Sinfonia n. 7 in do maggiore "Le Midi", Hob:I:7


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Adagio (do maggiore). Allegro
  2. Recitativo: Adagio (do minore). Allegro. Adagio
  3. Adagio (sol maggiore)
  4. Menuetto (do maggiore) e Trio
  5. Finale: Allegro (do maggiore)
Organico: flauto, 2 oboi, fagotto, 2 corni, clavicembalo, archi con violino, violoncello e contrabbasso concertanti
Composizione: Eisenstadt, 1761
Edizione: Kistner, Lipsia, 1881
Guida all'ascolto (nota 1)

Il contratto d'assunzione di Franz Joseph Haydn in qualità di Vice-Maestro di Cappella al servizio degli Esterhàzy reca la data del primo giorno di maggio del 1761. Era a quel tempo signore di quella nobile casata il Principe Paul Anton, il quale dovette ben apprezzare il talento di Haydn nei lunghi inverni viennesi degli Anni Cinquanta, quando costui si esibiva come Direttore di Musica e Compositore da Camera del Conte Morzin.

L'orchestra di quest'ultimo essendosi sciolta nell'autunno del '60 a causa dell'eccessivo suo costo, Haydn si trovò nelle migliori condizioni per accettare le offerte del mecenate ungherese ed apprezzarne la prodigalità (il contratto prevedeva un salario di 400 Gulden, pressappoco il doppio dell'emolumento ottenuto dal Conte Morzin}. Già nel 1761, dunque, il compositore offrì i suoi primi saggi di sinfonista al nuovo padrone, con la nota trilogia dedicata al Giorno e comprendente, col numero 7, la Sinfonia in do maggiore detta «Le Midi». Dal carattere in prevalenza concertante di questo saporoso lavoro può desumersi l'abilità che Haydn dispiegò subito nell'impostare la propria politica di relazioni con l'entourage di Eisenstadt. Al momento della sua assunzione, l'orchestra del Principe aveva goduto di un ulteriore ampliamento e forse raggiunto un ancor maggiore vertice qualitativo rispetto al passato. La cura manifestata in proposito da Paul Anton (apprezzabile solista, egli stesso, di violino e violoncello) s'era spinta sino all'invio a Venezia del primo violino, Luigi Tomasini, in profittevole stage per l'apprendimento della musica strumentale italiana; e, comunque, agli inizi del 1759 nuovi musicisti erano stati ingaggiati portando l'organico al livello numerico cui Haydn l'aveva trovata, nel '61: un flauto, due oboi, due fagotti, due corni, tre violini e un violoncello. E c'era, inoltre, una Cappella da chiesa comprendente, oltre il gruppo di vocalisti, una coppia di violini, un violoncello e un contrabbasso (altri due corni sarebbero stati assunti nel 1763).

Si trattava, nella totalità dei casi, di musicisti di mestiere e bravura comprovati, capaci all'occorrenza di alternarsi nell'uso dei vari strumenti; nulla di meglio, per il nuovo vice-maestro di cappella che conquistare la loro benevolenza esordendo con partiture che mettessero ben in mostra le virtù solistiche di ciascuno d'essi. Tanto più in quanto, sin dall'arrivo a Eisenstadt, Haydn s'era reso conto di dover farsi subito degli amici per vincere la preconcetta ostilità di almeno un personaggio: quel vecchio Gregor Werner che, in qualità di Maestro di Cappella, aveva fiutato forse nel giovane delfino lo stimolo di tempi nuovi, affatto indigesti alla propria allure di passatista, autore di severe e dimenticate musiche chiesastiche (G'sangdmacher, «scribacchino di canzoni» fu l'appellativo coniato dal geloso Werner per Haydn, reo di dedicarsi alle frivolezze della musica mondana. E in realtà, Werner vivo, il prudente Haydn non cimentò che occasionalmente nel genere vocale, con le Cantate scritte fra il 1763 e il 1764 per l'onomastico di Nicolaus, successore di Paul Anton).

Nacquero così, in ideale fusione di Concerto grosso, Suite, Sinfonia, Concerto solistico e Divertimento, le tre Sinfonie n. 6-8 schiudendo le porte, attraverso la felice commistione, a un nuovo e più fecondo modus contenente in potenza i germi della straordinaria evoluzione haydniana; la brillantezza e fantasiosità dell'elemento concertante, sorto dalla necessità pratica di valorizzare il gruppo strumentale di Eisenstadt, approdavano così nelle tre opere a rive sconosciute, denotando l'autonoma condotta dell'«a solo» strumentale, sposato alla solida struttura della sinfonia italiana.

Non si ha precisa notizia sul giorno della prima esecuzione della Sinfonia n. 7: si può con ragionevolezza pretendere di fissarne la data ad uno di quei martedì o sabato del pomeriggio musicale di Eisenstadt, dalle due alle quattro, quando l'orchestra si riuniva al gran completo alla presenza del Principe. Si sa che Haydn richiese per la «performance» almeno tre primi e tre secondi violini, due viole, due violoncelli e un violone o contrabbasso oltre al raddoppio del flauto. Cosa resa, del resto, possibile dal reclutamento di elementi dalla locale Chiesa di S. Martino e dal centro di Thurnermeister. La Sinfonia si apre con un breve Adagio fondato su una figura, tipicamente barocca, di ritmo puntato. Nel successivo Allegro prende forma la concezione concertante con l'ingresso di un vero e proprio «concertino» sulla tonica, al posto della consueta modulazione alla dominante, il che conferma l'inusuale sviluppo del movimento. Assente il flauto, sono gli oboi e il fagotto a partecipare al «concertino» con una condotta solistica di notevole rilievo.

L'idea principe dell'intera sinfonia si mette in luce, comunque, nell'originalissimo Recitativo che precede l'Adagio, costituendone come una prima fondamentale sezione: il violino solo, accompagnato dagli archi, suggerisce, secondo la pertinente osservazione di H.C. Robbins London, una parodia dell'eroina dell'opera seria metastasiana, dando luogo a un magnifico recitativo strumentale di cui la migliore tradizione classico-romantica serberà intatta e devota memoria.

L'effetto di sol maggiore dell'Adagio, dopo il si minore che conclude la cadenza del Recitativo vale a marcare i caratteri elisiaci del movimento lento, introdotto dai flauti; si sviluppa, dopo una regolare seconda parte, una lunga cadenza del violino e del violoncello sigillata alla fine dal «tutti» dell'orchestra.

Un grazioso Menuetto, giocato sulle sonorità dei legni e dei corni e sull'amabile «a solo» del violone del Trio, e la fervida gaiezza, interamente haydniana del Finale, con un ulteriore «concertino» dei due violini e del cello, concludono la sinfonia in un'aura di rimarchevole festosità.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 15 marzo 1974


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Ultimo aggiornamento 19 settembre 2013