Anche Charles Gounod, pur essendo autore del tuttora vivo e vegeto Faust, ha avuto nel nostro secolo la sua brava riconsiderazione che lo pone senz'altro - lo si legge in autorevoli testi francesi - a capo della scuola francese, ispiratore di Bizet e di Fauré, e, con le penombre e le mezze tinte del suo strumentale, iniziatore di quel gusto coloristico che alimenterà poi l'impressionismo. In verità, nel mondo operistico francese del grand-opéra egli immise qualcosa della cultura musicale europea.
Uscito infatti dai severi studi contrappuntistici al Conservatorio secondo l'istruzione cherubiniana e venuto a Roma, Gounod vi scopriva per proprio conto Palestrina; inoltre conosceva a fondo Bach, idolatrava Mozart, prendeva a modello i grandi romantici tedeschi, particolarmente Mendelssohn, dal quale - secondo Debussy - imitava «cette facon de développer en étagère, si commode quand on n'ést pas en train». Da tali esperienze e consuetudini derivarono in lui oltre che la nobiltà melodica (la melodia di Gounod è casta e sensuale ad un tempo, com'è stato ripetuto dai suoi commentatori), l'eleganza e la proprietà dello strumentale e dell'armonia. Prerogative che si riscontrano nelle famose romanze, nelle opere sceniche, meno nella vastissima produzione religiosa (spesso tiepida e dolciastra nell'ispirazione tanto che l'Huysmans ne dette un giudizio feroce: «des fonts à l'eau de bidet»). Esempi di buona fattura sono anche i suoi tre Quartetti, pubblicati postumi e divulgati secondo quella globale riconsiderazione in atto della musica di Gounod la quale, per concludere con una felice metafora di Massimo Mila, possiede, anche in questo secondo Quartetto e particolarmente nel cantabile e un po' salottiero Allegretto quasi moderato, «qualcosa di fluente e ben ravviato che ricorda singolarmente la sua candida barba ben tenuta, spartita in due attorno al mento».
Giorgio Graziosi