La Resurrezione, HWV 47

Oratorio in due parti per soli, coro e ochestra

Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
Testo: Carlo Sigismondo Capece
Ruoli: Organico: coro misto, 2 flauti diritti, flauto traverso, 2 oboi, fagotto, 2 trombe, 4 violini, viola, viola da gamba, 2 violoncelli, tiorba, basso continuo
Composizione: Roma, 1708
Prima rappresentazione: Roma, 8 aprile 1708
Edizione: Samuel Arnold, Londra, 1790 circa
Sinossi

PARTE I
Scena 1 - In un dialogo fra l'Angelo e Lucifero, quest'ultimo domanda da dove venga tanta luce e il motivo di quell'insolita visita. La creatura celeste risponde annunciando la venuta del Re. Il signore degli abissi, cacciato un tempo dal Paradiso, crede ora di aver avuto la sua rivincita poiché in quel giorno il Figlio di Dio è stato sconfitto dalla morte. L'Angelo gli impone di tacere; infatti egli non comprende che Dio ha scelto di soffrire la Passione per amore e che con il suo gesto ha riscattato l'umanità evinto la morte.
Scena 2 - Maddalena e Cleofe si dolgono della morte di Gesù, quindi giunge Giovanni a consolarle e infondere in loro la speranza giacché il terzo giorno, quello della Resurrezione, è prossimo. Maddalena e Cleofe si recano presso il sepolcro di Cristo con balsami e unguenti, mentre Giovanni si reca a confortare la Vergine Maria.
Scena 3 - L'Angelo invita le anime dei morti a uscire dal tetro luogo ove per lungo tempo hanno atteso il momento di seguire Cristo nel giorno del trionfo della vita.

PARTE II
Scena 1 - Rimasto solo, Giovanni racconta le lacrime versate dalla terra e la speranza di veder risorgere il Dio vincitore.
Scena 2 - L'Angelo intona una lode alla Resurrezione del Signore e del mondo che egli ha salvato. All'udire quelle parole, Lucifero è mosso a vendetta e proclama la sua intenzione di confondere gli animi umani e impedire alle pie donne di diffondere la notizia che Cristo è risorto.
Scena 3 - Maddalena e Cleofe, giunte al Sepolcro, rammentano che Gesù non ebbe timore di affrontare la morte per loro.
Scena 4 - Cleofe ha l'impressione che il cielo si stia rasserenando, poi nota che la tomba è aperta e che un giovane è assiso a destra. Maddalena esorta l'amica ad avvicinarsi alla misteriosa creatura da cui sente promanare un senso di consolazione. L'Angelo annuncia alle donne che Gesù non è più nella tomba, ma è risorto dai morti e che il felice messaggio deve essere riferito a tutti. Colme di gioia, esse cantano lodi e vanno cercando il Signore.
Scena 5 - Cleofe si imbatte in Giovanni che le domanda dove sia diretta ed ella lo informa della notizia e del modo in cui le è stata rivelata. Poco dopo i due vengono raggiunti da Maddalena, che narra loro come abbia visto il Signore e gli sia corsa incontro per baciargli le piaghe, ma egli le abbia detto di non poter essere toccato e sia scomparso. A quelle parole Giovanni comprende che il tempo del dubbio è finito, Gesù è risorto e con lui il mondo è salvo. Il coro invita a lodare Dio in cielo come in terra.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

"Questa sera il Marchese Ruspoli fece un bellissimo oratorio in musica"

Così scrive Francesco Valesio nel suo Diario di Roma alla data di Domenica 8 aprile 1708 aggiungendo che lo spettacolo si tenne «nel palazzo Bonelli a' SS. Apostoli havendo fatto nel salone un ben ornato teatro per l'uditorio. V'intervenne molta nobiltà et alcuni porporati».

Händel era appena ritornato a Roma (città che lo aveva accolto già dal dicembre 1706) dopo la parentesi fiorentina che aveva visto la felice messa in scena del suo Rodrigo al Teatro del Cocomero. Lo attendeva uno degli incarichi più prestigiosi del suo soggiorno italiano: la composizione di un grande Oratorio sacro per la Pasqua, La Resurrezione.

Il lavoro gli fu commissionato dal suo appassionato protettore Marchese Francesco Maria Ruspoli presso cui il compositore aveva prestato servizio fin dal suo arrivo nella città eterna. In realtà pare che Händel non fosse regolarmente stipendiato ma godesse di una posizione del tutto particolare, a metà strada fra quella del musicista "favorito" e quella dell'ospite di riguardo (una flessibilità analoga a quell'intesa congeniale che egli sperimenterà in seguito con successo in Inghilterra con Lord Burligton e il Duca di Chandos). Sicuramente però le sue condizioni d'impiego prevedevano che egli dovesse risiedere a Palazzo Bonelli in determinati periodi dell'anno con l'obbligo di "fornire la sua quota" di musica vocale per i concerti settimanali del Marchese (che non si dotò di un Maestro di cappella fisso fino al 1709, quando assunse con tale mansione Antonio Caldara).

L'orchestra "stabile" di Ruspoli era abbastanza esigua e consentiva probabilmente solo l'esecuzione di Cantate col basso continuo: per quelle con "stranienti" ci si rivolgeva a professionisti esterni che venivano pagati uno scudo per ciascuna esecuzione (o funtione) e mezzo scudo per una prova.

In ogni caso il Marchese non rinunciava ai suoi intrattenimenti neanche quando si spostava nelle proprietà di Vignanello e Cerveteri (di cui fra l'altro, per volere del Papa, verrà nominato Principe nel 1709); i documenti attestano il trasferimento in massa di tutta la servitù: cuochi, bracchieri e musicisti compresi.

La Resurrezione fu lo spettacolo più elaborato e costoso che Ruspoli finanziò: lo scopo di tanta ostentazione era da un lato quello di ottenere i favori di Papa Clemente XI, appassionato di Oratori, e dall'altro quello di gareggiare (o forse di fornire un complemento) con la Passione di Alessandro Scarlatti che il Cardinale Ottoboni aveva programmato per il Venerdì Santo.

I preparativi iniziarono con molto anticipo e grande cura venne data agli allestimenti di cui conosciamo - grazie ai documenti rimastici pubblicati nel 1967 da Ursula Kirkendale - tutti i dettagli.

In un primo tempo il Marchese pensò di destinare all'esecuzione lo "Stanzione delle Accademie" situato al piano nobile di Palazzo Bonelli ma poi, prevedendosi un pubblico ben superiore alla capienza (furono stampate ben 1500 copie del libretto), decise di trasferire il tutto nel salone principale al pianterreno. Qui, tra il lunedì ed il sabato della Settimana Santa, si costruì un "teatro à scalinata" con quattro ordini di posti per i musicisti (tre dei quali tinteggiati di giallo) largo 55 palmi (12,10 metri), lievemente ricurvo e digradante dall'alto della parete verso il pubblico. Tra questo e l'orchestra si sistemò un "parapetto per coprire la veduta di parte del seditore delli musici", al centro dei quali fu posto un palco rialzato per il "Concertino de' violini" e forse per lo stesso Händel col clavicembalo.

Il conto del "Mastro Crespineo Pavone falegname" menziona inoltre "28 legivi per posarci le carte di Musica [...] con piede [...] tagliato storto ad uso di Cornucopia", su quattordici dei quali il pittore Giuseppe Rossi dipinse l'arme del Marchese e sull'altra metà quella della moglie, Isabella Cesi del Duca d'Acquasparta, in chiaroscuro dorato.

"Sopra il traversone alla bocca del suddetto teatro à scalinato" - cioè sulla fronte di una specie di parapetto in legno praticabile e fissato al soffitto in corrispondenza del proscenio - venne posto "un telaro per il titolo di detto Oratorio" dipinto in chiaroscuro giallo e cremisi con cherubini, palme e fogliame, con un cartiglio nel mezzo per il titolo: quarantasei lettere disposte su quattro righe e alte 18 centimetri ciascuna. Queste lettere, ritagliate e sostituite da carta trasparente, erano illuminate da settanta lucerne poste dietro ad esse e controllate "per tre sere... da dui huommini di continuo".

Non mancava l'"apparato" del tappezziere: damaschi, fregi di velluto, taffetà cremisi, rosette con trine inondavano il "teatro à scalinata", mentre il soffitto in corrispondenza era tutto "di damasco trinato quanto teneva la larghezza del palco" e il sipario che nascondeva alla vista il tutto era anch'esso di taffetà, azionato da sette "girelle".

L'intera "Chiesa dico Sala" era poi sontuosamente decorata "di taffetani rossi e gialli a due altezze" e di velluto ricamato d'oro ed era illuminata da sedici "lustriere". Ma il pezzo forte di tutta la decorazione era la tela posta in mezzo sullo sfondo a mo' di quinta: un quadrato di 18 palmi per lato (3,96 metri) espressamente dipinto da Michelangelo Cerruti e raffigurante i personaggi dell'Oratorio.

Al centro aveva una grande cornice rotonda in chiaroscuro giallo e ai quattro lati altrettante cornici dello stesso colore ma più piccole e di forma quadrata con "quatro imprese dell'Arme di SE". In centro "La Resuretione del Sig.re con gloria di putti, e cherubini, e l'angelo à sedere sul sepolcro, che anuncia la resuretione alle S. Maria Madalena, e M. Cleofe, con San Giovanni Evangelista in Contorno dell'Monte, e la Caduta delli Demonij nell'abbisso il tutto dipinto colorito al naturale".

"L'anima di Händel è come il Mare, nel quale tutti i fiumi del mondo si riversano senza intorpidirne le acque o alterarle". (Romain Rolland)

La responsabilità di Händel, anche di fronte a questo enorme impegno finanziario e d'immagine, era grande. Ruspoli gli chiese di risiedere a Roma da almeno sette settimane prima cosi da avere un ampio arco di tempo sia per la composizione ma anche per le eventuali revisioni di cui è rimasta importantissima traccia nella partitura direttoriale originale a noi pervenuta (ritrovata nel 1960 e oggi conservata nella Santini Collection di Münster). Al compositore venne inoltre concesso il raro lusso di tre prove, la prima delle quali occupò una settimana intera.

Il libretto era stato affidato a Carlo Sigismondo Capece (collaboratore poi negli anni successivi di Domenico Scarlatti) membro dell'Arcadia, poeta di corte della Regina Maria Casimira di Polonia (che viveva in esilio a Roma); il cast era di prim'ordine: Margherita Durastanti (Maria Maddalena), i castrati signor Matteo (Angelo) e signor Pasqualino (Maria di Cleofe), il tenore Vittorio Chiccerì (San Giovanni Evangelista) e il basso signor Christofano (Lucifero).

Dalla lista dei pagamenti e tenendo conto che gli esecutori ivi menzionati andavano ad aggiungersi a quelli permanentemente alle dipendenze del Marchese, siamo in grado di ricostruire anche l'organico esatto dell'orchestra: 23 violini, 4 "violette", 6 violoni, 6 contrabbassi, una viola da gamba, 2 trombe, un trombone, 4 oboi, flauti dritti, flauto traverso e naturalmente il basso contìnuo. Il tutto affidato alla sapientissima direzione del primo violino più "famoso" del momento: Arcangelo Corelli.

Quest'ultimo fu pagato con un contratto a parte (20 scudi contro i 4,50 di compenso massimo di un orchestrale) ed il copista Angelini ebbe 30 scudi per trecento «fogli» (vale a dire duemilaquattrocento pagine di musica, dato che da un «foglio» si ricavavano otto pagine di formato normale), compresa la partitura in due volumi (uno per atto). Händel era sicuramente "Maestro al cembalo" anche se curiosamente il suo nome non viene mai associato a compensi artistici ma solo a spese generiche (10 scudi per "porto del letto et altro per Monsu Endel", 60 scudi "all'Ebreo per nolito d'un mese di detto letto e coperte di tela", 60 scudi "per Carta di Musica, penne, e Corde di Cimbalo" e 38,75 scudi "per Cibarie per Monsu Endel").

Con una simile compagine artistica il compositore non ebbe nessuna difficoltà a dare spazio alle sue idee musicali, alle invenzioni "teatrali", alle variegate concertazioni strumentali. Ne nacque un capolavoro capace ancora oggi di stupire per la raffinatezza creativa e la potenza comunicativa.

L'Oratorio per la Risurrettiom di Nostro Signor Ciesù Cristo andò quindi in scena l'8 aprile, Domenica di Pasqua, con replica il Lunedì dell'Angelo.

Sembra che un solo inconveniente abbia oscurato la magnificenza dello spettacolo: dopo la "prima", infatti, il papa indirizzò immediatamente al Ruspoli "una ammonizione per haver fatto cantare nell'Oratorio della sera precedente una Cantarina" e per la replica del lunedì la Durastanti fu sostituita da un certo "Pippo soprano della Regina", un castrato forse anch'egli al servizio di Maria Casimira (in realtà appare improbabile che Sua Santità non fosse a conoscenza già da prima della possibile presenza della nota cantante; in ogni caso Ruspoli si fece subito "perdonare" offrendosi "di fare a sue spese la leva d'un regimento di cinquecento huomini" per intervenire con tali truppe in Romagna a difesa dei forti pontifici).

"Tremerai genuflesso al suo gran nome".
La Resurrezione parte prima

Il bellissimo testo di Capece snoda gli eventi che il Vangelo distribuisce tra il Venerdì Santo e la domenica di Pasqua su due distinti livelli: da una parte i turbolenti contraddittori fra Lucifero e l'Angelo, dall'altra le dolenti meditazioni e gli affettuosi dialoghi di Maria Maddalena, Maria di Cleofe e San Giovanni Evangelista.

L'Oratorio sì apre infatti con il tonante e perentorio comando (sottolineato da squilli di tromba) dell'Angelo "Disserratevi, o porte d'Averno" - a cui risponde, con un veemente recitativo accompagnato, il Demonio rivendicando il suo inalterato "ardire" nonostante la "caduta" ("Caddi, è ver"). L'annuncio portato dal messaggero divino è dirompente: un "Re" ucciso per Amore (espresso dalla soave "D'amor fu consiglio") sconvolgerà le leggi della morte tanto che anche lo stesso Lucifero davanti a lui "tremerà genuflesso". Il Demone irride a queste parole e chiama al suo cospetto le forze del male (con efficacissimi effetti vocali sulle parole "al ciel muoverò guerra"): un truce unisono degli archi bassi e i sol gravi del solista sottolineano il torvo appello "O voi dell'Erebo".

Ma ecco che la scena si sposta poi sull'intima ma immensa pena di Maria Maddalena; un'angoscia notturna (recitativo "Notte, notte funesta" e l'Aria "Ferma l'ali") espressa dalla rarefatta e quasi ipnotica atmosfera dei flauti dritti e una viola da gamba concertanti. Si unisce alla sua disperazione Maria dì Cleofe con una straziante e mesta "Piangete, sì, piangete" in cui la gravità della tessitura strumentale delle sole viole all'unisono con la viola da gamba, asseconda in maniera mirabile la profondità della voce contraltistica.

Le due donne intessono a questo punto il malinconico e stringente Duetto "Dolci chiodi, amate spine" ma giunge San Giovanni che le invita ad essere fiduciose nella promessa fatta ai discepoli ("a noi tornar promise il terzo giorno") con gli speranzosi slanci melodici di "Quando è parto dell'affetto".

La rinnovata aspettativa si manifesta con l'impetuosa Aria di paragone "Naufragando va per l'onde" in cui volutamente Händel gioca sul contrasto fra il procelloso turbinare sonoro della prima parte (con l'agitata scrittura strumentale e ardue fluttuazioni vocali) e la serena linearità della sezione centrale testimone della confortante "visione" di un prossimo rassicurante approdo.

Anche il successivo intervento di San Giovanni ("Così la tortorella") è una pagina illustrativa: un Largo in ritmo di siciliana (con tiorba concertante) dove al pianto della tortora - descritta da un candido flauto - si contrappone la durezza dell'"augel feroce" esposta dalle scale violente e improvvise dell'intera sezione degli archi (anche se non è escluso che il compositore abbia nutrito qualche dubbio su questo espediente, dato che quelle scale risultano cancellate nella partitura direttoriale).

Ma è il presagio della gloria a dominare la fine della prima parte dell'opera: dai fantastici staccati dell'orecchiabile Aria di Maria Maddalena "Ho un non so che nel cor" (divenuta subito un successo tanto da essere inserita dallo stesso compositore pochi mesi dopo anche nell'Agrippina, ancora per la voce della Durastanti), all'incitazione "dantesca" dell'Angelo ("Uscite pure, uscite, a vagheggiare, a posseder le stelle!"), al trionfale coro finale "Il Nume vincitor trionfi, regni e viva".

"Ecco il sol ch'esce del mare".
La Resurrezione
parte seconda

All'inizio della seconda parte (dopo un'Introduzione orchestrale che compare solo nella partitura direttoriale) San Giovanni preannuncia la Resurrezione dipingendo - con una linea vocale che pian piano si eleva da un pesante basso ostinato - la visione del "sol ch'esce del mare".

L'Angelo si unisce alla gioia nella danzante "Risorga il mondo" e, con un magnifico ed energico recitativo accompagnato, ammonisce Lucifero a piegarsi alla vittoria del Signore. Il diavolo non cede e conferma con furore ("Per celare il nuovo scorno") la sua determinazione a confondere con "tenebre nocenti" le "inferme umane menti": il successivo dialogo fra i due ha il ritmo della sfida.

Intanto Cleofe e Maddalena hanno raggiunto il Santo Sepolcro: sui delicati incroci armonici di una viola da gamba e di un violino solo, la seconda donna intona "Per me già di morire", un vero e proprio atto d'amore e di fede per il Salvatore e una delle pagine più incantevoli di tutta l'opera.

E se il Re degl'Inferi ormai vinto toma a "precipitar" - con una scala discendente di due ottave - nel "sen profondo", Cleofe segnala con squilli di tromba il rasserenarsi del cielo e dell'anima ("Vedo il ciel che più sereno").

All'annuncio stupefacente della Resurrezione l'Angelo si rivolge alle due Marie con appagate colorature ("Se per colpa di donna infelice"); gli fa eco prima un'esuberante Maddalena ("Del ciglio dolente") e subito dopo una spensierata Cleofe ("Augelletti, ruscelletti").

Sono momenti in cui Händel rivela tutta la sua finezza nel controllo drammatico, accantonando il formalismo biblico e privilegiando la rappresentazione di concrete emozioni umane. Dopo che San Giovanni ricorda le commoventi parole della Madonna al ritorno del "Caro figlio, amato Dio", tocca a Maddalena suggellare l'evento rivelatore del Dio risorto con la marziale e scandita "Se impassibile, immortale". È la notizia che il mondo aspettava e a cui il coro degli uomini ("Diasi lode in cielo e in terra") deve rendere gloria; è una luce improvvisa e inimmaginabile che squarcia la notte oscura. Incredibile forse, ma certa: come la fede.

Laura Pietrantoni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

"È giunto in questa città un Sassone eccellente suonatore di cembalo e compositore di musica, il quale oggi ha fatto gran pompa della sua virtù in sonare l'organo nella chiesa di san Giovanni con stupore di tutti"; così Francesco Valesio nel suo diario alla data del 14 gennaio 1707. Nessun dubbio sull'identità del Sassone in questione: il ventunenne Georg Friedrich Haendel, che alla fine del 1706 aveva abbandonato Amburgo per varcare le Alpi al seguito del principe di Toscana. Un viaggio di perfezionamento, prassi ambita e consueta, lungo tutto il secolo XVIII, per moltissimi musicisti oltremontani. Sebbene l'Italia fosse politicamente divisa e culturalmente tutt'altro che omogenea - anzi forse proprio a causa di questi motivi - era nella penisola che fiorivano quelle scuole musicali, tanto vocali quanto strumentali, che dettavano legge al gusto di tutta Europa.

In Italia Haendel si doveva trattenere fino ai primi mesi del 1710, toccando le città di Firenze, Napoli, Venezia, ma soprattutto fermandosi a Roma per la maggior parte del tempo. Rispetto alle altre capitali musicali della penisola Roma verteva in una situazione peculiare e contraddittoria. Da una parte l'opera, come genere, vi era proibita, in quanto considerata troppo profana per la città eterna; in compenso vi fioriva una ricca produzione oratoriale, ovviamente incentrata su soggetti sacri. I circoli culturali, inoltre, erano estremamente fertili, grazie soprattutto al mecenatismo diffuso e legato alla competizione fra diverse famiglie gentilizie. Haendel, nel corso dei suoi differenti soggiorni, si trovò alle dipendenze di almeno tre differenti mecenati: due prelati aristocratici, Benedetto Pamphili e Pietro Ottoboni, e soprattutto il marchese Francesco Ruspoli (poi principe), presso il quale il compositore si trattenne nel corso di tre lunghi periodi (maggio-ottobre 1707, febbraio-maggio 1708, luglio-novembre. 1708).

A Roma Haendel trovò alcuni fra i più rinomati compositori del suo tempo: Alessandro Scarlatti, già maturo e considerato forse il più importante compositore operistico e sacro del periodo, il figlio Domenico Scarlatti, suo coetaneo, Arcangelo Corelli, grande codificatore del concerto strumentale. Con costoro, e con altri, Haendel stabilì rapporti personali. Domenico Scarlatti gli fu opposto in una gara alle tastiere presso il cardinale Ottoboni, da cui il Sassone uscì vincente per quanto riguardava l'organo. Logico che l'entratura presso questi circoli musicali si traducesse in una straordinaria esperienza di apprendistato, di cui Haendel, eccezionalmente recettivo, seppe far tesoro. La sua formazione lo aveva reso uno strumentista e un contrappuntista di prim' ordine, ma la scuola italiana gli consentì di affinare il suo stile vocale, il gusto dei contrasti, la ricchezza dei colori. Nel volgere del 1707 nascono così i primi straordinari frutti di questo sincretismo culturale: il salmo Dixit Dominus, scritto dietro commissione di Ruspoli, e l'oratorio "Il trionfo del Tempo e del Disinganno'", commissionato dal cardinale Pamphili, anche autore del libretto. Si aggiungano molti altri lavori vocali meno impegnativi e un numero enorme di cantate da camera, in gran parte destinate alla cantatrice Margherita Durastanti, protetta di Ruspoli.

Proprio i registri di contabilità di casa Ruspoli offrono il modo di comprendere molti dettagli dell'attività di Haendel a Roma; egli non era stipendiato, ma pagato "a prestazione", dunque probabilmente accolto come un ospite in casa del marchese. Grazie a questi registri è possibile anche seguire da vicino le vicende della nascita dell'oratorio "La resurrezione", che costituì probabilmente l'apice di tutta l'attività di Haendel a Roma. Reduce dal successo di "Rodrigo", opera rappresentata a Firenze, Haendel fece ritorno a Roma alla fine del febbraio 1708 e subito venne coinvolto nel progetto, che era il più ambizioso mai promosso da Ruspoli, mecenate che non aveva alle sue dipendenze una intera orchestra, ma solo pochi musicisti: produrre un intero oratorio da eseguirsi il giorno di Pasqua, domenica 8 aprile. Certamente questo incarico poneva il compositore in diretta contrapposizione con Alessandro Scarlatti, che doveva scrivere un altro oratorio - "La passione di nostro signore Gesù Cristo" - da eseguirsi il venerdì santo presso il cardinale Ottoboni; così come poneva lo stesso Ruspoli in rivalità con Ottoboni.

Non a caso Haendel ebbe a disposizione ben sette settimane per la stesura della partitura e la sua messa a punto, e potè inoltre usufruire, caso assai inusuale, di tre differenti prove distanziate nel tempo. Per l'aspetto musicale Ruspoli non aveva badato a spese: oltre 35 musicisti si avvalevano della direzione del grande Arcangelo Corelli (che già aveva diretto l'anno prima "Il trionfo del Tempo e del Disinganno"); il cast vocale comprendeva cinque voci: due castrati (Pasqualino e Matteo, nei ruoli di Cleofe e dell'Angelo), il basso Cristofano (Lucifero), il tenore Vittorio Chiccheri (San Giovanni) e Margherita Durastanti come Maddalena. Veramente sfarzosa era poi la preparazione della sala. L'oratorio venne eseguito nella residenza di Ruspoli, non ancora l'attuale palazzo Ruspoli in via del Corso (dove l'aristocratico si trasferì nel 1713), ma palazzo Bonelli a piazza SS.Apostoli (attuale sede della prefettura).

Destinato allo Stanzone delle Accademie al piano nobile, l'oratorio venne spostato a ridosso dell'esecuzione nel più capiente salone principale del pian terreno, vista la prevedibile massiccia presenza di pubblico (vennero stampati ben 1500 libretti). E qui che venne allestito un "teatro à scalinata" per i musicisti, nascosti parzialmente da un parapetto e con un palchetto per il concertino. In alto un fregio illuminato da dietro riportava il titolo dell'oratorio; sullo sfondo un grande telo appositamente dipinto da Michelangelo-Cerniti effigiava i personaggi dell'oratorio. Il tutto nascosto da un sipario scorrevole, e arricchito da arredamenti di broccati, legni dipinti e via dicendo, secondo uno sfarzo gentilizio che sfugge alla fantasia dei posteri. Unico contrattempo a tutto questo fu il fatto che il pontefice Clemente XI non giudicò appropriata la presenza di una cantante femminile nel ruolo di Maddalena, visto che l'impiego delle donne era proibito per le recite teatrali, e quella esecuzione somigliava piuttosto a una recita teatrale; così, alla replica del Lunedì dell'Angelo, la Durastanti venne sostituita da un tal castrato Filippo.

Proprio questa sostituzione sposta il discorso sul contenuto e sul significato dell'oratorio stesso. Appare evidente, dalla descrizione dell'allestimento, che anche "La resurrezione" si inseriva pienamente nella tendenza di tutto l'oratorio romano di quel periodo: ovvero, in una città nella quale l'opera era proibita, eseguire oratori che fossero quanto più simili possibili a un'opera. Non a caso l'oratorio aveva ormai perso la presenza dello Storico e contemplava dei personaggi che agivano l'azione sacra come una sorta di drammaturgia; anche sotto il profilo musicale le arie erano impostate nella forma col "da capo" che era tipica dell'opera.

E dunque converrà considerare il libretto redatto da Carlo Sigismondo Capece (1652-1728), poeta di corte della regina Maria Casimira di Polonia, in esilio a Roma. L'argomento della resurrezione ("Oratorio per la risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo" è il titolo completo del libretto) poteva certamente prestarsi a rischi di blasfemia in caso di presenza della figura di Cristo; questa dunque viene accuratamente evitata dal librettista, che impostò l'azione su due differenti livelli. Da una parte, tenendo presente il fine precettistico tipico della produzione oratoriale, si svolge una lotta fra forze celesti e forze demoniache, rappresentate dalle figure dell'Angelo e di Lucifero; quest'ultimo crede di trionfare ma fugge infine sconfitto. L'Angelo funge anche da connessione con l'altra dimensione, quella terrestre, che vede i personaggi di Maria Maddalena, Maria Cleofe (madre di San Giacomo) e San Giovanni piangere la morte di Cristo e credere nella resurrezione; poi le due donne ricevono dall'Angelo la nuova dell'atteso evento sovrannaturale, ne riferiscono, gioendo, a Giovanni; infine la stessa Maddalena narra l'apparizione di Cristo, ed alza con gli altri un inno di lode. Non mancano poi le metafore ricorrenti in tutti i libretti dell'epoca: il vascello nella tempesta, la tortorella amorosa, il sole che sorge e via dicendo. Su questo libretto Haendel scrisse una partitura divisa in due parti, che comprende 29 numeri musicali, così articolati: 20 arie (cinque per Maddalena, quattro per Cleofe, Giovanni e l'Angelo, tre per Lucifero), due duetti (Maddalena/Cleofe e Angelo/Lucifero), tre recitativi accompagnati, due brani strumentali (Sonata e Introduzione) per aprire ciascuna delle due parti e due pagine con cori (ovvero intonate da tutti i cantanti) in chiusura di ciascuna della due parti (per l'esattezza un'aria responsoriale dell'Angelo col còro e un semplice coro). La lunga galleria di arie che compone la partitura barocca potrebbe essere considerata monotona; rivela, invece, il genio precoce del compositore proprio nella estrema varietà dei risultati.

C'è, da parte di Haendel, innanzitutto, una capacità che poi si presenterà sempre nelle sue opere mature, ovvero la capacità di caratterizzare i personaggi al di là degli stilemi imposti dalle convenzioni dell'epoca. Il personaggio di Lucifero, ad esempio, viene gratificato di arie estremamente incisive, per la coloratura e i salti di registro, e per soluzioni strumentali come l'unisono degli archi nell'aria "O voi dell'Erebo". Se la voce più grave effigia il male, quella più acuta, l'Angelo, effigia il bene, puntando su vocalizzi di giubilo, come nella pagina conclusiva della prima parte. Se più convenzionali sono i personaggi di Giovanni e Cleofe, Maddalena offre un panorama espressivo estremamente diversificato, che procede dall'elegia ("Per me già di morire", con i flauti a becco che raddoppiano gli oboi), al giubilo ("Del ciglio dolente", "Se impassibile, immortale"). E tuttavia Haendel non manca di stupire individuando anche per i personaggi minori delle pagine di straordinaria efficacia; come l'aria di Giovanni "Ecco il sol", che dipinge l'alba con il basso continuo ostinato in crescendo, o quella di Cleofe "Augelletti, ruscelletti", con gli archi all'unisono che raddoppiano la ritmica imprevedibile della voce. Certamente Haendel avrà avuto presenti dei modelli per le categorie espressive delle voci, ma questi sono come trascesi dalla prepotente personalità del compositore.

E c'è un altro aspetto della "Resurrezione" che desta l'ammirazione dei posteri: le scelte strumentali. Dai libri contabili di Ruspoli è possibile risalire al numero esatto di strumentisti impiegati per l'esecuzione: 23 violini (che però non sempre suonavano tutti), quattro "violette", sei "violoni", due contrabbassi, una viola da gamba, due trombe, un trombone (assente però in partitura) e quattro oboi (che suonavano anche un flauto dritto, due flauti a becco e un fagotto). In tutto 35 strumentisti guidati da Corelli. Ebbene, questo gruppo è impiegato in modo da variare ogni volta l'organico da un pezzo all'altro, creando situazioni espressive e spessori sonori sempre rinnovati. Anche la tecnica del concerto grosso (contrapposizione di alcuni solisti a un gruppo strumentale più nutrito) viene usata in termini assai diversi da quella che era tipica di Corelli (due violini solisti, archi e basso continuo), per la presenza di oboi, di violino e viola ("Per me già di morire" di Maddalena), di viola da gamba sola ("Quanto è parto dell'affetto" di Giovanni) e via dicendo. Le combinazioni fra tipologie vocali, tipologie espressive, scelte strumentali, offrono l'idea della fantasia vulcanica del compositore ventiduenne, che ha comunque un esito davvero peculiare e distinto rispetto ai contemporanei: quello di donare credibilità umana e spessore partecipativo ai personaggi.

"La resurrezione" è la partitura di un compositore che ha voracemente assimilato, in poco più di un anno di soggiorno in Italia, i differenti stili in voga nella penisola, metabolizzandoli e piegandoli alla sua propria concezione; che è quella di una ricchezza e varietà espressiva, di uno sfarzo sonoro, di una gestualità teatrale e di una direzionalità drammatica che, seppure in altre forme, si ritroveranno chiaramente negli anni londinesi, dove saranno amministrate con maggiore oculatezza; di fronte alla quale però si deve ammirare senza riserve la generosità perfino pletorica del capolavoro giovanile.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 16 aprile 2009
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 21 marzo 2002


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Ultimo aggiornamento 13 maggio 2015