Amadigi di Gaula, HWV 11

Opera seria in tre atti

Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
Testo: Giacomo Rossi o Nicola Fr. Haym, da Amadis de Grèce di Antoine Houdar de la Motte

Ruoli: Organico: 2 flauti, 2 oboi, fagotto, tromba, 3 violini, viola, basso continuo
Composizione: 1715
Prima rappresentazione: Londra, King's Theatre, 25 maggio 1715
Edizione: J. Walsh, Londra, 1732
Struttura musicale

Ouverture - Largo (do minore). Allegro (sol minore). Largo (do minore) - 2 oboi, fagotto, 2 violini, viola, basso continuo
Gavotta - Allegro (do minore) - 2 oboi, fagotto, 2 violini, viola, basso continuo
Atto I:
Scena I:
Or che di negro ammanto - Recitativo per Amadigi, Dardano e basso continuo
  1. Pugnerò contro del fato - Presto (sol minore) - Aria per Dardano, 2 violini e basso continuo
Scena II:
  1. Oh notte! oh cara notte - Recitativo accompagnato per Amadigi, 2 violini. viola e basso continuo
  2. Notte amica dei riposi - Largo (sol minore). Allegro (fa maggiore - sol minore) - Aria per Amadigi, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
    Ch'impedito è ogni passo - Recitativo per Amadigi e basso continuo
Scena III:
E tu cerchi fuggir? - Recitativo per Melissa, Amadigi e basso continuo
  1. Non sa temere questo mio petto - Allegro (si bemolle maggiore) - Aria per Amadigi, 2 oboi, 2 violini e basso continuo
Scena IV:
Il crudel m'abbandona, e mi detesta - Recitativo per Melissa e basso continuo
  1. Ah! spietato! - Largo (mi minore). Allegro - Aria per Melissa 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
Scena V:
Risveglian queste fiamme - Recitativo per Amadigi, Dardano e basso continuo
  1. Vado, corro al mio tesoro - Allegro (si bemolle maggiore) - Aria per Amadigi, 2 violini e basso continuo
Scena VI:
Deh! ferma, oh Dio! - Recitativo per Dardano e basso continuo
  1. Agitato il cor mi sento - Allegro (sol Minore) - Aria per Dardano, 2 oboi, 2 violini e basso continuo
  2. Sinfonia - Largo (fa magiore). Allegro - 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
Scena VII:
Cieli, che fia? - Reciativo per Oriana, Amadigi e basso continuo
  1. Gioie, venite in sen - Larghetto (mi bemolle maggiore) - Aria (Siciliana) per Oriana, 2 violini, viola e basso continuo
    In questo istante io provo - Recitativo per Amadigi, Oriana e basso continuo
  2. È si dolce il mio contento - Allegro (la maggiore) - Aria per Amadigi, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
    Andiamo ora, mio ben - Recitativo per Oriana, Amadigi e basso continuo
  3. Oh caro mio tesor, deh! presto torna a me - Largo e staccato (si bemolle maggiore) - Aria per Oriana, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
Scena VIII:
Cieli! Numi! che miro? - Reciativo per Amadigi, Dardano, Melissa e basso continuo
  1. Io godo, scherzo e rido - Allegro (si bemolle maggiore) - Aria per Melissa, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
Scena IX:
Ferma, deh! ferma, oh Dio! - Recitativo per Amadigi e basso continuo
  1. O rendetemi il mio bene - Largo e staccato (sol minore) - Aria per Amadigi, 2 violini e basso continuo

Atto II:
Scena I:
Io ramingo men vado - Recitativo per Amadigi e basso continuo
  1. Sussurrate, onde vezzose - Largo (fa maggiore) - Aria per Amadigi, 2 flauti dolci, 2 violini, viola e basso continuo
    Numi! che veggio? io manco - Recitativo per Amadigi e basso continuo
Scena II:
Svenne Amadigi - Recitativo per Melissa e basso continuo
Scena III:
Cieli! che sara mai? - Recitativo per Oriana e basso continuo
  1. S'estinto è l'idol mio - Largo (fa minore) - Aria per Oriana, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
    Ma, qual scampo al mio affanno? - Recitativo per Oriana, Amadigi e basso continuo
  2. T'amai, quant'il mio cor gia seppe amarti - Adagio (fa maggiore). Presto - Aria per Amadigi, 2 violini, viola e basso continuo
    Chi mai creduto avria - Recitativo per Oriana, Amadigi e basso continuo
  3. Ti pentirai, crudel, d'avermi offesa - Allegro (do minore) - Aria per Oriana, 2 oboi, 2 violini e basso continuo
Scena IV:
Dunque colei, da cui speravo ogni conforto - Recitativo per Amadigi, Melissa e basso continuo
  1. Crudel, tu non farai - Allegro (si bemolle maggiore) - Duetto per Melissa, Amadigi, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
Scena V:
D'un sventurato amante - Recitativo per Dardano e basso continuo
  1. Pena tiranna io sento al core - (fa maggiore) - Aria per Dardano, 2 oboi, fagotto, 3 violini, viola e basso continuo
Scena VI:
Arresta, oh Prence! - Recitativo per Melissa, Dardano e basso continuo
  1. Se tu brami di godere - Allegro (re minore) - Aria per Melissa. 2 oboi, 2 violini e basso continuo
Scena VII:
Ma, se questo non basta - Recitativo per Dardano e basso continuo
Scena VIII:
Amadigi, mio ben! - Recitativo per Oriana, Dardano e basso continuo
  1. Tu mia speranza, tu mio conforto - Allegro (la maggiore) - Aria per Dardano, 2 violini, viola e basso continuo
Ma qui il rival! - Recitativo per Dardano, Oriana e basso continuo
Scena IX:
Cieli! Numi! soccorso - Recitativo per Melissa, Oriana e basso continuo
  1. Ch'io lasci mai d'amare - Allegro (la maggiore) - Aria per Oriana, 2 violini, viola e basso continuo
Scena X:
Mi deride l'amante - Recitativo per Melissa e basso continuo
  1. Desterò dall'empia Dite - Allegro (re maggiore) - Aria per Melissa, 2 oboi, tromba, 2 violini, viola e basso continuo

Atto III:
Scena I:
Dove mi guida - Recitativo per Oriana e basso continuo
  1. Dolce vita del mio petto - Largo (la minore) - Aria per Oriana, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
Scena II:
Sento, né so che sia - Recitativo per Melissa e basso continuo
  1. Vanne lungi dal mio petto - Presto (si bemolle maggiore) - Aria per Melissa, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
Scena III:
Se t'offese Oriana - Recitativo per Oriana, Amadigi e basso continuo
  1. Cangia al fine il tuo rigore - Larghetto (sol minore) - Duetto per Oriana, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
No, no! ho gia risolto - Recitativo per Melissa e basso continuo
Scena IV:
  1. Han penetrato i detti tuoi l'inferno - Adagio e staccato (mi minore) - Recitativo accompagnato per Dardano, 2 violini, viola e basso continuo
Scena V:
Cieli! ingiusti e inclementi! - Recitativo per Melissa, Amadigi e basso continuo
  1. Addio, crudo Amadigi! - Largo (si bemolle maggiore) - Recitativo accompagnato per Melissa, 2 violini, viola e basso continuo
Che orrore! - Recitativo per Oriana, Amadigi e basso continuo
  1. Sinfonia - Allegro (re maggiore) - tromba, 2 violini, viola e basso continuo
Scena VI:
Son finiti i tormenti - Recitativo per Orgando, Amadigi, Oriana e basso continuo
  1. Sento la gioia, ch'in sen mi brilla - Allegro (re maggiore) - Aria per Amadigi, oboe, tromba, 2 violini, viola e basso continuo
Godete omai felici - Recitativo per Orgando e basso continuo
  1. Godete, oh cori amanti - Allegro (sol minore) - Coro per Oriana, Amadagi, coro misto, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
  2. Balletto - Allegro (sol minore). Trio. Allegro - 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo (Trio: 2 oboi e fagotto)

Sinossi

Atto I
Amadigi, paladino, e Dardano, principe della Tracia, sono entrambi innamorati di Oriana, la figlia del re delle Isole Fortunate. Oriana nel suo cuore preferisce Amadigi. Attratta da Amadigi è anche la maga Melissa, che cerca di attirare il suo amore con vari incantesimi, suppliche e infine minacce. Amadigi affronta vari spiriti e furie, ma li respinge praticamente ad ogni turno. Una visione particolare alla "Fontana del Vero Amore", tuttavia, di Oriana che corteggia Dardano sconvolge Amadigi, al punto che sviene. Oriana vede Amadigi prostrato, e sta per pugnalare se stessa con la sua spada, quando si sveglia. Lui la rimprovera subito per il suo apparente tradimento e a sua volta cerca di pugnalare se stesso.

Atto II
Ancora vivo, Amadigi continua a resistere alle avances di Melissa. Melissa allora fa in modo che Dardano assomigli ad Amadigi, per ingannare Oriana. Oriana segue Dardano, col volto di Amadigi, per chiedere il suo perdono. Dardano esulta nell'attenzione di Oriana, e in un momento impulsivo, sfida Amadigi a singolar tenzone. Nel duello, Amadigi uccide Dardano. Melissa accusa Oriana di averle rubato Amadigi e invita gli spiriti oscuri ad aggredire Oriana, che resiste a tutti gli incantesimi di Melissa.

Atto III
Amadigi e Oriana sono stati imprigionati da Melissa. I due amanti sono disposti a sacrificarsi l'un per l'altro. Anche se desiderosa di vendetta, Melissa non può uccidere ancora Amadigi, ma lo tormenta prolungando il suo confinamento in catene. Amadigi e Oriana chiedono pietà a Melissa. Melissa evoca il fantasma di Dardano ad assisterla nella sua vendetta, ma il fantasma dice che gli dei sono predisposti per proteggere Amadigi e Oriana e che le loro sofferenze sono quasi terminate. Respinta a tutti i livelli, dagli dèi, dagli spiriti degli inferi e da Amadigi, Melissa si toglie la vita, con un ultimo appello ad Amadigi a sentire un minimo di pietà per lei. A guisa di un deus ex machina, Orgando, zio di Oriana e lui stesso uno stregone, scende dal cielo su un carro e benedice l'unione di Amadigi e Oriana. Una danza di pastori e pastorelle conclude l'opera.

Guida all'ascolto (nota 1)

Amadigi di Gaula, quinta opera londinese di Georg Friedrich Händel, fu data in prima esecuzione assoluta al King's Theatre il 25 maggio del 1715; il particolare storico/biografico va sottolineato, perché nessun' altra prima händeliana ebbe luogo in un periodo altrettanto avanzato della stagione. Amadigi, infatti, fu programmata e scritta per celebrare il ritorno (avvenuto probabilmente nel mese di aprile di quello stesso anno) del grande castrato Nicolini (Nicolò Grimaldi) nella capitale britannica dopo oltre tre anni di assenza; particolare attenzione fu posta, come ricordano le cronache dell'epoca, nella cura dei costumi, delle scene e delle macchine sceniche; ma anche la qualità musicale dell'opera fu sin da subito rilevata e apprezzata, tant'è vero che, ben settantacinque anni dopo, Charles Burney, analizzando la partitura, ebbe a dichiarare che mai aveva provato altrettanto godimento. Si tennero sei recite in sottoscrizione (vale a dire che i biglietti d'ingresso venivano venduti non al pubblico, bensì a una selezionata compagnia di gentiluomini interessati all'evento), tutte esaurite (una settima, prevista per il 18 giugno, fu annullata per l'eccessivo caldo); per la stagione seguente ne vennero programmate altre cinque, anche se, dopo il 1717, Händel non riprese mai più Amadigi, che fu invece dato ad Amburgo (ma col titolo di Oriana) in quello stesso anno (curiosamente, le arie e i duetti furono cantati in italiano, i recitativi in tedesco, su testo di Joachim Beccau: inoltre, ben sette arie, un duetto e un balletto furono composti ex novo da Reinhard Keiser). Il resto del cast della prima londinese, oltre a Nicolino nel ruolo del titolo, comprendeva Diana Vico (contralto) nel ruolo di Dardano, il soprano Anastasia Robinson in quello di Oriana (artista estremamente popolare al tempo) ed Elisabetta Pilotti-Schiavoni (soprano) nei panni di Melissa: la piccola parte sopranile di Orgando fu rivestita da Caterina Galerati. Il libretto fu tratto e adattato (probabilmente da Nicola Haym, anche se non ne abbiamo assoluta certezza) dalla tragédie-lyrique in cinque atti di Antoine Houdar de La Motte Amadis de Grece, musicata da André Destouches nel 1699 e data per diverse volta a Parigi nel corso dei seguenti cinquanta anni. A sua volta, La Motte aveva tratto ispirazione dal libretto Amadis de Gaule di Quinault, intonato da Lully nel 1684. Fonte comune per tutti è il testo spagnolo Amadigi di Gaula, che Garcia Rodriguez Montalvo, regidor di Medina del Campo, afferma (nel Prologo che figura nell'edizione del 1508) di aver corretto ed emendato sugli antichi originali limitatamente ai primi tre libri: il quarto libro, sempre secondo il Montalvo, sarebbe stato da lui tradotto e riveduto dopo esser stato rinvenuto in una tomba nei pressi di Costantinopoli e portato in Spagna da un mercante ungherese. Vale la pena di soffermarsi qualche riga ad analizzare la storia di questo libro, poiché - se l'aneddoto del ritrovamento casuale del IV libro altro non è che un mezzo per dare attendibilità al testo che viene ad aggiungersi al nucleo più antico (si pensi all'operazione analoga fatta da Cervantes col suo Don Chisciotte) - è pur vero che la prima apparizione della storia del Cavaliere Amadigi ha luogo circa trecento anni addietro, con un'origine che - come scrive Antonio Gasparetti, curatore dell'edizione italiana del romanzo - «può essere fatta risalire alle narrazioni del ciclo arturiano, senza che si possa però parlare di derivazione diretta da alcuna fonte oggi conosciuta; può esserne esistita una redazione poetica sul tipo dei Lais, ed è possibile che essa fosse recata in Portogallo dai cavalieri che accompagnarono in Francia tra il 1238 e il 1245 Alfonso III di Portogallo, conte di Boulogne; al tempo in cui Montalvo mise mano alla sua compilazione, di redazioni in prosa dovevano esisterne almeno tre. Tuttavia, l'opera come è giunta sino a noi e come si diffuse rapidissimamente in Europa, non può essere attribuita ad altri che al Montalvo appunto, che la completò col quarto libro». La fortuna letteraria di Amadigi di Gaula terminò con la fine del cinquecento, quando - probabilmente - il clima d'austerità indotto dalla Controriforma stava esaurendosi e dunque alle veglie domestiche, confortate dalla lettura dei romanzi di cavalleria, si sostituivano sempre più frequentemente i ricevimenti e le feste, dapprima in sordina, poi con sfarzo e magnificenza sempre maggiori.

Questo il resoconto storico; dopodiché, rimangono da chiarire, prima di passare ad un'analisi succinta della struttura dell'opera, almeno due questioni, la prima legata alle ragioni della scelta d'intonare un testo proveniente da una tradizione musicale estremamente differente dall'opera italiana (la tragédie-lyrique appunto) che invece Händel voleva con tutte le forze imporre anche in Inghilterra (operazione che poco meno di trent'anni dopo si sarebbe risolta in un poderoso fiasco per il compositore, artistico, umano e commerciale), la seconda verte attorno alla curiosa soluzione d'affidare tutti i ruoli a voci chiare, senza prevedere nemmeno un non tanto insolito registro di tenore. Per tornare alla prima questione, va affermato quanto segue: non era la prima volta che il sassone si confrontava con un adattamento d'un libretto francese, tant'è vero che l'opera Teseo, messa in scena nel 1713, riprendeva anch'essa un testo di Quinault (ancora una volta, di ciò s'è sicuri, della redazione ed adattamento s'era occupato il fido Haym). Rispetto all'originale francese, ovviamente, furono espunti il Prologo (in onore di Luigi XIV), nonché i balletti e i cori (se si esclude quello finale, di prammatica, intonato da tutti i protagonisti, seguito da una danza). Se nel Teseo era stato mantenuto l'impianto formale in cinque atti, qui il testo viene ridotto in tre parti; il significato dell'operazione è piuttosto chiaro: rispettare il modello dell'opera seria (con la sua calibrata alternanza di recitativi e arie) e ottenere al contempo una relativa flessibilità, derivata dall'influsso francese. Tale flessibilità s'esplicita soprattutto nei due frammenti strumentali (definiti, come d'uso all'epoca, Sinfonie) inseriti tra la sesta e la settima scena del primo atto e tra la quinta e la terza del terzo atto, nonché nel Ballo finale. Tra l'altro, l'accorpamento degli atti da cinque a tre presenta alcuni problemi, il primo dei quali legato al personaggio di Orgando, mago e zio di Oriana, che compare solo per un breve recitativo alla fine del terzo atto come classico deus ex machina (già in Agrippina, col ruolo di Giunone, Händel aveva sperimentato questa soluzione, anche se lì il personaggio aveva almeno un'aria da cantare); al contrario, Urgande (così veniva denominato nel libretto di Quinault) era molto presente negli ultimi due atti. Per ciò che riguarda la singolare distribuzione vocale, va rilevato che, in quel periodo, Händel sembra più interessato a trovare novità d'accenti, come vedremo, sul versante strumentale e orchestrale, piuttosto che varietà di colore vocale. Del resto, come ha scritto chiaramente Rodolfo Celletti, l'opera barocca appare esteticamente poco interessata alla molteplicità dei tipi vocali, senza nemmeno preoccuparsi di legare caratteristicamente una voce al personaggio, preferendo piuttosto l'astratta e ambigua bellezza del timbro dei castrati.

L'opera, dunque, si apre con una sontuosa sinfonia, ispirata al modello della Ouverture alla francese (modello, peraltro, che Händel applicherà con sostanziale continuità anche nel prosieguo della sua carriera di operista), vale a dire da un movimento fugato introdotto e seguito da una sezione lenta, costruita su valori ritmici puntati; ad esso segue un'altra sezione in tempo di danza (Gavotta), che conduce direttamente al primo recitativo dell'opera (tra Amadigi e Dardano): qui il maestro impiega un trio di fiati - due oboi e un fagotto - alternandoli con gli archi. La distribuzione delle arie rispetta rigorosamente le rigide regole dell'epoca; a ciascun cantante, a seconda della sua importanza, sono assegnati ben determinati momenti solistici. Dunque, Amadigi - primo uomo - canta otto arie, più due duetti (con ciascuno dei protagonisti femminili); Oriana (la sua amata, prima donna), interpreta sei arie e un duetto; Melissa (la maga, seconda donna), cinque arie, un duetto, più un recitativo accompagnato ed arioso; Dardano, quattro arie. Sebbene sempre Händel rispetti la tipica struttura tripartita (ABA'), egli cerca - all'interno di questo schema codificato e immutabile - d'ottenere il massimo della varietà possibile. Va subito detto che il personaggio di gran lunga più interessante, per precise ragioni, risulta quello di Melissa, perdutamente innamorata di Amadigi, che cerca di conquistarlo in tutte le maniere possibili, non esitando a ricorrere, naturalmente, alle arti magiche. Infatti, a lei sono affidati alcuni dei momenti più emozionanti dell'intera partitura: la sua aria d'esordio Ah! Spietato! E non ti muove (Largo, in 3/2) nella patetica tonalità di mi minore, viene costruita su regolari rintocchi degli archi (assieme al fagotto), mentre l'oboe solista ricama con la voce ora uno struggente canone, ora un tenero contrappunto armonico. L'intensità dell'emozione è anche sottolineata dal fatto che manca, come invece consuetudine, il ritornello strumentale d'apertura: la voce attacca sulla seconda battuta il suo vivo canto di dolore: la sezione centrale, in sol maggiore (Allegro in 4/4), radicalizza non solo l'antitesi tra prima e seconda parte dell'aria, ma anche dipinge l'ambivalenza espressiva tipica del personaggio, dimidiato tra sentimento d'amore e desiderio di vendetta. Per contro, tutte le restanti arie di Melissa sono in tempo veloce (Allegro o Presto): da rilevare l'ironica Io godo, scherzo e rìdo, nella quale il ritmo di giga dovrebbe fare appunto rimarcare sprezzo e derisione per il dolore di Amadigi. A ispirare musica di tale altezza non fu solo la possibilità d'avere come interprete la Pilotti-Schiavoni (che il sassone aveva già avuto modo di apprezzare nei panni di Armida in Rinaldo e di Medea in Teseo), ma anche il fatto che proprio l'alternarsi di rabbia e tenerezza, di amore e odio abbia fornito a Händel quella complessità psicologica che egli, infatti, riesce puntualmente a sottolineare.

Sebbene gli altri protagonisti appaiano un poco sbiaditi accanto al magnifico personaggio di Melissa, ciò nondimeno a costoro Händel regala sprazzi di musica meravigliosa; Oriana, per esempio, canta due arie d'incredibile bellezza nel primo atto: Gioie venite in sen è una delicatissima siciliana, nella quale la linea vocale s'alterna agli interventi degli archi. Meno convenzionale, forse, risulta la successiva Oh caro mio tesor, il cui ritmo puntato ben rappresenta l'ansietà e l'angoscioso dubbio del personaggio, che attende con impazienza il ritorno dell'amato Amadigi. Nel secondo atto, va rilevata la drammatica aria in fa minore S'estinto è l'idol mio, frammento scritto in elegante e drammatico stile contrappuntistico: particolarmente significativa risulta la sezione centrale, che presenta un'insolita ricchezza di modulazioni armoniche. Ancora una volta, il gran sassone dà il meglio di se stesso quando può realizzare musicalmente spunti interessanti anche sotto l'aspetto drammaturgico. Dardano, al quale come anticipato, sono riservate quattro arie, trova il momento più interessante in Tu mia speranza (Atto II): anche in questo caso, l'insolita situazione (grazie àd un sortilegio di Melissa, Dardano si presenta ad Oriana sotto le spoglie di Amadigi) permette al compositore di costruire un frammento che affascina proprio per la curiosa ironia della circostanza: violini e viole intonano una deliziosa melodia su di un basso dall'ostinata fissità, che a lungo si comporta come un vero e proprio pedale. La successiva Pena tiranna io sento al core, è ricalcata da Händel sul tema di una sarabanda scritta per Almira (opera del periodo amburghese, della quale rimangono solo pochi frammenti), riutilizzata anche nell'oratorio italiano - composto a Roma - Il trionfo del Tempo e del Disinganno e poi nella prima opera londinese Rinaldo (l'aria di Armida Lascia la spina).

Infine, il protagonista; appare difficile avvalorare il severo giudizio di Winton Dean e John Merrill Knapp, i quali scrivono che "difficilmente Amadigi sarà ricordato come uno tra i più attraenti eroi di Händel": forse, si può condividere il fatto che Amadigi non possieda un carattere disegnato in modo indimenticabile, eppure a lui sono affidate arie di estrema bellezza. Non va nemmeno dimenticato, tra l'altro, che il sassone doveva comporre in modo tale da mettere in rilievo la bravura del suo interprete. Infatti, se l'aria di sortita Notte amica dei riposi, introdotta da un magnifico recitativo accompagnato in sol minore (Oh notte! O cara notte dalla splendida atmosfera notturna), seguita da un frammento in fa maggiore (Che miro), con la funzione di turbare drammaturgicamente l'atmosfera fiabesca che s'era creata, mette in luce le capacità interpretative del celebre Nicolini, la seguente Non sa temere questo mio petto (Allegro in 3/8) è la tipica aria di bravura. D'assoluta maestria risulta anche l'aria del secondo atto Sussurrate, onde vezzose limpidette, una sorta di lunga cavatina accompagnata da due flauti (che suonano unicamente in questo momento), in modo da creare un clima idilliaco, che sarà intenotto ex abrupto dal seguente, drammatico recitativo Numi! Che veggio?, un esempio di come Händel s'applicasse con altrettanta bravura appunto nella stesura dei recitativi. Questo, in particolare, descrive lo svenimento di Amadigi tramite rapide modulazioni, affidate a sette battute del clavicembalo. Ancor più insolita risulta l'aria, sempre tratta dal II atto, T'amai quant'il mio cor, che alterna, nella rapida successione di poche battute, un Adagio e un Presto, proprio al fine di incarnare i mutevoli stati d'animo che s'affollano nella mente del protagonista. La sezione centrale, poi, sviluppa il tema del Presto e la ripresa accorciata ha proprio la funzione di rompere la consueta simmetria,in ottemperanza ad un momento drammaturgicamente particolare. I due duetti, infine, risultano affascinanti per circostanze diverse: Crudel, tu non farai (Amadigi/Melissa), col suo ritmo puntato, mette in violenta opposizione i due caratteri pugnaci dei protagonisti, mentre Cangia alfine il tuo rigore (Amadigi/Oriana), col suo spirito suadente, segna una tappa fondamentale verso la finale riconciliazione, dopo tante peripezie, tra i due amanti.

In sostanza, la nuova sensibilità, che, come s'è visto, dimostravano già i personaggi del romanzo di Montalvo, permette a Händel d'evitare la cristallizzazione, nella forma espressiva tipica dell'opera premetastasiana, dei caratteri, ma anche di leggerne la psicologia in maniera unidirezionale, facendone più che degli esseri umani degli stereotipi; certo, si potrebbe forse imputare ad Amadigi una mancanza di visione generale, una scarsa attenzione all'insieme (per esempio, in quattro occasioni, due nel II atto, si trovano due arie consecutive scritte nella medesima tonalità, pratica che Händel avrebbe in seguito evitato, proprio per ottenere maggiore varietà): ma ogni qualvolta il libretto e le situazioni sceniche gliene forniscono l'opportunità, il gran sassone riesce - senza violarle - ad aggirare le rigide forme dell'opera seria, approntando una partitura che non smette, a quasi trecento anni dalla sua prima esecuzione, di affascinare e di commuovere.

Carmelo Di Gennaro


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 15 gennaio 2004


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Ultimo aggiornamento 12 settembre 2019