Quartetto per archi n. 17 in fa maggiore, op. 3 n. 5, Hob:III:17


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Presto (fa maggiore)
  2. Andante cantabile (do maggiore)
  3. Menuetto (en fa maggiore) e Trio (si bemolle maggiore)
  4. Scherzando (fa maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1777
Edizione: Bailleux, Parigi, 1777
Guida all'ascolto (nota 1)

Haydn fu certamente uno dei promotori principali del quartetto classico di forma moderna, in cui si fonde lo stile omofonico con il polifonico sulla base della elaborazione tematica che costituisce l'ossatura e la struttura tecnica di questo tipo di composizione. Ma al quartetto, così come poi verrà concepito e sviluppato da Mozart e da Beethoven, il maestro austriaco arrivò per gradì, dopo che ne aveva scritti, prima del 1771, ben trentadue di stampo e di gusto rococò, sostanzialmente non diversi da quelle forme musicali che andavano sotto il nome di divertimenti, cassazioni e serenate. Di questi trentadue quartetti dell'età giovanile, diciotto facevano parte di un primo gruppo costituito dalle op. 1, 2 e 3, uscite tra il 1755 e il 1764-'65 e caratterizzate da un gioco strumentale elaborato e vivace dialetticamente.

In fondo, anche il secondo gruppo delle op. 9 e 17, comprese fra il 1769 e il 1771, non si differenzia molto stilisticamente dal primo, se non per una maggiore padronanza della tecnica strumentale. Bisogna arrivare all'op. 20 e ai sei cosiddetti «Quartetti del sole» per avvertire una concezione più libera e autonoma sotto il profilo tematico, con l'inserimento e l'applicazione più articolata e approfondita del contrappunto e della fuga. Una volta scritte le fughe dei «Quartetti del sole» il maestro di Rohrau cercò di studiare meglio il discorso strumentale a quattro, finché intorno al 1781 compose i sei «Quartetti russi» e li dedicò al granduca Pavel Petrowitsch con queste significative parole: «... essi sono in forma interamente nuova, come mi è riuscito di fare dopo non averne più scritti per dieci anni». E difatti il quartetto d'archi aveva acquistato con l'opera 33 la sua fisionomia di disinvolta modernità dialettica. Dopo i «Quartetti russi», che fra l'altro hanno lo scherzo al posto del minuetto, Haydn pubblicò nel 1787 i sei Quartetti dell'op. 50, dedicati a Federico Guglielmo II di Prussia e appartenenti alla produzione della maturità, insieme ai sei Quartetti dell'op. 54, 55 e 64 dedicati al dilettante violinista viennese Tost, ai Quartetti dell'op. 71-74 dedicati al conte Erdoedy, e ai due ultimi Quartetti dell'op. 77, senza considerare l'incompiuto Quartetto che reca il numero 103 di opus, composto nel 1803 con queste tristi e indicative parole apposte sotto il tempo Adagio: «Hin ist alle meine Kraft, alt und schwach bin ich» (Perduta è la mia forza, io sono vecchio e debole).

La caratteristica concertante, brillante sicura e spigliata, dello stile di Haydn si impone subito e di slancio sin dal primo movimento (Presto) del Quartetto in fa maggiore op. 3 n. 5, che si snoda con straordinaria freschezza melodica nel pieno rispetto di un chiaro discorso classicista. L'inventiva del musicista tocca il momento più felice nell'Andante cantabile, strutturato come una serenata o un'aria all'italiana con quella melodia così dolcemente suadente e pastosa affidata al primo violino e leggermente sorretta da un pizzicato di pungente effetto emotivo e tale da immergere l'ascoltatore in un clima di estasiata contemplazione. Il Minuetto ha l'andamento di una danza agreste, che si nobilita e si raffina, per così dire, nel Trio successivo, ricco di amabile e cordiale musicalità. Lo Scherzando finale, punteggiato, da frasi incisive e armonicamente bene amalgamate, si richiama all'atmosfera serena del tempo iniziale del quartetto, che, come le altre composizioni del genere scritte da Haydn, piacquero molto a Goethe, il quale espresse in proposito questo giudizio: «Si ascoltano quattro persone intelligenti che conversano fra di loro, ci si propone di trarre vantaggio dal loro discorso e d'imparare ciò che di peculiare hanno da dire gli strumenti».


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 27 gennaio 1984


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Ultimo aggiornamento 31 marzo 2012