Sinfonia n. 101 in re maggiore "The Clock" (L'orologio), Hob:I:101

Sinfonia di Londra n. 11

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Adagio (re minore); Presto (re maggiore)
  2. Andante (sol maggiore)
  3. Minuetto: Allegretto (re maggiore) e Trio
  4. Finale: Vivace (re maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Londra, 3 marzo 1794
Prima esecuzione: Londra, Hanover Square Rooms, 3 marzo 1794
Edizione: André, Offenbach, 1799
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel settembre del 1790, dopo la morte del principe Nicolaus Esterhàzy, Joseph Haydn quasi sessantenne si trovò a godere di una grande libertà professionale e artistica; rimasto al servizio degli Esterhàzy in modo poco più che nominale tentennò a lungo se accettare l'offerta di un nuovo impiego presso Ferdinando IV a Napoli (amava l'Italia e ne conosceva bene la lingua); ma l'indecisione fu rotta da un dinamico violinista tedesco, Johann Peter Salomon, impresario di concerti a Londra, che in breve convinse Haydn ad una tournée in Inghilterra. Due furono i viaggi, nel 1791-92 e nel 1794-95, segnati dall'incontro con musicisti di tutto il mondo, dalla laurea ad Oxford e da ripetuti trionfi nella vivacissima società concertistica della Capitale.

Nel corso delle due residenze londinesi, feconde in ogni campo strumentale e vocale, Haydn corona il suo edificio sinfonico con le ultime dodici Sinfonie (nr. 93-104) composte per i concerti Salomon, una serie di capolavori in cui si compendia il linguaggio musicale del secolo XVIII e modello vincolante ancora per Beethoven, Schubert, Rossini e Weber. Nelle "londinesi" c'è una sorta di ampliamento di tutti gli elementi maturati nella lunga carriera creativa di Haydn; già l'orchestra accoglie stabilmente clarinetti, trombe e timpani, prima usati solo in vista di "Sinfonie solenni": e poi tutto il tessuto rivela una grana più robusta di intrecci e combinazioni, come se la punta secca dell'incisore sia stata sostituita dall'ampio tratto del pennello, ed è lecito supporre che in questa direzione severa e monumentale abbiano influito le tre grandi Sinfonie di Mozart dell'estate 1788 (la "Jupiter" è stampata nel 1793, fra il primo e il secondo viaggio a Londra).

Rispetto a Sinfonie e Quartetti precedenti, e salvo rare eccezioni, di nuovo nelle "londinesi" c'è ancora un minore radicalismo di pensiero sonatistico: si ritrovano nette divisioni fra canto e accompagnamento e c'è anche posto per uscite solistiche di matrice barocca. Ma questi aspetti sono poi uniti a una caratterizzazione tematica sempre crescente, e soprattutto dal distacco di chi sa padroneggiare e giocare con ogni forma; in questo senso, in questa capacità di governare da sopra le forme più collaudate, alcuni contemporanei vedevano in Haydn, non oziosamente, un equivalente musicale di Laurence Sterne, per icasticità, umorismo, ironia; in realtà, le Sinfonie "londinesi" sono un monumento alla certezza e assolutezza del linguaggio musicale, una sonora smentita a decenni di argomentazioni teoriche sulla inferiorità della musica strumentale, sulla sua inettitudine a significare alcunché.

La Sinfonia in re maggiore n. 101, denominata "L'orologio", appartiene agli anni del secondo viaggio a Londra e fu presentata al pubblico nel corso della stagione concertistica allestita da Salomon nel 1794. L'Adagio introduttivo è un tratto famigliare in Haydn, ma al posto della più consueta solennità cerimoniosa, qui l'introduzione serve a tratteggiare una zona scura e misteriosa, già presaga, in alcuni andamenti armonici, della rappresentazione del "Caos" con cui esordirà l'Oratorio La Creazione; l'effetto chiaroscurale si risolve nell'attacco del primo movimento, Presto, che spicca sul piedistallo introduttivo con la leggerezza di una danza in punta di piedi. Primo e secondo tema non si staccano né si contrappongono per diversità di figure, volutamente simili; quello che impressiona in questo primo movimento è il vigore delle deduzioni, delle variazioni e degli sviluppi, in una parola la logica compositiva: non solo lo sviluppo centrale è molto elaborato, con fitto ricorso alla scrittura fugata, ma anche la ripresa aggiunge nuove invenzioni, specialmente per via di una mobilità armonica piena di sorprese e di scarti improvvisi; poche battute prima della conclusione, sul tema esposto per l'ultima volta dai violini, il flauto sovrappone il tema di quattro note che conclude la Sinfonia "Jupiter" di Mozart: ancora un'allusione, un'ultima arguzia, ma anche la severa nobiltà di un simbolo.

È l'Andante che ha dato il nome di "L'orologio" alla Sinfonia, per il meccanico ticchettìo di archi pizzicati e fagotti in pianissimo che fanno da sostegno all'aperta melodia dei violini; Robbins Landon è incline a vedere nella pagina una certa adesione al gusto della sensazione particolarmente presente nel pubblico londinese: ma se è vero che Haydn si rivolge all'ascoltatore facendolo parte dei suoi segreti compositivi, la connivenza non ha mai il tono della superficialità, ma solo del gioco leggero sempre riscattato dall'intelligenza; Beethoven nella sua Sinfonia n. 8 riprenderà il tono umoristico di questa pagina. Il tema principale, esposto dai violini primi, ha qualcosa della Serenata nella disposizione piana e simmetrica: nel suo riapparire si presterà al cesello di sottili variazioni e alle lusinghe un po' impertinenti del flauto solo; al centro, perdurando lo stesso schema ritmico, si apre un episodio in tonalità minore, che presto assume uno stile di sviluppo sonatistico secondo una tendenza dominante in tutta questa Sinfonia.

Fedele al Minuetto settecentesco, Haydn ne modella all'infinito lo stampo; qui, nella Sinfonia n. 101, il respiro della frase è particolarmente grandioso, in contrasto con la immediata freschezza del Trio, dove il flauto solo si esibisce in un numero di equilibrio fra la sommessa approvazione degli archi. Il Finale (Vivace), senza mai fare la voce grossa, rivela una somma maestrìa compositiva: rondò, forma sonata, forma di variazione, tutto è messo a frutto, ma la grandezza di Haydn è nel gesto con cui lascia capire che si potrebbe anche fare di più, ma per educazione, per civiltà, è meglio restare nei limiti.

Giorgio Pestelli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sinfonia "della pendola", composta da Haydn a Londra nel 1794, è la nona delle dodici sinfonie haydniane chiamate "londinesi" perché scritte durante i due soggiorni del musicista nella capitale britannica. La Sinfonia fu presentata in concerto il 3 marzo 1794, durante la nuova serie dei dodici "Concerti Salomon", ragione principale del secondo soggiorno londinese di Haydn, che iniziato il 10 febbraio di quell'anno si prolungò fino al 12 maggio, per non avere altro seguito a causa di sopravvenute difficoltà organizzative e finanziarie dell'impresario. Il titolo della Sinfonia è dato dall'Andante in sol maggiore, il cui andamento viene scandito, all'inizio, dai fagotti con uno staccato isocrono raddoppiato dai pizzicati dei contrabbassi, dei violoncelli e dei violini secondi, in modo da imitare il ticchettio di un orologio a pendolo. Per originalità inventiva la n. 101 è certamente una delle più tipiche sinfonie di Haydn, in quanto il tratto fortemente caratterizzato, ovvero il fattore sorpresa, come quello che connota l'Andante, si concilia con una struttura formale di cristallina semplicità. Si possono ricordare: il contrasto fra la cupa atmosfera dell'Adagio introduttivo in re minore e la sprizzante vivacità del Presto successivo, in re maggiore, basato su un tema principale e uno secondario abbastanza simili da parere indifferenziati; l'ardita sospensione del secondo tempo (quello "della pendola") prima dell'improvvisa, ineffabile modulazione da sol maggiore a mi bemolle maggiore; la rude e paesana vigoria del Minuetto, al modo di un primitivo Landler, così come Haydn amava intendere simile danza; infine tutta la parte fugata dell'ultimo tempo, alla ripresa in maggiore dopo l'episodio in minore.

Guida all'ascolto 3 (nota )

Londra, 8 gennaio 1791. "...Ora sono di nuovo fresco e in buone condizioni, occupato a osservare questa città infinitamente grande qual è Londra. Le cui bellezze e meraviglie mi hanno davvero stupito. Ho fatto immediatamente le visite necessarie, come quelle all'ambasciatore napoletano e al nostro; entrambi mi hanno contraccambiato dopo due giorni, e quattro giorni or sono fui a pranzo dal primo - NB alle 6 del pomeriggio come è abitudine da queste parti.

Il mio arrivo ha provocato grande sensazione in tutta la città, e per tre giorni di seguito ho fatto il giro di tutti i giornali. Tutti vogliono conoscermi. Finora ho dovuto pranzare fuori sei volte e se avessi voluto sarei stato invitato ogni giorno, ma prima devo pensare alla salute e poi al lavoro. Fatta eccezione per l'aristocrazia, non ricevo nessuno prima delle due del pomeriggio e alle quattro pranzo a casa con Mon. Salomon. Ho una casa bella e confortevole ma costosa. Il padrone di casa, italiano, è anche cuoco e mi serve quattro pasti più che decenti... ma tutto è terribilmente caro qui. Ieri sono stato invitato al concerto di un famoso dilettante. Sono arrivato con leggero ritardo e quando ho mostrato il biglietto non mi hanno lasciato entrare, ma sono stato fatto accomodare in un'anticamera dove ho dovuto aspettare fino al termine del pezzo eseguito in quel momento. A questo punto la porta si è aperta e, al braccio dell'entrepeneur, sono stato condotto al centro della sala, dove tra il plauso generale sono stato ammirato e fatto oggetto delle congratulazioni degli inglesi. Mi hanno assicurato che da cinquant'anni a nessuno veniva riservata una simile accoglienza. Dopo il concerto sono stato condotto in una elegante sala attigua, dove la tavola era imbandita per tutti i dilettanti. Io avrei dovuto sedere a capotavola, ma poiché proprio quel giorno avevo pranzato fuori mangiando più del dovuto, con la scusa che non mi sentivo bene ho rinunciato all'onore; ciò nonostante ho dovuto brindare con del Borgogna alla salute di tutti i gentiluomini presenti, i quali, dopo aver contraccambiato il mio brindisi, hanno acconsentito che fossi accompagnato a casa. Tutto ciò, mia gentile signora, mi lusinga molto, tuttavia vorrei poter volare a Vienna per un breve periodo per lavorare in pace, perché il baccano che fa il popolino nel vendere le mercanzie sulla strada è insopportabile. Al momento sto lavorando alle sinfonie perché sul libretto dell'opera non sono state prese ancora decisioni...".

L'Haydn che scrive a Maria Anna von Genzinger è assolutamente inedito: viaggiatore, uomo di mondo, ricercato, celebrato. È il 1791: Mozart muore a trentacinque anni, Haydn a sessanta vive una seconda giovinezza. Wolfgang Amadè, che fin da bambino era montato in carrozza, viaggiatore frenetico, internazionale per scelta e per vocazione, se ne andava con un funerale di seconda classe senza il successo e la ricchezza che meritava e forse stava per raccogliere proprio in quell'anno.

Franz Joseph Haydn, il compositore degli Esterhàzy, per trent'anni a stipendio in una corte sensibile e colta ma piccola, che ogni mattina dava e riceveva il saluto del signore con la livrea a puntino, insieme al personale di servizio, il musicista noto ma appartato, per una vita chiuso nell'ovatta di un posto sicuro (che Wolfgang aveva lasciato diciottenne con un calcio nel sedere del capo delle cucine), nel 1791 usciva improvvisamente dal guscio e andava a Londra, raccogliendo onore, successo e denaro (fino ad allora aveva messo da parte circa 2.000 gulden; i tre anni inglesi gliene fecero incassare 24.000, di cui 15.000 al netto delle spese).

Morto nel 1790 il principe Nicolaus von Esterhàzy, Haydn rimaneva senza un datore di lavoro che "ancora negli ultimi anni di vita era insaziabile di musica". Il suo successore, Anton, non era tale, e tagliò volentieri i costi del compositore di corte e dell'orchestra (20 elementi). La stampa delle opere aveva fatto circolare nome e fama, così che le opportunità di un lavoro all'estero non erano poche: chiamavano Napoli, Parigi, Berlino, e anche in Austria qualche signore illuminato avrebbe speso volentieri una onesta cifra per avere Haydn come musicista di corte.

Tutti posti "d'onore", eppure Franz Joseph fece la scelta più eccentrica e rischiosa, quella da libero professionista che Mozart aveva abbracciato giovanissimo, reggendone le conseguenze - pur fra ricerche di introiti sicuri - con le unghie e con i denti. Johann Peter Salomon offrì un contratto a Londra per almeno sei sinfonie nuove e venti concerti, e Haydn accettò. Salomon era nato a Bonn. Violinista e impresario, aveva cominciato presto a girare l'Europa: prima Parigi, poi, dal 1781, stabilmente a Londra. Conosceva Haydn, conosceva la musica e molto bene le gerarchle di valori in campo, in quell'ultimo decennio del Settecento. E infatti, un'offerta simile la fece anche a Mozart, che rifiutò, non perché poco convinto, ma perché impegnato in altre direzioni, in quel momento. Il suo rifiuto non era affatto definitivo, solo un rinvio. La morte lo rese tale. Un destino londinese aspettava i due più grandi austriaci, là dove un tedesco, Händel, aveva scritto il capitolo più grande ed eccellente della musica inglese, in vetta e sulla scia di una corrente italiana che non aveva portato nella capitale più libera e cosmopolita del mondo solo castrati, cantatrici e compagnie teatrali, ma anche molta crema del violinismo italiano.

Londra era nel 1791 una città di circa un milione di abitanti, libera in politica e aperta in cultura. Haydn arrivò carico di quella notorietà che, alimentata dalla lontananza e al riparo dal rischio massmediologico della "sovraesposizione", genera facilmente il mito. Essendo tecnicamente attrezzato per reggere l'urto di questa fama circondata di leggenda, Haydn non solo non deluse le attese degli inglesi, ma con la reattività e lo spirito di adattamento che una vita in una corte "decentrata" non avevano assopito, produsse musica nuova per lui e attentamente disegnata sul nuovo pubblico.

Le Sinfonie cosiddette londinesi (dodici), o Salomon Symphonies, sono uno scarto dalla linea haydniana tradizionale, uno scatto e una evoluzione, sotto certi aspetti. Quello "evolutivo" è legato all'orchestra: per trent'anni Haydn aveva lavorato con un organico oscillante fra i 16 e i 22 elementi. Il padre della Sinfonia aveva elaborato il suo pensiero "grande" su un'orchestra che oggi consideriamo da camera. A Londra, Haydn si trovò a comporre per formazioni di almeno quaranta elementi, non molti se paragonati a quelli odierni (che però si sono gonfiati i muscoli con Beethoven, Brahms, Schubert, Mendeissohn, Strauss, Mahier, e comunque devono assennatamente sfrondarsi tornando a Haydn e Mozart), comunque il doppio dell'orchestra di Esterhàza.

Non necessariamente "evolutivo" è invece l'aspetto dello stile e del gusto: Haydn, che come Mozart conosceva bene, e ammirava, Händel, sapeva già su quale terreno muoversi per non far cadere l'appeal della Sinfonia oltremanica.

Il gusto britannico era, ieri come oggi, molto incline a farsi catturare dalla chiarezza delle idee, dalla solennità e soprattutto dagli effetti sorpresa. E Haydn diede questo: il rullo di timpano inatteso, il realismo militare, lo scatto della marcia, la citazione popolare, l'adagio che sbalza all'improvviso in ritmo veloce, il contrasto strumentale. Insomma l'estro dell'invenzione, magari un po' esteriore, ma invenzione, e piacevole perché retta dal gusto e dalla tecnica che nessun epigono o imitatore, come il suo allievo Pleyel, possedeva.

La Sinfonia in Re maggiore Hob.I101 è il frutto di un Haydn ormai molto british, che le bianche scogliere di Dover le ha riviste varie volte e a Londra è ormai di casa. La Sinfonia venne eseguita per la prima volta il 3 marzo 1794, nel quarto concerto della stagione, poco prima di ricevere la lettera del nuovo principe Esterhàzy, Nikolaus II, che intendeva riassumerlo come Kapellmeister per la ricomposizione dell'orchestra. Invito che avrebbe accettato dopo qualche riflessione.

L'Orologio che batte nella partitura è il basso ostinato dei fagotti e il pizzicato degli archi in crome del secondo movimento, che fanno da sottolineatura alle variazioni in sol minore delle voci superiori.

Ma insolito per ogni schema "ufficiale" della Sinfonia classica è anche il cupo Adagio introduttivo, che appena fa trasparire le fioriture del Presto in 6/8 in cui sfocia, già effetto sorpresa di parentela teatrale.

Al gioco delle dinamiche, dei diversi piani sonori e dei chiaroscuri tonali non sfugge nemmeno il Minuetto, dove violini e timpani vengono legati fra loro in un pianissimo denso di attesa.

Mentre il Finale, Sonata rondo che sventaglia dalla doppia fuga all'inciso in re minore da interludio beethoveniano, è uno dei più estesi, brillanti e vertiginosi movimenti conclusivi scritti da Haydn.

Londra l'internazionale aveva chiamato l'artigiano Haydn, e ne ricevette una Sinfonia ultimo modello, modemissima, personalizzata e con guida a destra.

Carlo Maria Cella

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Nel dicembre del 1790 Johann Peter Salomon, un violinista originario di Bonn che a Londra mieteva grandi successi anche come impresario, si recò a trovare Haydn, con l'intenzione di portarlo con sé nella capitale inglese e di farne il più prestigioso ornamento dei suoi già celeberrimi concerti. Non ancora sessantenne, Haydn godeva da pochi mesi quella piena libertà che per tanti anni gli era mancata: in settembre era morto il principe Nicola I Esterhàzy «il Magnifico», che l'aveva tenuto al suo servizio per quasi trent'anni, e il figlio di lui, Anton, aveva congedato il glorioso musicista, mantenendogli un incarico solo nominale e un onorario annuo di quattrocento fiorini; sommando questi ai mille assegnatigli per testamento dal defunto principe, Haydn si era trovato in condizione di campare egregiamente a Vienna, attendendo alle cure della sua arte senza più esser condizionato dagli obblighi di compositore di corte. C'è caso quindi che a tutta prima l'offerta di Salomon non gli fosse parsa allettante; ma la proposta di un salario annuo di milleduecento sterline e il richiamo di quella che era, dai tempi di Händel, una delle più prestigiose capitali della musica in Europa lo indussero ad accettare: così il 15 dicembre si mise in viaggio, per giungere a Londra in gennaio. Il soggiorno, che si protrasse fino al giugno del 1792, avrebbe segnato una svolta determinante nella sua esistenza umana e artistica: i trionfi che vi riportò sanzionarono la sua fama internazionale di maggior compositore vivente (l'Università di Oxford lo nominò Doctor of Music, pittori famosi gli fecero il ritratto), e soprattutto la sua produzione sinfonica si avviò a raggiungere le massime vette, con le sei Sinfonie composte su commissione di Salomon, alle quali è da aggiungere la Sinfonia concertante in si bemolle (n. 105) per violino, violoncello, oboe e fagotto. Partendo da Vienna, aveva preso affettuoso congedo da Mozart: non l'avrebbe riveduto più, e la morte del più giovane amico e «rivale» proprio durante i mesi passati a Londra l'avrebbe lasciato solo a dominare l'Olimpo della musica europea; ma durante il viaggio di ritorno una tappa a Bonn gli avrebbe fatto incontrare un giovanotto di ventidue anni, di talento così spiccato e interessante che Haydn gli promise aiuto e consiglio se fosse andato a raggiungerlo a Vienna: Ludwig van Beethoven. Due fatti simbolici, questi, della conclusione di un'epoca e dell'inizio di un'altra: sulla fase di trapasso Haydn impose la sua gloria, divenuta in certo senso «ufficiale» proprio con quel primo soggiorno londinese. Seguì un anno e mezzo di relativa tranquillità, prima che Haydn si rimettesse in viaggio per l'Inghilterra, dietro un nuovo invito di Salomon: un periodo che produsse, di rilevante, soltanto i sei Quartetti più tardi pubblicati a Londra come op. 71 e 74, ma durante il quale, con tutta probabilità, Haydn attese alla composizione almeno di parte delle Sei sinfonie con le quali avrebbe ripetuto i trionfi del primo soggiorno londinese. Nel frattempo era arrivato a Vienna Beethoven, che secondo gli accordi presi a Bonn si era messo, a scuola da Haydn; ma i due, come suol dirsi, «non si erano trovati», anche sul piano personale; Haydn si era dimostrato insegnante stranamente svogliato, quasi l'aver per allievo l'ombroso e indocile giovanotto tedesco («Gran Mogol», l'aveva soprannominato) lo infastidisse assai: al momento di partire per Londra, nel gennaio 1794, il vecchio compositore aveva proposto allo scomodo allievo di seguirlo in qualità di copista e famulus, ottenendone un rifiuto probabilmente desiderato e gradito.

Dal febbraio '94 all'agosto del '95 Haydn si trattenne dunque a Londra, godendosi i successi delle sei nuove Sinfonie, ultime delle oltre cento da lui composte nell'arco di trentacinque anni e oggi contrassegnate nel catalogo di Anthony van Hoboken con i numeri da 99 a 104, che vennero presentate al pubblico tra il febbraio '94 e l'aprile '95 sotto la direzione dello stesso autore. Insieme con le altre sei eseguite durante il primo soggiorno londinese, queste opere costituiscono il vertice del sinfonismo haydniano, configurando, a fianco delle Sinfonie della maturità di Mozart, a esse di qualche anno precedenti, la massima espressione sinfonica della classicità viennese. Forma, stile e lessico vi appaiono portati al massimo grado di perfezione; oltre questo limite non sarebbe stato possibile spingersi, se non avviando un marcato mutamento di prospettive: tant'è vero che il primo importante frutto sinfonico prodotto in seguito da quella tradizione, la Sinfonia in do maggiore di Beethoven, pur nell'apparente rispetto dei modi del tempo, in molte cose annuncia già le drastiche revisioni formali ed etiche con le quali «Gran Mogol» avrebbe aperto alla musica un'epoca nuova. Nelle Sinfonie «Londinesi» di Haydn, viceversa, tutto appare attestarsi nella robusta tranquillità di un equilibrio sicuramente collaudato: caratterizzano tutte queste Sinfonie un senso della forma espresso nel saldo governo di costruzioni divenute ormai considerevolmente ampie, una scrittura strumentale padrona di ogni risorsa di un organico orchestrale ricco di tinte, una maestria nell'elaborazione tematica capace di garantire la massima coerenza allo sviluppo del discorso musicale in tutto l'arco della composizione. E proprio la sicurezza irreversibilmente raggiunta consente al musicista anche moderati e ben distribuiti «sgarri»: così nella piena dignità del linguaggio melodico possono insinuarsi garbati ammiccamenti popolareschi, nell'armonioso panorama timbrico possono emergere caratterizzazioni di raffinato umorismo, il ritmo della composizione può interrompersi su brusche «sorprese» di effetto ben calcolato e parcamente dosato; quasi a stabilire con l'ascoltatore, più o meno «intendente», una conversazione che per esser seria non rinuncia a essere affabile e gradevole.

Tale è il caso anche della Sinfonia n. 101 in re maggiore, offerta al pubblico londinese il 3 marzo 1794, nota a tutti con il titolo L'orologio, appostole nel secolo scorso in riferimento al ritmo scandito e regolare che accompagna le entrate del tema nel secondo movimento. In essa, anzi, le caratteristiche più sorridenti e «olimpiche» dell'arte di Haydn emergono con particolare rilievo, apparendovi relativamente in secondo piano le istanze di intensa, e a volte perfino drammatica, espressività che avevano nutrito in misura non indifferente alcune delle sei Sinfonie composte in occasione del primo soggiorno londinese e la stessa Sinfonia n. 99, con la quale si inaugura la seconda e ultima serie; il che non impedisce comunque a quest'opera di tingersi sovente anche di colori tutt'altro che gioiosi o idillici, sì che il suo panorama espressivo ne risulta completo e consapevolmente articolato. L'inizio, del resto, con l'intensa profondità emotiva del breve Adagio introduttivo in minore, sembra preannunciare un clima di notevole serietà; ma il brusco mutamento di modo che segna l'avvio del Presto impone immediatamente un'atmosfera ben diversa: tutto il movimento si dipana con vivacità, in solida coerenza costruttiva, seguendo l'inarrestabile impulso ritmico dell'idea tematica principale, sviluppata con straordinaria e vigorosa fantasia attraverso un sagace uso dei contrasti e un'articolazione serrata ma ricca di respiro. L'Andante si apre sul tic-tac di fagotti e archi pizzicati che è valso alla Sinfonia il suo soprannome: su questo si innesta un motivo fluido e aggraziato, sottoposto a una serie di variazioni, nel corso delle quali si riaffaccia, in coincidenza con un ritorno al modo minore, una maggior densità espressiva. Il terzo movimento, come sempre nell'ultimo sinfonismo haydniano, amplia le tradizionali proporzioni del Minuetto quasi ad anticipare l'importanza degli Scherzi beethoveniani: all'andamento gentile e composto del Minuetto vero e proprio subentra nel Trio un'eccezionale inventiva ritmica e dinamica, tale da caratterizzare il brano come una delle più originali e incisive creazioni di Haydn. Il tono festoso del Finale, in forma di Rondò con variazioni, si appoggia ancora una volta a una poderosa elaborazione costruttiva, dando origine addirittura a una fuga, per concludersi con una Coda di travolgente vivacità.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della musica, 2 Aprile 2005
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto della Fondazione Teatro Lirico di Cagliari,
Cagliari, Teatro comunale, 10 Novembre 2000
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro della Pergola, 8 giugno 1981


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Ultimo aggiornamento 14 aprile 2017