Messa in do maggiore "in tempore belli" (Paukenmesse), Hob:XXII:9


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto a quattro voci, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi e continuo (organo)
Composizione: 1796
Prima esecuzione: Vienna, Piaristen (Maria Treu-Trost) Kirche, 26 dicembre 1796
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1802
Struttura musicale

Kyrie
Gloria
Credo
Sanctus
Benedictus
Agnus Dei

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Missa in tempore belli è la seconda delle sei grandi messe che Haydn scrisse negli ultimi anni di attività, tra il 1796 e il 1802. Il titolo, che si trova sulla partitura autografa e che quindi risale al compositore stesso, allude evidentemente alla situazione politica in cui si trovava l'impero asburgico in questo turbolento periodo: i territori italiani erano stati infatti occupati dalle truppe napoleoniche, e scontri tra Francia e Austria erano in atto nella Germania meridionale. L'instabilità politica e militare, insomma, si riflette sia in questa che nella successiva messa di Haydn, la Missa in angustiis (anche nota come "Nelson-Messe"). Si spiega così la particolarità di questa composizione, nella quale diversi elementi convenzionali, tipici della tradizione liturgica austro-ungarica e Viennese, si accostano a tratti originalissimi e assolutamente insoliti nella resa musicale del testo della messa.

Le prime tre sezioni della Missa in tempore belli ricevono un trattamento piuttosto convenzionale, sia nella resa del testo che nell'articolazione formale. Per esempio la tripartizione del Gloria e del Credo, con una sezione centrale più rilassata che prevede l'ingresso delle voci soliste ("Qui tollis" nel Gloria, nel quale è particolarmente notevole la melodia espressiva affidata al violoncello solo; "Et incarnatus est" nel Credo), si ritrova anche nelle precedenti messe haydniane, così come nelle messe di Mozart. Per quanto riguarda poi la resa musicale del testo - la "drammaturgia" della Missa in tempore belli - basterà fare un solo esempio e osservare il contrasto che Haydn costruisce in uno dei momenti emozionalmente più intensi del Credo tra lo spegnersi delle voci nel registro grave sulle parole "Et sepultus est" (Adagio, in modo minore) e il moto ascendente dell'"Et resurrexit" (Allegro, in Maggiore): due gesti espressivi che alla fine del Settecento avevano già una storia plurisecolare. La scrittura fugata è ancora più tradizionale in questo repertorio, e Haydn ce ne offre alcuni esempi particolarmente elaborati all'inizio e alla fine dello stesso Credo.

Accanto a questi istanti dal sapore convenzionale si trovano, come detto più sopra, diversi elementi innovativi, in alcuni casi perfino sorprendenti. Il più noto tra questi, riecheggiato nel titolo della composizione, è senza dubbio l'inserimento di materiali musicali dal sapore "militaresco": squilli di trombe, fanfare, rulli di timpani. Si tratta a ben vedere di una caratteristica che in una composizione religiosa non era esattamente inusuale - basta pensare al tono trionfale di tanti Te deum, a partire almeno dalla fine del Seicento -, ma certo i rulli di timpani e le ricorrenti fanfare degli strumenti a fiato che Haydn inserisce nell'Agnus Dei della Missa in tempore belli creano un'atmosfera inquieta, un senso di minaccia incombente (e crescente: il primo "Agnus" è in Maggiore, piano, il secondo, dopo il rullo dl timpano, si presenta invece in minore, forte) che non hanno precedenti nel repertorio, e che danno una forza speciale all'invocazione "Dona nobis pacem" con cui si conclude il testo liturgico. Una evidente anticipazione di questa atmosfera viene annunciata nel Benedictus, che contrariamente alle usanze dell'epoca comincia in modo minore ed è basato su brevi e nervosi motivi delle voci soliste (i compositori Settecenteschi tendono invece a scrivere dei Benedictus rilassati, percorsi da ampie e soavi melodie: un'atmosfera che Haydn sembra voler recuperare solo nelle ultime battute del brano). Senza dubbio, Beethoven si ispirerà proprio a questa composizione haydniana quando deciderà di inserire materiali musicali ancora più minacciosi e guerreschi negli Agnus Dei delle sue due grandi Messe, l'op. 86 e soprattutto la Missa Solemnis.

Giovanni Bietti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Missa in tempore belli, del gruppo delle sei ultime messe di Haydn, fu composta nel 1796. II suo primo titolo deriva evidentemente dalle circostanze belliche, mentre l'altro (Paukenmesse) dagli effetti strumentali ricorrenti nella composizione. La preghiera di pace, cioè l'Agnus Dei, con cui termina anche la Missa in tempore belli, è accompagnata infatti da trombe e tamburi, suoni che erano divenuti familiari nell'Europa del vecchio Haydn, sconvolta prima dalla rivoluzione francese, poi dalle imprese napoleoniche.

La situazione dell'Europa negli anni 90 è riflessa anche nella successiva messa haydniana, la Nelsonmesse (del 1798): tuttavia, nonostante gli effetti particolari, che intendono richiamare immagini marziali, anche queste due messe, come le altre del gruppo, sono intonate a un sentimento profondamente religioso e devozionale. Le sezioni contrastanti delle singole parti hanno molto in comune con i movimenti contrastanti accostati da Haydn nelle sinfonie. L'attacco del Kyrie (Largo), precedente l'Allegro moderato poi sviluppato per 93 battute, è, per esempio, di netta concezione sinfonica, nonostante la partecipazione delle voci. Ma i contrasti dipendono anche dal senso dei testi, che esigono ora lentezza, ora scorrevolezza, ora vivacità. Così il "Qui tollis", nel Gloria, vuole essere intonato lentamente, in diversa tonalità fra le due sezioni rapide, su le parole "Gloria in excelsis Deo" e "Quoniam tu solus sanctus", che nella Paukenmesse sono rispettivamente un Vivace e un Allegro in do maggiore, mentre l'Adagio centrale è in la maggiore. Struttura simile ha anche il Credo, che chiede lentezza alle parole "Et incarnatus", e dinamicità all'inizio, nonché nuovamente alle parole "Et resurrexit": nella Paukenmesse le sezioni sono, nell'ordine di successione, un Allegro in do maggiore, un Adagio in do minore, un Allegro seguito da un Vivace fugato ("Et vitam venturi"), entrambi ancora in do maggiore; l'idea della resurrezione è forse adombrata dai disegni ascendenti, ricorrenti a partire dall'Adagio. Dopo il semplice Adagio del Sanctus, nella tonalità d'impianto della Messa e l'Andante del Benedictus, ivi in do minore, viene a concludere l'opera l'Agnus Dei (di cui si è detto), con le sue militaresche suggestioni. L'esecuzione ebbe luogo a Vienna, forse per la prima volta, il 26 dicembre 1796.


(1) Testo tratto dal programma di sala del concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Roma, Auditorium Parco della Musica, 13 dicembre 2018
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001


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Ultimo aggiornamento 11 gennaio 2019