Sonata in re maggiore per violino e basso continuo, op. 1 n. 13, HWV 371


Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
  1. Affettuoso (re maggiore)
  2. Allegro (re maggiore)
  3. Larghetto (si minore)
  4. Allegro (re maggiore)
Organico: violino, basso continuo
Composizione: 1745 - 1750 circa
Edizione: Deutsche Händelgesellschaft, Lipsia, 1894
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La fama di Haendel è legata soprattutto alla sua produzione operistica (quaranta opere in un arco di tempo di 36 anni compreso tra il 1705 e il 1741) e oratoriale (i suoi drammi sacri assommano a 21), dove la vigorosa personalità del musicista di Halle raggiunse una forma di espressione molto elevata e degna di figurare in alcuni momenti a fianco dell'attività creatrice bachiana, che rappresenta insieme a quella haendeliana il punto più alto dell'età musicale barocca. Forse in misura maggiore di quanto avvenne per Bach, Haendeì assorbì e racchiuse in sè il gusto, le esperienze e la spiritualità della musica italiana del suo tempo ed ebbe una conoscenza più diretta e più completa del patrimonio musicale straniero, dato che fin da giovane aveva preso a viaggiare molto non solo in Germania, ma anche in Italia e successivamente in Inghilterra e in Irlanda. Un segno di questo suo contatto personale con le altre dottrine e scuole musicali si riscontra specialmente nei lavori strumentali e da camera, che sembrano quasi una derivazione (si pensi, ad esempio, ai Dodici concerti grossi dell'op. 6) di alcuni analoghi modelli italiani di Corelli e di Vivaldi. Infatti, al contrario dei concerti bachiani dove si avverte una più incisiva e scavata elaborazione tematica, nei pezzi strumentali haendeliani predomina il gusto per una invenzione melodica più calda e sensuale, per una costruzione architettonica più aperta e ariosa, per uno stile più solenne e pomposo.

Anche nella Sonata in re maggiore che fa parte della raccolta dei Quindici Soli (Sonate) op. 1 scritta intorno al 1731, Haendel si pone come l'erede diretto della illustre scuola violinistica italiana fondata da Corelli, pur dimostrando uno stile più colorito e fastoso e un accento ritmico più virile negli allegri. Da notare che questa Sonata, prediletta dai violinisti per la sua brillantezza e vivacità strumentale, prevede anche una realizzazione affidata al flauto, all'oboe e al cembalo, come del resto tutte le altre composizioni della medesima raccolta, secondo un criterio di libertà di esecuzione voluto dallo stesso autore.

L'Adagio iniziale si affida ad una linea melodica di classicheggiante misura e di ampio respiro, mentre l'Allegro si impone per la sua freschezza e gioiosità. Segue un Larghetto che propone un tipo di cantabilità molto più intima e raccolta rispetto al disteso lirismo del primo tempo. L'Allegro finale è in forma di rondò contrappuntato da una frastagliata incisività ritmica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Non soltanto genuina opera händeliana, com'è attestato dall'autografo, ma con tutta evidenza estrema composizione cameristica dell'autore, la Sonata in re maggiore op. 1 n. 13 HWV 371 non rientrò nelle raccolte a stampa, ma fu composta attorno alla metà del secolo, nello stesso periodo dell'oratorio Theodora (1749-50), e pubblicata soltanto in epoca moderna, negli opera omnia promossi di Chrysander nel secondo Ottocento. Lavoro dunque di grande interesse, la «migliore tra le sonate solistiche» a detta dello specialista händeliano Winton Dean, si apre con un Affettuoso dal melos incantatorio, che contrappone l'andamento di classico nitore del basso (antica memoria del giovanile soggiorno romano?) a una parte solistica assai fiorita ed espressiva: una pagina già presente in due Sonate per flauto, in re maggiore e in mi minore. Il luogo del movimento contrappuntistico è occupato da un Allegro di ariosa freschezza, in cui violino e basso si scambiano, nella brillante tonalità d'impianto della sonata, un tema alacre, svettante, alternando canto spiegato al bariolage di concitate batterie di semicrome. Nel Larghetto Händel propone un incedere dall'espressività misurata e composta, condotto attraverso diverse tonalità minori e derivato dalle arie «Lascia ornai le brune vele» della cantata giovanile Il delirio amoroso («Da quel giorno fatale», Roma, 1707) e «Nube che il sole adombra» dal Riccardo I (1727), nonché imparentato con il coro finale della serenata Acis and Galatea (1732). Un'esplosione di energia ci investe con l'ampio Allegro conclusivo, festoso movimento bipartito che mobilita di volta in volta le risorse del ritmo puntato, un brillante temino di appena una battuta e un fiorire tumultuoso di quartine di semicrome. Le stesse note risuoneranno nella Sinfonia dell'atto III dell'ultimo oratorio a firma del compositore, Jephta (1751).

Raffaele Mellace


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 28 febbraio 1971
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 200 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 19 maggio 2017