Concerto grosso in sol maggiore, op. 6 n. 1, HWV 319


Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
  1. A tempo giusto (sol maggiore)
  2. Allegro e forte (sol maggiore)
  3. Adagio (mi minore)
  4. Allegro (sol maggiore)
  5. Allegro (sol maggiore)
Organico: 2 violini e violoncello concertanti, 2 violini, viola, basso continuo
Composizione: 29 settembre 1739
Edizione: J. Walsh, Londra, 1740
Guida all'ascolto (nota 1)

Händel compose di getto i dodici Concerti grossi opera 6 a Londra, fra la fine di settembre e la fine di ottobre 1739, con uno dei suoi tipici slanci creativi. Non c'è dubbio che all'origine di una stesura così rapida per un ciclo di opere così impegnativo ci fosse una precisa richiesta, da parte di un editore, John Walsh jr.. Il padre di Walsh, John sr., aveva dato alle stampe nel 1734 la raccolta dei sei Concerti op. 3, partiture però non originali, ma assemblate dall'editore, con il consenso dell'autore, sulla base di lavori preesistenti. Morto il padre nel 1736, John jr. cercò di legare a sé Händel con rapporti più stabili; vennero così pubblicati la partitura completa dell'Alexander's Feast, i Concerti per organo op. 4 e le Sonate a tre op. 5. La richiesta di un nuovo ciclo di Concerti grossi, questa volta non assemblati ma profondamente meditati, doveva trovare un preciso riscontro nelle intenzioni dell'autore, che alla musica strumentale si era dedicato, nel corso del suo trentennale soggiorno londinese, solamente in subordine alla sua prioritaria attività di autore d'opera ed impresario teatrale.

Il momento, d'altronde, era cruciale. Le fortune teatrali di Händel erano languenti; e il maestro era ancora incerto sulla strada che avrebbe percorso poi trionfalmente negli anni successivi, quella dell'oratorio. I Concerti op. 6 furono comunque presentati al pubblico londinese nel corso del 1740, negli intervalli fra un atto e l'altro delle partiture oratoriali händeliane, eseguite nel teatro a Lincoln's Inn Fields.

I Concerti dell'opera 6 rappresentano probabilmente il vertice della nutrita - anche se non sterminata - opera strumentale hàndeliana. Non può stupire che, nel comporre questi Concerti, Händel avesse in mente l'esempio di Arcangelo Corelli. Händel aveva conosciuto Corelli nel corso del suo soggiorno romano (1706-07) e - sebbene i rapporti personali non fossero, sembra, cordialissimi - aveva indelebilmente assimilato la lezione del maestro italiano. Ecco dunque che l'op. 6 di Händel si ispira per sommi tratti ai dodici Concerti dell'op. 6 di Corelli - pubblicati nel 1714, e subito venerati come punto di riferimento ineludibile, per il modello formale (un numero variabile di movimenti contrastanti), la contrapposizione fra strumenti soli ("concertino") e il "tutti" degli archi. Nonostante il valore normativo dei Concerti corelliani, un quarto di secolo dopo la loro pubblicazione non solo questi lavori erano desueti, ma era in declino anche il modello vivaldiano che si era nel frattempo imposto come più "moderno", per l'articolazione in soli tre movimenti e la maggiore varietà coloristica.

Può insomma sembrare curioso che Händel, musicista costantemente all'avanguardia nel suo tempo, facesse sfoggio, nell'op. 6, di un atteggiamento "passatista". Eppure questo sguardo all'indietro è solo apparente, nel senso che l'invenzione di Händel è poi del tutto peculiare, segnata dalla sensibilità teattale del compositore, dalla libertà quasi improvvisativa ed imprevedibile del disegno musicale, l'incisività propulsiva delle idee ritmiche, la densità sinfonica della scrittura orchestrale, la curva elegiaca dei movimenti lenti. I dodici Concerti rappresentano così altrettanti risultati specifici, ciascuno dotato di una fisionomia; circostanza che contribuisce a fare di questi lavori un vero monumento del concerto barocco, altrettanto assiomatico - inevitabile e scontato è il confronto - dei sei Brandeburghesi di Bach.

Il Primo Concerto, in sol maggiore, si affida al consueto organico di primi e secondi violini, viole e basso continuo, per il ripieno, più due violini e un violoncello per il "concertino" e una aggiunta "ad libitum" di due oboi (come anche i Concerti nn. 2, 5 e 6); aggiunta pubblicata solo in tempi moderni, e effettuata dall'autore probabilmente per sfruttare gli strumentisti a disposizione nella sua orchestra. Si articola in cinque movimenti; la sezione introduttiva (A tempo giusto), maestosa e regale, è nel tipo dell'ouverture francese, anche se i tipici ritmi puntati vengono smussati nel flusso melodico. Seguono un Allegro dalla propulsione inesauribile, un Adagio che è un vero duetto dalla lirica cantabilità, con netti contrasti fra "soli" e "tutti", un Allegro a carattere fugato, dal tema inconfondibilmente händeliano, e un nuovo Allegro in 6/8, allietato da festosi ritmi di danza.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 18 maggio 1996


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Ultimo aggiornamento 17 settembre 2014