Concerto in sol minore per organo e orchestra, op. 4 n. 1, HWV 289


Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
  1. Larghetto e staccato (sol minore)
  2. Allegro (sol maggiore)
  3. Adagio (mi minore)
  4. Andante (sol maggiore)
Organico: organo, 2 oboi, 2 violini, viola, basso continuo
Composizione: 1735 - 1736
Prima esecuzione: Londra, Covent Garden, 19 febbraio 1736 (come interludio dell'oratorio Alexander's Feast HWV 75)
Edizione: J. Walsh, Londra, 1738
Guida all'ascolto (nota 1)

Gratificato dall'onore di aprire la serie dell'op. 4, il Concerto n. 1 in sol minore HWV 289 venne composto, alla fine del 1735 o all'inizio dell'anno successivo, in vista della «prima» della cantata corale (un oratorio non drammatico) Alexander's Feast; or the Power of Musick, programmata al Covent Garden per il 19 febbraio 1736. La ricca imbandigione musicale di quel giorno comprendeva altresì il Concerto per arpa HWV 294 (poi trascritto per organo come op. 4 n. 6) e il Concerto grosso in do maggiore HWV 318. Se l'intervento dell'arpa veniva a rappresentare l'arte musica del bardo Timotheus, il concerto per organo, collocato prima del n. 28 di Alexander's Feast (il recitativo accompagnato con coro «Thus, long ago, ere heaving Bellows learn'd to blow» / «At last divine Cecilia came»), doveva evocare i poteri armonici di Santa Cecilia, patrona della musica cui è intitolato il poema di John Dryden, Ode for St. Cecilia's Day, da cui è tratto Alexander's Feast. Per l'occasione sembra che Händel abbia provveduto a comporre entrambi i concerti ex novo, senza il consueto ricorso a modelli preesistenti.

La bella pagina introduttiva, Larghetto e staccato, propone a organico pieno una gestualità magniloquente e solenne, un nobile tema da ciaccona fiorito dai trilli e da una rapida scaletta di biscrome. Trasportato in diverse tonalità, questo tema fondamentale assicurerà al movimento un decorso costante e sicuro, alternandosi con diverse idee tematiche, alcune di capitale importanza, altre concepite come omaggio al grande operista tedesco Reinhard Keiser, dominatore della scena di Amburgo negli anni giovanili di Händel. È ancora una volta l'organico completo a innescare il meccanismo serrato del vasto Allegro, che alterna ordinatamente i Tutti orchestrali con ariosi episodi solistici dalla scrittura trasparente, ora sporti a esplorare le regioni di un patetico modo minore, ora lanciati in gioiose scorribande dì quartine di semicrome. Il canto delicato del breve Adagio è lasciato alla voce dell'organo, al quale l'orchestra offrirà la propria aureola nella cadenza conclusiva del movimento. Chiude il concerto una pagina giustamente celebre (Andante): una serie di variazioni concepite come dimostrazione suprema e sommamente convincente dell'eccellenza musicale di Santa Cecilia. La soddisfazione dell'Autore per questo pezzo è dimostrata dalla rielaborazione cui lo sottopose nella Sonata a tre op. 5 n. 6 HWV 401, composta nel 1738: le prime 90 misure dell'Andante del concerto, trasportate in fa maggiore, divennero il quinto tempo della sonata. La popolarità del modello, pubblicato in testa all'op. 4 nell'autunno del 1738, costrinse Händel a sostituire la rielaborazione con un'altra composizione, quando, l'anno dopo, l'op. 5 venne data alle stampe. Insolitamente, qui è l'organo a ridestare l'ascoltatore dall'immobilismo dell'Adagio grazie a un tema di forte dinamismo, subito assunto dal violino I che inaugura un delicato dialogo col solista alla tastiera. Nella cristallina trasparenza della scrittura, il discorso musicale si svolge attraverso la ripresa di brevi sezioni ritornellate e in sé concluse.

Raffaele Mellace


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 150 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 15 settembre 2014