Nel dolce dell'oblio (Pensieri notturni di Filli), HWV 134

Cantata per soprano, flauto e basso continuo

Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
Testo: autore ignoto
  1. Nel dolce dell'oblio
    Recitativo per soprano e basso continuo
  2. Giacchè il sonno a lei dispinge la sembianza (fa maggiore)
    Aria per soprano, flauto e basso continuo
  3. Cosi fida ella vive al cuor che adora
    Recitativo per soprano e basso continuo
  4. Ha l'inganno il suo diletto (do maggiore)
    Aria per soprano, flauto e basso continuo
Organico: soprano, flauto diritto, basso continuo
Composizione: 1707 - 1708
Edizione: Deutsche Händelgesellschaft, Lipsia, 1889
Guida all'ascolto (nota 1)

Il catalogo di Händel annovera un numero estremamente alto di composizioni definibili come cantate da camera: 7 cantate drammatiche, 25 cantate con strumenti, 69 con il solo basso continuo, escluse le numerose opere dubbie e quelle sacre; in totale oltre cento brani. La quasi totalità di queste opere fu scritta nel corso del viaggio in Italia compiuto dal compositore fra la fine del 1706 e l'inizio del 1710, e in particolare nel corso dei diversi soggiorni a Roma.

Händel aveva intrapreso il viaggio in Italia nell'autunno del 1706; un viaggio di perfezionamento, prassi ambita e consueta, lungo tutto il secolo XVIII, per moltissimi musicisti oltremontani. Sebbene l'Italia fosse politicamente divisa e culturalmente tutt'altro che omogenea - anzi forse proprio a causa di questi motivi - era nella penisola che fiorivano quelle scuole musicali, tanto vocali quanto strumentali, che dettavano legge al gusto di tutta Europa. Nel varcare le Alpi, a ventun anni, Händel poteva vantare già una padronanza assoluta degli strumenti a tastiera, cembalo e organo, ma era ancora lontano dal pieno dominio del mezzo orchestrale (che avrebbe appreso, sempre a Roma, dall'esempio di Arcangelo Corelli), e soprattutto della scrittura vocale. Il viaggio in Italia segnò appunto il contatto con il mondo dei grandi virtuosi, con il cosiddetto "belcanto", inteso nell'accezione più edonistica e insieme espressiva del termine.

Questo non deve sembrare in contraddizione con il fatto che Händel abbia scritto in Italia appena due opere (Rodrigo e Agrippina), né con il fatto che egli abbia soggiornato soprattutto a Roma, città nella quale l'opera in musica era proibita per motivi morali (tanto che nell'aprile 1708, in occasione dell'esecuzione dell'oratorio La Resurrezione, il compositore si vide costretto a sostituire alla seconda serata il soprano Margherita Durastanti con un cantore castrato, poiché la presenza di una cantante donna nel ruolo di Maria Maddalena accentuava il carattere profano della musica). Infatti, più che attraverso la strada maestra dell'opera, la scuola di perfezionamento nella scrittura vocale si realizzò attraverso la via secondaria della cantata da camera.

Non a caso secondo il primo biografo, John Mainwaring (le sue Memorie della vita del fu G. F. Händel apparvero nel 1760, l'anno successivo alla scomparsa dell'autore), Händel avrebbe scritto a Roma centocinquanta cantate, una cifra verosimile o quasi, considerando le composizioni probabilmente disperse. A commissionare le cantate al maestro sassone furono due prelati aristocratici, Benedetto Pamphili e Pietro Ottoboni, e soprattutto il marchese Francesco Ruspoli, un mecenate presso il quale Händel soggiornò per tre lunghi periodi (maggio-ottobre 1707, febbraio-maggio 1708, luglio-novembre 1708) appunto con l'incarico principale di fornire settimanalmente una nuova cantata, da eseguirsi di domenica. Destinataria della maggior parte delle composizioni fu la già menzionata Margherita Durastanti (anch'essa al servizio di Ruspoli), una grande virtuosa che avrebbe poi seguito Händel nel suo soggiorno inglese, collaborando con lui ancora per svariati lustri.

Queste indicazioni valgono da sole a definire il carattere prezioso ed esclusivistico del genere della cantata da camera all'inizio del XVII secolo; la cantata era destinata ad un ristretto pubblico aristocratico, che si compiaceva dell'arte dei cantori solisti e della ricerca stilistica dei compositori. I testi poetici delle cantate vertevano su un numero estremamente limitato di situazioni affettive, ispirate a personaggi eroici o mitologici, spesso con ambientazioni arcadiche, non di rado con allusioni encomiastiche agli illustri committenti, o con criptici riferimenti alle precise situazioni - ricevimenti, celebrazioni - per cui i brani venivano creati. Al compositore il compito di trovare soluzioni sempre rinnovate sul piano espressivo per un numero di "affetti" estremamente ristretto. L'articolazione formale alternava recitativi ed arie (in genere nella forma col "da capo"; ossia in tre sezioni, l'ultima delle quali uguale alla prima, per consentire al virtuoso interprete di variare a suo piacimento la linea melodica). Spesso era il semplice basso continuo ad accompagnare la voce o le voci, talvolta un insieme di pochi strumenti.

La cantata Pensieri notturni di Filli composta nel 1707-1708 (le datazioni delle cantate romane sono quasi sempre imprecise) si affida all'organico di uno strumento solista (flauto, ma anche violino) e basso continuo. Il testo poetico, di anonimo, è un tipico esempio del procedimento arcadico di dilatare, con divagazioni preziose, un assunto semplicissimo (nel nostro caso l'antinomia fra il sogno ingannatore e la disillusione del risveglio). Precedute ciascuna da un breve recitativo, appena due arie compongono la cantata; la prima si basa sull'eleganza del fraseggio (che alterna ritmi puntati e terzine), la seconda sull'incisività del disegno ritmico; entrambe sono animate dai giochi di rimando ed inseguimento del materiale fra voce e strumento solista, che ben sintetizzano il fine di esercitazione stilistica dell'intero brano.

Arrigo Quattrocchi

Testo

Pensieri notturni di Filli
(«Nel dolce dell'oblio»)

Nel dolce dell'oblio benché riposi
la mia Filli adorata
veglia coi pensier suoi e in quella quiete
Amor non cessa mai con varie forme
la sua pace turbar mentre ella dorme.

Giacché il sonno a lei dipinge
la sembianza del suo bene,

nella quiete né pur finge
d'abbracciar le sue catene.

Così fida ella vive al cuor che adora,
e nell'ombre respira
la luce di quel sol per cui sospira.

Ha l'inganno il suo diletto
se i pensier mossi d'affetto
stiman ver ciò che non sanno.

Ma se poi
si risveglia un tal errore
il pensier ridice a noi
ha l'inganno il suo dolore.

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 ottobre 1991


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Ultimo aggiornamento 30 maggio 2015