atti, su libretto di J. Barbier e M. Carré, rappresentata la prima volta al Teatro Lirico di Parigi- il 19 marzo i859, ripresa all'Opera, con recitativo in luogo del parlato e con balletto, il 3 marzo del '69, è la quinta opera teatrale di Carlo Gounod, autore della Saffo, de Le bourgeois gentilhomme - da Moliére -, dell'Ulisse, de La nonne sanglante, Filemone e Bauci, La regina di Saba, Mirella, La Colomba, Romeo e Giulietta, Le due regine di Francia, Giovanna d Arco, Cinque marzo, Poliuto, Il tributo di Zamora, I drammi sacri, Ivan il terribile, opera non finita e distrutta, Georges Dandin, opera comica inedita, Maestro Pietro, opera incompiuta.

Gounod comincia a Roma la lettura del Faust di Goethe, assieme a quella delle poesie di Lamartine.

Bellaigue giudica quest'opera la più originale del teatro lirico francese nella seconda metà del secolo scorso, e segno d'un ritorno all'interiorità dell'arte.

In contrasto con l'arte di Auber e di Meyerbeer qui si riafferma, attraverso Mendelssohn e Mozart, lo spirito di Boieldieu; pure quello di Bach, nelle prime pagine dell'opera, per un evidente esperienza polifonica, è presente.

Nella sua euritmica grazia s'apre dalle serrate severe armonie del preludio la prima melodia, di tenera nobile liricità tipicamente goudodiana: uno sviluppo, - commenta il citato critico - uno schiudersi di luce, di calore e di forza, che suscita un'impressione vivissima di sentimento, di passione. L'accompagnamento a terzine ribattute può ricordare l'adagio dolente della sonata beethovemana op. 110, il rimprovero del Profeta a Gerusalemme nel Paulus di Mendelssohn, e di Gounod stesso la prima parte del duetto nuziale di Romeo e Giulietta, il cantico finale di Gallia, il Judex di Mors et vita; su ugnale ritmo si modella nel Parsifal di Wagner il canto dei fanciulli nella cupola.

Sui primi ed ultimi accordi dell'ouverture di Mendelssohn pel Sogno d'una notte di mezz'estate appare a Faust Margherita.

In profonda concordanza con la parola si delinea dopo il valzer la frase melodica «Non permettereste, mia bella damigella» in due periodi intimamente fusi nei minimi accenti particolari, nelle più lievi inflessioni. Nella cavatina di Faust, il valore della parte centrale fra l'esposizione del tema e la ripresa, è un segno della purezza e sostenutezza dell'invenzione; la frase «Salve, dimora casta e pura» pare adatta allo spunto dell'adagio nel Concerto in do minore per pianoforte di Beethoven. Altro analogo segno la melodia sulle parole «Lasciami contemplare il viso tuo», d'una delicatezza di profilo nelle linee che salgono e scendono per periodi liberamente simmetrici in alternative di sonorità e di silenzio, di pieno e di vuoto, su proporzioni di saldo equilibrio ritmicamente armonioso nello spazio e nella durata. Per quattro battute centrali in questo duetto, gli accordi squisitamente cromatici e come graduati sostengono la parola «eterna» due volte ripetuta, lungamente librata fino all'ardente invocazione che sale - «Notte d amore, radioso cielo» - da tale mistero d'armonie, in una nuova appassionata quiete di contemplazione.

Nei momenti discorsivi, come il quartetto nel giardino, s'insinua ancora lo spirito melodico ad animarne il dettaglio più segreto: l'orchestra accompagna, completa, interrompe o conclude le frasi del quartetto vocale per domande e risposte volta a volta tenere e spiritose nell'assidua eleganza ed espressività, in un lineamento canoro che si risolve in discorso e discorso che si manifesta canto. Canta Margherita alla finestra: «Tutte in coro mi ripetono le voci della natura: Ei t'ama», e queste voci suonano nell'orchestra, volta a volta ciascuna - oboe, corno inglese, violoncello - concorde ed uguale alla voce di lei. Similmente è palese il rapporto fra canto e discorso, recitativo e melodia, nell'entrata della fanciulla tradita e pentita in chiesa, in una scena musicalmente drammatica e religiosa. È nella frase di Margherita, interrotta e ritardata da poche intense note d'orchestra, «Mio fratello è soldato, la mia madre ho perduta», che la sua realtà spirituale, il suo destino, s'illumina; e sono, avanti l'episodio nel giardino, teneri malinconici ritornelli, furtivi pizzicati su di uno sfondo cupo e dolce, ardenti e dolorose repliche di violini, ad esprimere dell'asilo della fanciulla, ancor puro e già minacciato, il mistero, la solitudine, la pace. Si profila quindi, lontana e prossima, la minaccia, all'entrata di lei, in quella quinta ostinata cui s'aggiunge subito una nona a formare uno strano accordo sul quale inquiete coppie di note passano e tornano, a preparare l'inizio del recitativo quasi salmodico, «Come vorrei saper del giovin che ho incontrato», con le cangianti armonie sotto l'uguale ripetuta nota pensosa.

Dopo il severo preludio d'organo, sulla soglia della chiesa, la sedotta prega Iddio di lasciarla inginocchiare davanti a Lui, in un recitativo senza accompagnamento, d'una puntuale flessibilità espressiva, a dire l'umile irrimediabile tristezza d'un lento profondo cadere, la prostrazione di tutto l'essere sotto un oscuro peso, il suo annullarsi davanti all'Eterno.

Nella scena della prigione, alle parole che Margherita rivolge a Faust contro Mefistofele, affiora la reminiscenza beethoveniana dell'andante della Quinta sinfonia.

Ridotto all'originario episodio di Margherita (La tragedia di M.) quale nell'Urfaust il duplice poema goethiano, l'opera di Gounod ne esprime musicalmente il mistero così da suscitare il presentimento che al di là di quell'episodio un multiplo universo di poesia urge nel suo colmo spesso silenzio e in ultimo sull'invenzione musicale pesa e la oscura. Ma come l'autore stesso ne ha coscienza e dà notizia, dopo una rappresentazione dell'opera ad Hannover nel 1862 - «Il re mi ha molto ringraziato d'aver scritto Faust, dicendomi che mai avrebbe pensato che un francese potesse fino a tal segno penetrare nello spirito e nella concezione di Goethe» -, appunto il primo germe dell'idea goethiana, definito in una triste avventura d'amore e di morte, quasi banale in contrasto con l'inizio dell'azione (monologo notturno di Faust) e con l'evocato elemento soprannaturale (Mefistofele), è qui tutto investito dalla musica e scavato nella sua umanità eterna. Così Faust che nell'anteriore Dannazione berlioziana appare, goethianamente - anzi marlowianamente - il protagonista, quale l'Uomo nel suo rapporto col proprio intimo mistero e con quello che lo trascende, in quest'opera del «pio» compositore francese dell'800 si riduce a necessaria figura occasionale nel dramma di Margherita, della Donna nella sua ignara indifesa fiduciosa innocenza devota, e pure nella sua occasionalità avvolto in un arcano nimbo, che alla musica resta marginale, ma da cui la preminenza drammatica della donna è novamente, essenzialmente, superata.

Augusto Hermet


(1) Testo tratto dal Dizionario dell'Opera 2008, a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi Dalai editore, Firenze
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 30 dicembre 1948


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Ultimo aggiornamento 21 marzo 2020