Judas Maccabeus, HWV 63

Oratorio in tre atti

Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
Testo: Thomas Morell
Ruoli: Organico: coro misto, 2 flauti diritti, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 3 trombe, timpani, 3 violini, viola, violoncello, contrabbasso, organo, clavicembalo
Composizione: 8 luglio - 11 agosto 1746
Prima esecuzione: Londra, Covent Garden, 1 aprile 1747
Edizione: J. Walsh, Londra, 1747
Guida all'ascolto (nota 1)

E' a tutti noto che le composizioni oratoriali del periodo inglese costituiscono il vertice ideale della monumentale produzione händeliana. Non egualmente nota è la constatazione che tale vertice ebbe a concretarsi in base a circostanze affatto contingenti, onde sbaglierebbe chi ritenesse che la decisa conversione del musicista sassone, a quell'epoca più che cinquantenne, alle forme e al genere dell'oratorio fosse avvenuta nel senso di una improvvisa presa di coscienza della congenialità di tali forme alla propria natura creativa. Anche se l'approdo di tale conversione è stato quello che tutti sanno, la verità è che, sin dagli inizi della carriera compositiva e per la maggior parte della sua durata, le ambizioni artistiche di Händel si indirizzarono al melodramma, un genere musicale che era ritenuto l'unico del tempo in grado di garantire, con il successo e il denaro, anche l'affrancamento dal consueto impiego presso una corte o una cappella, che, almeno sino al Settecento, costituiva generalmente il solo cespite di sopravvivenza del compositore.

Proprio sull'abbrivo di un successo teatrale - L'Agrippina a Venezia nel dicembre del 1709 aveva entusiasmato l'ambasciatore inglese sulla Laguna - il venticinquenne Händel giunse per la prima volta in Inghilterra. Nessuna meraviglia, quindi, che, una volta a Londra, il musicista sassone abbia mirato ad imporsi come compositore di melodrammi esemplati sull'Agrippina, cioè sui moduli stilistici dell'opera italiana. Il Rinaldo (1711) infatti segnò l'incontrastata affermazione di Händel in Inghilterra. Parallelamente alla sua feconda produzione, è da segnalarsi l'attività di Händel per oltre un trentennio come impresario teatrale, partecipando nel 1717 alla fondazione della Royal Academy of Music e di un complesso italiano con sede al King's Theatre (1732). I gusti del pubblico segnarono però un'inversione di segno e Händel cominciò a registrare una serie sempre più onerosa di insuccessi dal punto di vista finanziario. Fu in circostanze del genere, come ebbe a ricordare Charles Jennens, autore dei libretti del Messiah e del Belshazzar, che Händel si avvicinò al genere dell'oratorio, rivedendo l'Acis and Galathea e l'Esther, due masques, per eseguirli non più nell'originaria veste scenica ma in forma oratoriale. L'inaspettato successo di questi due lavori apparve determinante, specie dopo il fallimento di un'altra compagnia teatrale finanziata in proprio, ad orientare Händel a privilegiare quel genere compositivo che gli preannunciava le affermazioni negategli dall'opera, e, comunque, che gli comportava minori rischi economici.

Dal 1738 al 1744 Händel potè scatenare la sua inventiva su tre direttrici contemporaneamente: realizzando cioè le ultime opere italiane, dal Faramondo a Deidamia, una vasta produzione strumentale, tra cui i notissimi Concerti grossi del 1739, e dieci oratori religiosi o profani. Tra questi ultimi lavori, secondo Winton Dean, Semele (1743) fu "il primo passo non occasionale sulla via dell'oratorio inglese, nell'intento di trasformare questa forma in mero veicolo di prediletti schemi melodrammatici. Al punto da ritrovare, non a caso, una felicità inventiva che, da un certo tempo, era apparsa un po' appannata". Semele, tuttavia, non premiò affatto le ambizioni dell'autore anche perché il pubblico inglese dell'epoca subiva l'influenza del pregiudizio puritano, secondo il quale "profanità equivaleva a teatralità, risultando quindi il teatro quasi un succedaneo dell'abisso infernale... Ancora un secolo dopo, la cultura dell'età vittoriana avrebbe mantenuto, nei confronti di tale lavoro, un verdetto ottuso ed irrevocabile" (G. M. Trevelyan).

Pure il ciclo di esecuzioni oratoriali su sottoscrizione pubblica della stagione 1744/45, con esposizione personale del musicista sul piano finanziario, ebbe a risolversi in un disastro economico. Tra le varie ragioni imputate in causa in quella circostanza, si ricordano gli intrighi ai danni di Händel di vari membri dell'alta società londinese e di una certa Lady Brown, nonché l'errore d'aver prolungato le repliche oltre il periodo della Quaresima. Lo sconcerto per tale inattesa piega degli avvenimenti fu una concausa, non periferica, della grave malattia che colpì allora il compositore. Provvidenziale però, pure per Händel e non soltanto per l'Inghilterra, giunse una serie di eventi estranei al mondo dell'arte, come i fatti di Scozia.

Nell'estate del 1745 Carlo Edoardo Stuart era sbarcato nelle Isole Ebridi, penetrando poi in Inghilterra: conquistata il 15 novembre Carlisle, s'era attestato in prossimità di Derby. La riscossa dei fedeli alla Casa regnante di Hannover non tardò però a prendere il sopravvento sulla rivolta e gli avversari vennero travolti e annientati il 16 aprile 1746 a Culloden dalle truppe inglesi comandate dal Duca di Cumberland, fratello del re.

Händel, lealista integerrimo, non si lasciò sfuggire l'occasione di collegare un lavoro musicale all'avvenimento che maggiormente catalizzava l'interesse del pubblico inglese, e si orientò alla stesura della musica di un oratorio, al quale dall'autunno del 1745 già aveva cominciato a pensare. Il librettista fu il reverendo Thomas Morell, che in brevissimo tempo gli portò il testo del I atto dello Judas Maccabäus. Invitato dal compositore ad improvvisare, seduta stante, alcuni versi per l'inizio del II atto, Morell ricordò d'aver suggerito le parole del corale So fall thy Foes, o Lord: immediatamente, al clavicembalo, Händel ideò la musica del corale che apre, appunto, il II atto di Judas Maccabäus.

Il musicista, in quegli stessi giorni, stava portando a compimento un altro lavoro, l'Occasional Oratorio, su testo di Newburgh Hamilton, ispirato ai Salmi di Milton, Spencer ed altri, che venne conosciuto la prima volta il 14 febbraio 1746. Secondo l'opinione di Winton Dean, Händel aveva dato la precedenza all'Occasional Oratorio, accantonando momentaneamente la stesura dello Judas Maccabäus, perché, contrariamente all'ottimismo dei londinesi, la vittoria sui partigiani degli Stuart, pur delineatasi, non s'era ancora effettivamente concretata.

Verificatosi però quell'evento memorabile e tanto atteso, cioè il successo militare del Duca di Cumberland a Culloden, Händel procedette rapidamente all'orchestrazione dello Judas Maccabäus con la seguente progressione: il I atto tra il 9 e il 22 luglio, il II atto tra il 25 luglio e il 2 agosto, il III atto entro l'11 agosto 1746.

La prima esecuzione assoluta dello Judas Maccabäus si svolse al Teatro del Covent Garden il 1° aprile 1747 con un cast di prestigio che comprendeva il tenore John Beard (Judas), il soprano Elisa¬betta de Gambarino (Donna Israelita), il mezzosoprano Caterina Galli (Uomo Israelita) e il basso Henry Reinhold (Simone - Eupolemo). Qualche variante e aggiunta fu inserita tra la prima e la terza esecuzione dell'8 aprile successivo, nonché nel corso delle altre tre repliche. Già alla fine di quello stesso mese l'editore John Walsh potè dare alle stampe l'ouverture, alcune arie e brani isolati, mentre la pubblicazione definitiva ebbe luogo a cura di Friedrich Chrysander a Lipsia nel 1866 per i caratteri di Breitkopf & Härtel. Händel provvide a riprendere l'oratorio nel 1748, ripresentandolo ad ogni stagione da lui organizzata tra il 1750 e il 1759, a conferma della popolarità arrisa a tale lavoro sin dalla première. E, del resto, Judas Maccabäus, anche dopo la morte di Händel, è sempre rimasto in repertorio nei paesi anglosassoni, nell'Ottocento e sino ai giorni nostri.

Secondo l'inequivoca testimonianza di Morell, il libretto dello Judas Maccabäus "fu scritto nell'intento di render omaggio al Duca di Cumberland" in occasione del suo ritorno trionfale a Londra dopo la vittoria sugli scozzesi. L'estensore del testo non venne però mai meno alla saggia prudenza di non esibire alcuna allusione diretta agli eventi politici e militari che erano stati alla base dello stimolo e dell'ispirazione dell'oratorio stesso, in modo da assicurare a questo "dramma sacro" un'autonomia pressoché totale nei confronti della specifica realtà storica. Non riferimenti circostanziati, quindi, ma soltanto il frequente impiego di frasi che potevano riguardare il vincitore di Culloden pur apparendo, sul piano letterario, ben rapportabili al condottiero ebraico.

Le fonti principali del testo furono il Primo Libro dei Maccabei e alcuni estratti dalle "Antiquitates Judaicae" di Josephus. Il presupposto storico concerneva la resistenza ebraica alla conquista della Giudea da parte dei Siriani nell'anno 169 a. C, quando, sotto la guida del re Antioco Epifanio, i Siriani profanarono il Tempio di Gerusalemme, non celando l'intento di abolire la religione e le costumanze tradizionali degli ebrei. Mattatia incitò gli ebrei alla rivolta e, alcuni anni dopo, l'affermazione degli israeliti trovò un esito vittorioso.

E a tale momento che ha inizio la vicenda vera e propria dell'oratorio. Durante il I atto gli ebrei piangono la morte del loro capo e Simone, uno dei figli di Mattatia, proclama come nuovo condottiero della sua gente il fratello Judas che promette di restituire a tutti la libertà. All'avvio dell'atto II Judas è acclamato vincitore dopo l'affermazione conseguita sugli invasori provenienti dalla Samaria e dalla Siria, sotto la guida, rispettivamente, di Apollonio e di Serone. All'annuncio dell'invio, progettato dal re Antioco, di un'armata dall'Egitto sotto il comando di Gorgia, gli Israeliti piombano nella disperazione più nera: Judas però non perde tempo nel radunare i suoi prodi mentre Simone si prodiga nel confortare gli amici a non abbandonare le speranze di vittoria. Il III atto si svolge a Gerusalemme e negli immediati dintorni: il Tempio è stato riconquistato e tutti si apprestano a celebrare l'affermazione della luce sulle tenebre. Un messaggero reca l'annuncio dell'esito positivo della battaglia di Capharsalama, con gli invasori ormai in rotta, inseguiti da Judas: l'eroe è accolto a Gerusalemme dal trionfo. L'ambasciatore ebraico a Roma, Eupolemo, al ritorno da una missione alla capitale, è latore di un trattato di protezione per la Giudea, riconosciuta come nazione indipendente; gli Israeliti sono naturalmente lietissimi alla prospettiva di un prospero avvenire di pace.

A mezza via tra il "dramma sacro" e la "cantata celebrativa", lo Judas Maccabäus s'apre con una maestosa Ouverture di schema tradizionale, senza una specifica indicazione di tempo ma nella tripartizione di Allegro-Lento-Allegro. La prima scena è un corale in modo minore, a guisa di lamento in un clima di afflizione, Mourn, ye afflicted children (Piangete, figli afflitti) nel clima solenne d'una processione funebre che sfuma in una commovente conclusione in pianissimo. Seguono il recitativo e il duetto dell'Uomo e della Donna Israeliti, entrambi insistenti sul medesimo compianto per la libertà perduta. Un'altra pagina corale For Sion lamentation make (Eleviamo alti lamenti) ha un'estensione più breve ma è percorsa da una intensa carica emotiva anche per la raffinata scrittura strumentale in cui prevalgono le armonie dei legni sugli accordi degli archi l'Uomo israelita, col recitativo e poi con l'aria, riafferma l'inutilità di un lamento fine a se stesso ed invita alla preghiera per ottenere la misericordia del Signore. L'inno del coro Oh Father, whose Almighty pow'r (O padre onnipotente) con il suo fugato finale d'estrema animazione conduce l'azione alla vigorosa pagina in cui Simone, sorretto dai vivaci e brillanti accenti dell'oboe e dei fagotti in do maggiore, chiama gli ebrei alle armi. Segue un intervento maschio del coro con il baldanzoso impegno ad accorrere, in schiere serrate, sotto la guida di Judas. Dopo un recitativo rivolto agli israeliti accorsi, si ascolta la prima aria di Judas Call thy pow'rs (Raccogli le forze) che, rispetto alle consuetudini belcantistiche dell'epoca, appare assai breve ed incisiva, senza soverchi abbellimenti. Nell'edizione pubblicata da Chrysander segue una successione di numeri, derivati presumibilmente dall'Occasional Oratorio, in cui l'Uomo e la Donna israeliti discettano sul tema della libertà. Prima della fine dell'atto si ascoltano, di valenza drammaturgica, il recitativo di Judas e il coro Hear us, oh Lord (Esaudisci, o Signore), pagina quest'ultima assai ispirata e di buona fattura.

L'atto II si apre con il celebre inciso che Händel aveva improvvisato alla presenza di Morell Fall'n is the foe (Abbattuto è il nemico): con sagacissimo senso drammatico, Händel non intende anticipare gli effetti spettacolari delle successive pagine celebrative e l'intervento del coro si esplicita in parallelo con il canto degli archi, tra improvvise sospensioni, con la presenza di sorprendenti figure armoniche ogni volta che ricompare la parola "fall'n". Omesso il ruolo dell'Uomo israelita, si ascoltano il recitativo e l'aria della Donna israelita, un duetto e la pagina corale Sion, now her head shall rise (Sion, rialza ora la testa); del pari seguono il duetto dell'Uomo e della Donna israeliti e il coro Hail, hail Judea, happy land (Gloria a te, o Giudea, terra felice). Assai interessanti sono poi il recitativo e l'aria di Judas sulla vanità umana e nella prova di ardimento di affrontare, ad ogni costo, la battaglia: una pagina, quest'ultima, marcatamente virtuosistica, sulla cui incidenza nel contesto dell'oratorio Morell e Händel non furono d'accordo. L'arrivo improvviso del messaggero riconduce la musica alla tonalità d'avvio, ristabilendo il clima espressivo dell'effuso lamento. In do minore segue un grande intervento del coro, che, dopo l'aria della Donna israelita, ne corona la drammaticità sul verso Ah! wretched, wretched Israel (Ah, sventurato, sventurato Israele). Händel, per la prima volta in questo oratorio, ne precisa il tempo in 3/4, con l'aria del soprano sorretta, all'inizio, soltanto dal basso continuo. Con l'omissione di qualche pezzo, aggiunto dal musicista alle repliche, si giunge al quadro più celebre dell'intero oratorio: dopo un recitativo, il protagonista intona Sound an alarm! your Silver trumpet (Date l'allarme! risuonino le trombe d'argento): un'aria breve, senza il da capo, perché, al suo posto, si ascolta l'intervento subitaneo dell'orchestra con l'impressionante fanfara delle trombe, provocando un effetto assai clamoroso che prelude al coro We hear, we hear the pleasing dreadful call (Sentiamo, sentiamo il dolce e terrificante appello), su una settima diminuita che accresce la tensione armonica dell'intero episodio. Seguono, in successione, il recitativo e l'aria di Simone With pious hearts (Con cuore pietoso) che instaura, con effetto di chiaroscuro, una pausa meditativa nell'incedere della musica, secondo uno schema compositivo assai caratteristico dello stile händeliano. Assai vibranti sono poi il recitativo e l'aria della Donna israelita nel reclamare l'abbattimento dei falsi dei, proclamando invece l'affermazione dell'unica verità, quella del cielo. Un duetto e un grande coro We never, never will bow down (Mai, mai ci prosterneremo), nel trascorrere della tonalità dal minore al maggiore, suggellano il II atto con una esemplare doppia fuga finale.

Il III atto risulta notevolmente più breve delle parti precedenti, e la ragione risiede, verosimilmente, nel fatto che, in occasione della prima esecuzione assoluta, a questo punto fu inserito, a guisa di introduzione orchestrale, il Concerto a due cori n. 2 in fa maggiore: una prassi frequentemente esperita da Händel a Londra. L'aria dell'Uomo israelita Father of Heav'en (Padre del paradiso) è una delle più ispirate pagine händeliane, con la melodia che si effonde serena, in nobili, aeree volute espressive: per accentuarne l'atmosfera spirituale, ne fu omessa dall'autore la sezione mediana in minore. Il recitativo del messaggero, con l'annuncio della vittoria di Capharsalama, precede l'intervento di Simone, nonché delle frasi corali degli adolescenti e delle vergini ed infine dell'organico vocale completo nell'attestazione del clima di trionfo che attende l'arrivo dell'eroe vittorioso. Una marcia di vigorosa baldanza introduce il coro Sing unto God (Innalziamo canti a Dio), poi il recitativo e l'aria di Judas With honour let desert be crown'd (Si rendano gli onori ai meritevoli): squarcio, quest'ultimo, di marcata originalità perché Händel, anziché adottare accenti eroici, preferì la tonalità di la minore per instaurare un'atmosfera solenne e commossa, alla cui definizione contribuiscono anche l'inconsueto impiego della tromba ed il trascorrere alla tonalità di re maggiore nella sezione centrale, per un passaggio tecnicamente più familiare ai suonatori dell'epoca. Dopo il recitativo di Eupolemo, l'ambasciatore ebraico a Roma, un breve inciso corale d'onore a Dio, un recitativo della Donna israelita, l'oratorio procede diritto al grandioso finale, che prende l'avvio con l'aria della Donna israelita Oh lovely peace (O pace amorosa). Ad accrescere l'atmosfera bucolica e serena, pacificata, della conclusione Händel inserì a questo punto nell'organico strumentale le incantate sonorità dei flauti. Nel da capo di quest'aria vi è la possibilità di inserire una variante d'autore per un duetto dell'Uomo e della Donna israeliti. E la vera e propria pagina conclusiva dello Judas Maccabäus è introdotta da Simone con un'aria alla quale fa eco, sulle medesime parole, il coro Rejoice, oh Judah! (Esulta, o Giudea!) sull'accompagnamento degli archi soli, in un'atmosfera nobile e raccolta, tutt'altro che trionfalistica.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 23 ottobre 1992


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Ultimo aggiornamento 31 luglio 2015