Le principali opere composte da Giorgio Federico Haendel nel genere della musica strumentale da camera furono pubblicate a Londra tra il 1732 e il 1740 in tre raccolte di complessive 32 Sonate a solo e a tre. La prima raccolta, designata come opera I e alla quale appartiene la Sonata eseguita oggi, comprendeva in origine soltanto 12 Sonate, alle quali la edizione della Haendel-Gesellschaft ne aggiunse altre tre. Esse sono scritte per una parte solistica (che poteva essere - come si rileva dalla dicitura originale - tanto il flauto o l'oboe quanto il violino) con accompagnamento di basso continuo per arpsicordo o violoncello. Il fatto che tali sonate siano concepite indifferentemente per strumenti di cosi diversa natura e timbro risiede, per dirla in breve, nella sensibilità «astratta» e «atimbrica» allora assai diffusa particolarmente nell'ambito della musica da camera; senza escludere, nel caso specifico di Haendel, che la polivalenza strumentale assicurava a quelle opere una più larga sfera di accoglienza e di smercio.
Il taglio della presente Sonata in mi, come di quasi tutte le Sonate a solo di Haendel, è quadripartita: adagio-allegro-adagio-allegro, dove i tempi lenti sono per lo più brevi, con funzione introduttiva ai successivi allegri. Il che è confermato anche dall'itinerario armonico del Largo che, in do diesis minore, termina sulla dominante; il che equivale a dire che il discorso termina non con il punto fermo ma con i due punti.
Incertezza nella paternità per la Sonata in mi maggiore op. 1 n. 15 HWV 373, che esordisce con un Adagio altrettanto convincente nel suo lirismo disteso (della stessa mano felice dell'op. 1 n. 14, forse händeliana?). Lo segue un Allegro bipartito, che affida alle batterie di semicrome, variamente fraseggiate, il compito di contrastare il movimento d'apertura con un dinamismo misurato, la cui vocazione "da camera" risulta del tutto estranea a qualsiasi orizzonte contrappuntistico. A un incedere da sarabanda arieggia anche il Largo, mentre ogni indugio è dissipato nel riferimento a un'altra danza, il minuetto, dell'Allegro conclusivo, bipartito come ogni danza, né privo dell'interesse supplementare assicurato da spezie ritmiche che fioriscono e variano il modello base.
Raffaele Mellace