Concerto n. 1 in do maggiore per violoncello ed orchestra, Hob:VIIb:1


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Moderato (do maggiore)
  2. Adagio (fa maggiore)
  3. Allegro molto (do maggiore)
Organico: violoncello solista, 2 oboi, 2 corni, 2 violini, viola, basso continuo
Composizione: 1765 circa
Edizione: Artia, Praga, 1963 in Musica Viva Historica XII
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Il principe era pienamente soddisfatto del mio lavoro, ero apprezzato, avevo a disposizione un'orchestra per fare esperimenti ed osservare cosa rafforzava e cosa indeboliva un effetto e quindi potevo perfezionare, cambiare, eliminare e provare soluzioni nuove; ero isolato dal mondo, non c'era nessuno intorno a me che potesse sviare o turbare il mio lavoro e così fui costretto a diventare originale». Da queste parole di Haydn il suo più che trentennale lavoro presso i principi Esterhazy è descritto come qualcosa di molto diverso dal servizio umiliante e gravoso di cui parlavano biografi e critici d'estrazione romantica, che tendevano a sottovalutare la musica di Haydn proprio perché la riferivano a un modus vivendi irriducibile allo stereotipo romantico del genio. Ma oggi non c'è nessuno che non riconosca in Haydn uno dei più straordinari geni di tutta la storia della musica, che ha segnato indelebilmente per oltre un secolo i successivi sviluppi della musica strumentale, particolarmente nel campo della Sinfonia e del Quartetto. Non è invece nei Concerti solistici che si deve cercare la più alta espressione del suo genio: il carattere più leggero e disimpegnato del Concerto rispetto al Quartetto e alla Sinfonia e l'obbligo di dare spazio al virtuosismo dell'interprete ostacolavano la sua concezione della musica come costruzione in cui tutto si sviluppa dalle premesse iniziali in modo profondamente razionale, logico, equilibrato ed essenziale.

Questo non esclude affatto che alcuni dei Concerti di Haydn siano assolutamente degni del loro autore per inventiva, grazia, allegria, buonumore, spirito, serenità, vivacità, come il Concerto n. 1 in do maggiore per violoncello e orchestra, uno dei più pregevoli dei circa venti (l'incertezza sul numero dipende dalla dubbia autenticità di alcuni di questi lavori) Concerti composti da Haydn per i più vari strumenti.

Di questo Concerto si erano perse le tracce fino al 1961, quando il musicologo ceco Oldrich Pulkert ne scoprì una copia manoscritta settecentesca al Museo Nazionale di Praga: la prima esecuzione moderna avvenne proprio nella capitale dell'allora Cecoslovacchia, il 19 maggio 1962. Questa copia del Concerto era appartenuta a Joseph Weigl, che fu violoncellista dell'orchestra degli Esterhazy dal 1761 al 1769, quindi è estremamente probabile che Haydn lo abbia composto (forse espressamente per lui) in quegli stessi anni. Sebbene sia meno impegnativo per il solista dell'altro Concerto di Haydn per violoncello (quello in re maggiore del 1783), anche questo contiene passaggi di notevole difficoltà: il virtuosismo è scintillante ma non ostentato, con un naturale equilibrio tra dimostrazione di bravura e interesse puramente musicale, mentre sono evitati quei contrasti accesi e drammatici tra solista e orchestra che saranno tipici del concerto ottocentesco.

Il Moderato iniziale è in bilico tra la forma del Concerto barocco, (un ritornello orchestrale intervalla i diversi episodi solìstici) e la forma classica, che Haydn andava proprio allora elaborando (il tema principale è leggermente elaborato a ogni ritorno). Mentre gli interventi orchestrali sono ritmicamente scanditi, con un andamento quasi di marcia, gli episodi solistici hanno un carattere più lirico e melodico, ma il solista ha anche un momento per dimostrare forza e brillantezza. L'Adagio, in fa maggiore, è in forma di romanza: il tono è austero ma anche intimo, col solista accompagnato lievemente dai soli archi, mentre gli oboi e i corni tacciono. La struttura dell'Allegro molto conclusivo ricorda nelle gradi linee quella del primo movimento, ma è più vicina alla forma classica perché vi si può facilmente identificare una sezione centrale di sviluppo seguita da una ripresa della parte iniziale: è un movimento splendido per vitalità, arguzia e inventiva, su cui la tonalità minore che appare nella parte finale dell'introduzione orchestrale stende un leggero velo d'ombra.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto n. 2 (nota 2)

Il Concerto n. 1 in do maggiore per violoncello, che lo stesso Haydn cita in un catalogo autografo delle proprie opere cominciato insieme a Joseph EIsser verso il 1765 (Enttaurf-Katalog), fu composto probabilmente tra il 1761 e il 1765. In seguito Io si credette perduto. Venne ritrovato dal musicologo cecoslovacco Oldrich Pulkert, bibliotecario del Museo Nazionale di Praga, in una raccolta di manoscritti del XVIII secolo ivi conservata (la collezione Radenin).

La prima esecuzione moderna del Concerto così riscoperto fu data dal violoncellista Milos Sádlo il 19 maggio 1962, a Praga, con l'orchestra della Radio Cecoslovacca diretta da Charles Mackerras, ottenendo subito un grande successo che procurò al Concerto un'immediata diffusione internazionale. È da credere che il Concerto sia stato composto per Joseph Weigl, violoncellista dell'orchestra di corte degli Esterhàzy lungo quasi tutti gli anni Sessanta.

Il primo tempo, Moderato, procede deciso e ritmicamente misurato con un andamento quasi di marcia, e sta formalmente in bilico fra Ìl modello del concerto barocco e quello moderno del tempo di sonata, che lo stesso Haydn andava fissando; ad ogni sua ripresa il tema principale appare leggermente modificato. Nell'Allegro molto finale ricorre con particolare spicco il ritornello iniziale, al modo che appariva anche nel concerto barocco, ma con la brillantezza arguta qui già tipica dì Haydn.

Guida all'ascolto n. 3 (nota 3)

Haydn si dedicò alle composizioni di concerti per strumento solista e orchestra per lo più nei primi anni del suo servizio presso la famiglia Esterhàzy. Nel 1761, ma secondo alcuni già l'anno precedente, Joseph Haydn aveva abbandonato infatti la carriera di "libero professionista" a Vienna per entrare alle dipendenze della famiglia principesca ungherese. Questo rapporto sarebbe durato trent'anni, un periodo in cui il musicista ebbe modo di sperimentare e di collaudare soluzioni compositive diverse dal consueto e, soprattutto, di poterle verificare nelle esecuzioni che si tenevano regolarmente almeno due volte la settimana nelle residenze principesche di Eisenstadt e di Esterhàza. Soprattutto il primo decennio presso gli Esterhàzy fu un periodo estremamente favorevole che vide un ampliamento e uno sviluppo delle facoltà compositive vertiginoso.

È in questo periodo che si situa la nascita del Concerto in do maggiore, di cui non si conosce con precisione la data di composizione: come molte composizioni coeve andò dispersa, per essere ritrovata solamente nel dopoguerra in una copia manoscritta non autografa e non datata negli Archivi di Stato di Praga. La sua presenza nell'Entwurf-Katalog, il catalogo delle proprie composizioni che Haydn redasse nel 1765, la fa tuttavia ritenere collocabile nei primi anni di permanenza ad Eisenstadt, dove Haydn aveva alle proprie dipendenze una orchestra di almeno una dozzina di elementi stabili, alcuni dei quali musicisti di notevole qualità. Confermano questa datazione anche la dedica al violoncellista Joseph Weigl senior - in servizio presso gli Esterhàzy dal '60 al '69 - e l'elevato virtuosismo della parte solistica, soprattutto nell'ultimo movimento, un indice del notevole livello qualitativo dei musicisti di casa Esterhàzy.

Il Concerto presenta un primo movimento in una forma-sonata non pienamente compiuta nella sua dialettica tonale tra i due temi, mentre diversi elementi lo fanno avvicinare più al periodo precedente che non a un compiuto Classicismo viennese. Il più vistoso di questi è riscontrabile nel tema di apertura con il suo andamento maestoso su ritmi puntati, mentre anche l'incedere implacabile dell'orchestra negli accompagnamenti del primo movimento è retaggio dell'epoca da cui proprio Haydn, attraverso la sua opera, si distaccherà completamente. Il movimento presenta inoltre un'abbondanza di idee che mal si conciliano con una forma-sonata nettamente delineata e con idee non-tematiche di ricchezza melodica superiore ai due temi effettivi. Si apre con l'esposizione orchestrale e i due temi, l'uno più marziale, l'altro poco sviluppato ed interessante, sono completati da code e da raccordi che finiscono con l'assumere una ampiezza e una forza espressiva che, soprattutto nel caso del secondo tema, li farà riprendere in vari luoghi della composizione. L'entrata del solista sull'idea di apertura è seguita da progressioni sui materiali della coda e dalla riesposizione orchestrale dei due temi in rapida successione sulla dominante. Lo sviluppo presenta un discorso musicale prevalentemente affidato al solista, con l'orchestra in funzione di accompagnamento: è questo il luogo dove l'inventiva del giovane Haydn procede senza conoscere ostacoli, con il solista impegnato in passaggi di notevole agilità e virtuosismo alternati a momenti di grande espressività. L'intervento dell'orchestra con progressioni sugli elementi della coda del secondo tema conduce alla ripresa nella tonalità di impianto. È ancora il solista a introdurre questa sezione dove invano si attenderebbe il secondo tema: le divagazioni del violoncello portano direttamente al materiale utilizzato per le relative code. La cadenza del solista, seguita dall'ultima ripresa del tema iniziale, chiudono il movimento.

L'Adagio che segue, nella tonalità della sottodominante, conserva la sincerità e l'ottimismo del movimento di apertura con una unica increspatura drammatica subito dopo la ripresa del tema principale, introdotto dall'orchestra e ripreso dal solista, di cui vengono ora evidenziate le doti di espressività e cantabilità. Il movimento presenta una breve sezione contrastante, anch'essa risolta nel segno della più cordiale affettuosità, che non interrompe il canto dialogante tra orchestra e solista.

L'ultimo tempo è come di consueto un rondò di grande brio e brillantezza, con il solista severamente impegnato in passaggi di agilità che ne esaltano la maestria tecnica in un tour de force senza respiro. Un finale in cui ancora la qualità dell'invenzione del giovane Haydn spazia senza soluzione di continuità e che rappresenta la appropriata conclusione di una composizione estroversa e gioiosa in cui non interviene alcun'ombra a turbare un discorso musicale completamente positivo.

Andrea Rossi Espagnet


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 17 Marzo 2001
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 maggio 1996


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Ultimo aggiornamento 2 novembre 2014