Concerto in fa maggiore per organo e orchestra, HWV 305a


Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
  1. Ouverture (fa maggiore)
  2. Organo ad libitum
  3. Allegro ma non troppo (fa maggiore)
  4. Adagio
  5. Andante (fa maggiore)
  6. Allegro
  7. Marche: Allegro (fa maggiore)
Organico: organo, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 violini, viola, basso continuo
Composizione: 1747 - 1751 circa
Edizione: Deutsche Händelgesellschaft, Lipsia, 1894

Arrangiamento del Concerto a due cori in fa maggiore, HWV 334
Guida all'ascolto (nota 1)

I concerti per organo rappresentano uno dei capitoli più importanti nella produzione strumentale della piena maturità di Händel. A partire dal 1738 ne comparvero a stampa ben venti: un'impresa compositiva che, almeno quantitativamente, supera la coeva raccolta dei 12 Concerti grossi op. 6, benché molto meno di questa risponda alla genesi ideale dell'opera d'arte che ci rappresentiamo dal Romanticismo in avanti. I concerti per organo non costituiscono infatti una serie organica e coerente, ma vanno piuttosto valutati nel contesto peculiare della produzione musicale e del mercato editoriale del Settecento: molti dei pezzi che li compongono rappresentano la rielaborazione di pagine preesistenti, tratte da sonate, mottetti, oratori; quattro dei lavori pubblicati nel 1740 sono semplici trascrizioni di altrettanti concerti grossi dell'op. 6; il Concerto in fa maggiore HWV 305a rielabora un concerto «a due cori», mentre il Concerto op. 4 n. 6 in origine prevedeva come strumento solista l'arpa. Inoltre, se l'op. 4 comparve con ogni probabilità sotto il controllo dell'Autore (come recita la dichiarazione a firma di Händel: «These Six Concertos were Publish'd by Mr, Walsh from my own Copy Corrected by my self, and to Him only I have given my Right therein»), la successiva raccolta senza numero d'opus accosta a due concerti originali le quattro trascrizioni citate, probabilmente apocrife (omettendole dal computo, si riduce così a sedici il numero canonico dei concerti per organo händeliani) e, se numerose edizioni pirata, inevitabilmente scorrette, si susseguirono per tutto il secolo, ben otto concerti (l'intera op. 7 e quelli in re minore e fa maggiore) comparvero postumi, dunque senza l'avallo del compositore.

L'interesse di Händel per il concerto per organo è strettamente legato allo sviluppo di quel genere peculiare cui oggi è in buona parte affidata la notorietà dell'autore del Messiah: l'oratorio da concerto in lingua inglese, introdotto dal compositore nelle stagioni del King's Theatre in Haymarket dal 1732 e destinato, un decennio più tardi, a soppiantare completamente l'attività dell'Händel operista. In egual misura «invenzioni» händeliane, l'oratorio e i concerti per organo, eseguiti negli intervalli degli oratori stessi sull'esempio della tradizione inglese di musica entr'acte, componevano uno spettacolo articolato e vario, in grado di offrire una sapiente combinazione di virtuosismo vocale e strumentale, attraverso il lirismo dei numeri solistici, l'impatto dei grandi cori e il luminoso certame concertante di organo e orchestra. L'esecuzione dei concerti al Covent Garden era poi introdotta dalla prodigiosa e istrionica improvvisazione di Händel all'organo, la cui eco risuona ancora nelle testimonianze coeve, trasfigurata attraverso il topos dell'ineffabile. Un'offerta musicale concepita per il pubblico dell'Inghilterra moderna in cui Hogarth terminava il ciclo della Carriera di un libertino, Hume pubblicava i Saggi filosofici, Richardson il romanzo epistolare Clarissa e Fielding Tom Jones, e realizzata nell'arco di tre lustri, tra il 1735 e il 1751, come a dire tra gli ultimi capolavori del teatro händeliano - Ariodante e Alcina, per esempio - e le prime affermazioni del giovane Haydn. Il successo di questi lavori fu ampio e duraturo in terra d'Albione, come provano le numerose testimonianze, le tante edizioni pirata, e i tentativi di emulazione, quali i Concerti per organo op. 9 di Giuseppe Sammartini, pubblicati proprio a Londra nel 1754.

La cifra stilistica che Händel imprime al nuovo genere (i cui personali antecedenti andranno individuati in quella splendida Sonata per organo e orchestra inserita in gioventù nella Parte prima dell'oratorio romano Il trionfo del tempo e del disinganno (1707) e, molto più tardi, già negli anni Trenta, nella magnifica pagina conclusiva dell'op. 3, l'Allegro del Concerto grosso n. 6, rielaborazione per il medesimo organico dell'ouverture del Pastor fido) è fondata sull'integrazione concertante del solista con l'orchestra d'archi, secondo il modello del concerto grosso corelliano: una scrittura brillante e duttile, spesso nella parte dell'organo - l'organo da camera inglese, non il Silbermann delle chiese tedesche - vicinissima a una trasparente stilizzazione cembalistica, che ha rescisso quasi ogni legame con l'origine liturgica dello strumento quale appare ancora centrale, ad esempio, nella raccolta degli Schübler-Choräle bachiani, pubblicati probabilmente in quel medesimo 1748 in cui vide la luce il Concerto per organo in fa maggiore di Händel. Soprattutto nei primi lavori della serie il compositore ricorse in modo massiccio, secondo consuetudine, al ricco fondo della propria musica da camera, lasciando risuonare, in queste partiture della maturità, l'invenzione vigorosa degli anni giovanili.

Il Concerto (n. 16) in fa maggiore HWV 305a è un lavoro estremamente problematico. La versione in cui è normalmente eseguito, pubblicata negli illustri opera omnia curati da Chrysander nell'Ottocento, segue la prima edizione del concerto (Londra, Arnold, 1797), edita arbitrariamente quarant'anni dopo la scomparsa dell'Autore. In realtà l'autografo händeliano si compone di soli quattro tempi (intitolati rispettivamente Concerto, Allegro, Andante, March) e di una sezione lasciata all'improvvisazione del solista. Nell'edizione a stampa vennero integrati tre altri movimenti a comporre una vasta e anomala impaginazione che non trova riscontri negli altri concerti, quadripartiti. Ma anche prima delle aggiunte apocrife, persino nella sua fisionomia originaria il concerto, redatto da Händel anche in una versione per organo solo (HWV 305b), si dimostra il derivato di una catena di parafrasi: altro non è infatti se non la rielaborazione per organo e orchestra di tre tempi del Concerto a due cori n. 3 HWV 334, anch'esso in fa maggiore, eseguito con l'oratorio Judas Maccabeus nel 1747 e a sua volta tratto dall'opera Partenope (1730), coronata da una marcia tratta dall'oratorio citato: un'operazione che l'editore Arnold estese all'intero concerto originario. Inoltre, sarebbe possibile risalire a modelli ancora precedenti, come l'Ouverture HWV 424 o la Suite n. 6 dai Componimenti musicali di Gottlieb Muffat.

Il concerto si apre con un'Ouverture alla francese, la forma celebrativa che dal grand siecle di Luigi XIV aveva goduto di grande fortuna anche in terra tedesca, assicurandosi nel catalogo di Händel un posto di rilievo, ad esempio in testa agli oratori. Il compositore ne rivisita la consueta tripartizione, con l'alternanza di una sezione lenta e solenne caratterizzata dal ritmo puntato, un'ampia pagina in Allegro animata dal fiorire di idee tematiche che lampeggiano all'orchestra e all'organo e infine una chiusa che restaura, seppur in modo embrionale, l'Adagio introduttivo. Quando il solista avrà avuto modo di esibire il proprio talento nell'improvvisazione con la pagina a mo' di toccata prevista da Händel per se stesso, l'orchestra innesca, nell'Allegro ma non troppo, un bel dialogo antifonale con l'organo, condotto dapprima dai soli fiati in un contesto timbricamente omogeneo rispetto al solista, ma in seguito esteso all'organico pieno, cui è affidata la conclusione enfatica della pagina. L'organo tacef nell'Adagio in re minore, imbastito, nella più nobile tradizione violinistica italiana, come un denso momento di transizione, condotto dagli archi sul filo di un'espressività sempre tesa, tra ritardi e intervalli patetici. Una solennità più euforica è ripristinata dai fiati che condividono con il solista l'esposizione del tema principale dell'Andante, anticipando gli archi, i quali faranno proprio sia questo sia un secondo, più brioso spunto tematico, prima di concedere la scena all'organo per un episodio solistico inframmezzato da brevi Tutti. Completano il concerto una giga (Allegro), danzata dall'intera orchestra con grande impatto sonoro, e la marcia del Judas Maccabeus.

Raffaele Mellace


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 150 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 15 settembre 2014