Sinfonia concertante in si bemolle maggiore

per violino, violoncello, oboe, fagotto e orchestra, Hob:I:105

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro (si bemolle maggiore)
  2. Andante (fa maggiore)
  3. Allegro con spirito (si bemolle maggiore)
Organico: oboe, fagotto, violino e violoncello solisti; flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Londra, 1792
Prima esecuzione: Londra, Hanover Square Rooms, 9 marzo 1792
Edizione: André, Offenbach, 1796
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel 1790, Haydn, terminato il servizio di musicista di corte presso gli Esterhàzy, fu invitato a Londra da Johann Peter Salomon, celebre violinista e direttore d'orchestra d'origine tedesca, direttore di una fiorente e prestigiosa società concertistica. I due soggiorni nella capitale inglese, nel 1791-92 e 1794-95 segnarono per Haydn un trionfo: il compositore presentò le dodici Sinfonie cosiddette "londinesi", più questa Sinfonia concertante, eseguita per la prima volta, il 9 marzo 1792 sotto la direzione dell'autore, con Salomon al violino ed altri rinomati virtuosi nelle altre parti solistiche.

Il genere della Sinfonia concertante nasce da quello del Concerto grosso che godette di una grande fioritura tra gli ultimi decenni del '600 e i primi del '700. Portato in auge da Corelli e da Händel, era caratterizzato dalla presenza di un gruppo di strumenti solistici (per lo più archi, ma talvolta anche fiati) che dialogavano liberamente con l'orchestra, secondo un rapporto di pieni e di vuoti che la forma della Sinfonia concertante, nata nella seconda metà del Settecento presso i compositori della scuola di Mannheim, arricchì di tutte le caratteristiche strumentali, stilistiche ed espressive maturate nel frattempo. Così, in questa pagina di Haydn, il vecchio concertino si è trasformato in un quartetto, con due coppie di strumenti appartenenti a famiglie diverse - archi e legni - scelti in modo da rappresentare le quattro tessiture fondamentali, dal basso al soprano. A differenza di quanto avviene nel genere del Concerto, nella Sinfonia concertante i solisti non si oppongono all'orchestra come personalità indipendenti: emergono, invece, dalla massa e vi rientrano, collaborando ad un discorso "sinfonico" caratterizzato da una pittoresca varietà di colori timbrici.

Così fanno il violino, il violoncello, l'oboe e il fagotto che, durante l'esposizione orchestrale dell'Allegro d'apertura cominciano ad affacciarsi timidamente, in brevi passaggi di raccordo, rendendo quindi vivo il desiderio di ascoltarli più a lungo. Subito dopo, i quattro riprendono il tema principale, in cui una proposta cantabile è seguita da una capricciosa risposta ritmica. Si noti con quale maestria Haydn sappia conciliare due princìpi apparentemente antitetici: da un lato i temi sono frantumati in una serie di incisi, talvolta bizzarri, sempre imprevedibili; dall'altra questo discorso non dà la minima impressione di frammentarietà, perché tutto è reso unitario dalla coerenza deduttiva, caratteristica fondamentale dello stile classico viennese. Così, il gusto rococò per la capricciosa frastagliatura del disegno, che trionfa in questa composizione, perde ogni leziosaggine e diventa espressione di quella medesima fantasia combinatoria che, in chiave vigorosamente costruttiva, si afferma nelle Sinfonie londinesi: i temi attirano la nostra attenzione non tanto per la loro personalità, come avviene in Mozart, quanto per la vicenda di trasformazione, frantumazione, combinazione cui vengono ingegnosamente sottoposti da Haydn e organizzati in costruzioni perfette. Nessun altro artista del secondo Settecento ha saputo interpretare con maggiore poesia la lucidità della ragione illuministica nell'atto di ordinare, con splendente chiarezza, la varietà del mondo.

A differenza di quanto avviene nell'Allegro iniziale, nell'Andante i quattro solisti escono subito in primo piano, mantenendosi in equilibrio tra una scrittura concertante ed uno stile più impegnativo, non lontano da quello del quartetto d'archi. Il tema, dolcemente nostalgico e riposato, molto vocalistico nella sua effusione melodica, è variato e decorato con estrema grazia, mentre l'orchestra assolve a una semplice funzione di sostegno.

Dopo il raccoglimento cameristico del secondo movimento, l'Allegro con spirito ritorna alla dimensione sinfonica, riservandoci una curiosa sorpresa. L'incipit è inaspettatamente febbrile, e sembra introdurre la scena eroica di un'opera seria: impressione confermata, subito dopo, da un patetico recitativo del violoncello. Poi, il rondò parte con un tema dal carattere spiccatamente comico, che attrae i quattro strumenti solisti in capricciosi inseguimenti imitativi, brillanti uscite virtuosistiche come quelle del violino, imitato dal violoncello che passa all'orchestra il filo del discorso, e questa lo rilancia agli strumenti a fiato, in un continuo gioco di scambi, vivacissimo e arguto. La regola è l'imprevedibilità, la coincidenza tra estro e armonia, tra la volubile libertà dell'invenzione e la convergenza di ogni elemento in una costruzione equilibrata, perfettamente in sé conchiusa. A poco a poco dimentichiamo lo strano recitativo iniziale. Di modo che ci sorprende riascoltarlo ancora una volta, quando sbuca fuori, nel modo più imprevedibile, a spezzare la corsa del rondò, prima che questo possa riaffermare, un'ultima volta, la sua accesa vitalità.

Paolo Gallarati

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composta nel 1792, la Sinfonia con n. 105, concertante, fu eseguita la prima volta nei concerti di Salomon il 9 marzo dello stesso anno. Essa è in soli tre tempi, ma l'Allegro iniziale non presenta un'esposizione orchestrale, come per lo più nel concerto classico. I solisti entrano subito nel vivo della conversazione, che si svolge spiritosa e garbata, senza mai languire, con qualche sorprendente trapasso armonico e qualche drammatica pausa improvvisa, secondo lo stile ch'è proprio di Haydn. I tutti orchestrali intervengono raramente e soltanto per precisare il disegno formale del movimento. Le cadenze ai singoli strumenti sono fornite dall'autore stesso, in egual misura per ciascuno. Il carattere lirico dell'Andante centrale procede da una nobile frase del violino solista, il quale poi vi ricama sopra accompagnando gli altri strumentisti con svolazzanti trentaduesimi, mentre l'orchestra si mantiene discretamente sullo sfondo. L'Allegro con spirito comincia con un'aggressiva esposizione in ottava del tema principale (di tutti), che serve da introduzione a un recitativo in stile melodrammatico del violino solo; questo, a un certo punto, dà avvio con semplicità al movimento, ch'è in forma di rondò. Dopo una seconda ripetizione orchestrale del tema i quattro solisti si inoltrano in una serrata conversazione. Nel luogo della tradizionale cadenza riappare il recitativo dell'inizio. Ancora qualche trovata armonica, e qualche fuggevole pausa momentanea, e Haydn conclude nel modo che più gli è congeniale anche questa Sinfonia concertante.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nel dicembre del 1790 Johann Peter Salomon, un violinista originario di Bonn che a Londra mieteva grandi successi anche come impresario, si recò a trovare Haydn, con l'intenzione di portarlo con sé nella capitale inglese e di farne il più prestigioso ornamento dei suoi già celeberrimi concerti. Non ancora sessantenne, Haydn godeva da pochi mesi quella piena libertà che per tanti anni gli era mancata: in settembre era morto il principe Nicola I Esterhàzy «il Magnifico», che l'aveva tenuto al suo servizio per quasi trent'anni, e il figlio di lui, Anton, aveva congedato il glorioso musicista, mantenendogli un incarico solo nominale e un onorario annuo di 400 fiorini; sommando questi ai mille assegnatigli per testamento dal defunto principe, Haydn si era trovato in condizione di campare egregiamente a Vienna, attendendo alle cure della sua arte senza più esser condizionato dagli obblighi di compositore di corte. C'è caso quindi che a tutta prima l'offerta di Salomon non gli fosse parsa allettante; ma la proposta di un salario annuo di 1200 sterline e il richiamo di quella che era, dai tempi di Händel, una delle più prestigiose capitali della musica in Europa lo indussero ad accettare: così il 15 dicembre si mise in viaggio, per giungere a Londra in gennaio. Il soggiorno, che si protrasse fino al giugno del 1792, avrebbe segnato una svolta determinante nella sua esistenza umana e artistica: i trionfi che vi riportò sanzionarono la sua fama internazionale di maggior compositore vivente (l'Università di Oxford lo nominò Doctor of Music, pittori famosi gli fecero il ritratto), e soprattutto la sua produzione sinfonica si avviò a raggiungere le massime vette, con le prime tre Sinfonie di quella serie di dodici, dette appunto «Londinesi», nate su commissione di Salomon in questo e nell'altro periodo (1794-95) trascorso a Londra. Partendo da Vienna, aveva preso affettuoso congedo da Mozart: non l'avrebbe riveduto più, e la morte del più giovane amico e «rivale» proprio durante i mesi passati a Londra l'avrebbe lasciato solo a dominare l'Olimpo della musica europea; ma durante il viaggio di ritorno una tappa a Bonn gli avrebbe fatto incontrare un giovanotto di ventidue anni, di talento così spiccato e interessante che Haydn gli promise aiuto e consiglio se fosse andato a raggiungerlo a Vienna: Ludwig van Beethoven.

Proprio durante questa importantissima fase della sua carriera, nei primi mesi del 1792, Haydn scrisse quella Sinfonia concertante in si bemolle destinata a rimanere uno dei suoi contributi più preziosi alla composizione per strumenti solisti e orchestra. Non sono chiarissime le circostanze esterne della sua creazione: l'autografo del lavoro rivela una fretta sorprenden¬te, talché H.C. Robbins Landon giunge a immaginare che la Sinfonia sia stata composta dietro pressante richiesta di Salomon per rispondere in qualche modo alla pericolosa concorrenza dei «Professional Concerts» di Ignaz Pleyel. Il 27 febbraio infatti Pleyel aveva fatto eseguire con successo enorme una sua Sinfonia concertante con sei strumenti solisti: più che verosimile dunque l'ipotesi che Salomon abbia voluto parare il colpo del suo rivale il prima possibile. Fatto sta che il 9 di marzo - ed ecco allora spiegata la fretta della scrittura - Salomon portava al trionfo la Sinfonia concertante di Haydn, comparendovi egli stesso come violino solista insieme con tre strumenti di grande capacità e reputazione, il violoncello Menel, l'oboe Harrington e il fagotto Holmes: tanto il lavoro che l'esecuzione furono osannati da pubblico e critica, al punto che se ne dettero tre repliche nella stessa stagione. Fu particolarmente elogiata la prova di Salomon: un riflesso, oltre che della bravura del celebre violinista, del ruolo privilegiato che Haydn assegna nella sua Sinfonia al violino solista, definito in partitura «principale» mentre gli altri tre strumenti sono solo «obbligati».

Con questa pagina - degna a tutti gli effetti di portare a tredici il numero delle Sinfonie «Londinesi», vertice massimo del sinfonismo haydniano - il compositore che più di qualsiasi altro parve incarnare lungo tutta la sua parabola creativa la storia stilistica di quasi un secolo di musica pagò il suo unico tributo a un genere, quello della Sinfonia concertante, diffusissimo in tutto quel secolo stesso. In questa forma, celebrata anche da alcuni capolavori mozartiani, è forse da vedere la sopravvivenza di un'articolazione ancora barocca fra il «tutti» orchestrale e un concertino di più solisti, tipica del Concerto grosso; privata però di quella scansione fra pieni e vuoti che nel Barocco nasceva dall'alternanza dei robusti ritornelli della massa strumentale con le sortite, brevi e conchiuse in se stesse, del gruppo dei solisti. A rendere più omogeneo e fluido il decorso della composizione provvedeva, nelle Sinfonie concertanti del pieno Settecento, quell'esigenza di unità e coesione tematica che era dato ineliminabile della struttura sonatistica; e quanto peso quest'esigenza potesse avere nel musicista che meglio d'ogni altro conferì alla forma-sonata la sua più autentica identità, è facile immaginare. Di più, la robusta dimensione sinfonica connaturata a tutte le composizioni orchestrali di Haydn, e massime alle ultime, contribuiva a determinare, fatte salve le prerogative degli strumenti solisti, cui non si potevano negare le escursioni anche virtuosistiche e le sortite in prima persona, una profonda unità e organicità di tutta l'opera, attestata in una assoluta sicurezza formale. Ciò appare vero soprattutto nell'Allegro iniziale, ampio e vivace, dove il brillante rilievo tecnico ed espressivo dei solisti non interrompe la continuità della costruzione formale, ma vi si integra armoniosamente solo scostandosene nella cadenza. I quattro strumenti solisti sembrano invece assumere un ruolo di protagonisti nell'affettuoso Andante centrale (la Sinfonia è in tre tempi, richiamandosi in ciò alla tradizionale articolazione del Concerto classico), dove le risorse espressive di ciascuno di essi vengono indagate e sfruttate a fondo. Nel Rondò finale Haydn si concede una di quelle licenze che tante volte sbucano nelle solide architetture delle sue Sinfonie come da una scatola a sorpresa: dopo la brillante introduzione orchestrale è interrotta da un recitativo del violino solista, disegnando una sorta di scena d'opera senza parole; dopo un'altra di queste «partenze false» il movimento imbocca decisamente la sua strada, senza più giuocare tiri mancini all'ascoltatore, che si è divertito quanto basta. L'artificio che segna l'inizio di questo Finale non ha, certo, altro senso che quello di una innocua bizzarria, sotto il segno di un gusto per la drammatizzazione in termini di commedia delle forme musicali assolute che era tutt'altro che sconvolgente: è pretestuosa forzatura, dunque, tirare in ballo il Finale della Nona di Beethoven, anche se una vaga e curiosa somiglianza fra i due procedimenti indubbiamente c'è.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della musica, 14 gennaio 2012
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 30 gennaio 1981


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Ultimo aggiornamento 1 novembre 2017