Concerto grosso in mi minore, op. 6 n. 3, HWV 321


Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
  1. Larghetto (mi minore)
  2. Andante (mi minore)
  3. Allegro (mi minore)
  4. Polonaise: Andante (mi minore)
  5. Allegro ma non troppo (mi minore)
Organico: 2 violini concertatnti, 2 violini, viola, violoncello, basso continuo
Composizione: 1739
Edizione: J. Walsh, Londra, 1740
Guida all'ascolto (nota 1)

I dodici Concerti dell'op. 6 per orchestra d'archi e basso continuo furono scritti da Haendel in poco meno di un mese, tra la fine di settembre e il 20 ottobre del 1739, nello stesso periodo in cui apparvero le vigorose composizioni oratoriali del Saul e dell'Israel in Aegypt. Questi lavori, insieme ai sei Concerti grossi op. 3 per due flauti, due oboi, due fagotti, archi e basso continuo, costituiscono il contributo più importante e significativo di Haendel alla letteratura del concerto grosso di stile barocco che si richiama principalmente all'esempio di Arcangelo Corelli, un musicista conosciuto dall'autore del Messiah nel corso del suo primo viaggio in Italia (1709) e da lui molto stimato. Però lo schema della sonata da chiesa che Corelli trasferisce al concerto, basato sull'orchestra d'archi a quattro voci in contrapposizione ad un piccolo gruppo solistico, assume in Haendel forme più elaborate e robuste, sia nei movimenti di maggiore vivacità armonica e sia nei passaggi più articolati sotto il profilo contrappuntistico. L'austerità pensosa del modello diventa più calda e vigorosa nella linea solenne delle ouvertures e nel virile accento ritmico degli allegri, mentre si avverte un lirismo più intenso nei momenti distesi, un'arguta stilizzazione nei tempi di danza e una sottile vena malinconica nelle cullanti siciliane.

Lo strumentale, che si articola in due gruppi - il tutti chiamato anche «ripieno» e il «concertino» - denota una indubbia abilità e sicurezza di orchestratore nel musicista sassone, che ebbe sempre vivo il senso della costruzione architettonica realizzata con ricchezza e varietà di armonie e alternando lo stile chiesastico all'operistico e al madrigalesco. Non per nulla è stato detto che Haendel, pur tenendo presente la lezione del contrappunto tedesco, ha sentito l'influsso della musica settecentesca del nostro paese con il suo sensualismo coloristico e descrittivo, allorché nella sua lunga permanenza in Italia venne a contatto con quelle bellezze naturali, popolari, e d'arte che egli non avrebbe mai più dimenticato.

Questo italianismo si respira anche nel Concerto grosso in mi minore, in cui spiccano soprattutto i tempi allegri per il loro luminoso splendore strumentale. L'interesse maggiore del concerto risiede nel contrasto tra i movimenti lenti e quelli vivaci (in mezzo si può ammirare una elegante Polonaise), espressi con quello stile concitato così tipico del linguaggio barocco e tutto proteso a realizzare un clima musicale di solare serenità, come avvertì a suo tempo lo stesso Goethe che parlò di Haendel come di un genio mediterraneo.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 30 marzo 1979


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Ultimo aggiornamento 27 dicembre 2014