Sonata n. 52 in mi bemolle maggiore per pianoforte, op. 92, Hob:XVI:52


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro (moderato)
  2. Adagio (mi maggiore)
  3. Finale. Presto
Organico: clavicembalo o pianoforte solo
Composizione: 1794
Edizione: Artaria, Vienna, 1798
Dedica: a Teresa Jansen-Bartolozzi
Guida all'ascolto (nota 1)

Haydn scrisse cinquantadue Sonate per pianoforte in un arco di tempo compreso tra il 1760 e il 1794; esse riflettono l'evoluzione stilistica del compositore che in questo specifico settore si rivelò meno innovatore che nella sinfonia. Egli si richiama pianisticamente ai modelli austriaci settecenteschi e alle indicazioni formali indicate da Carl Philipp Emanuel Bach, ma va riconosciuto come in certi atteggiamenti espressivi Haydn abbia saputo preannunciare procedimenti strumentali del giovane Beethoven. Nella maggior parte dei casi le Sonate haydniane per pianoforte non escono dall'hortus conclusus dello stile galante e brillante e rispettano le classificazioni di tonalità e di tempi già precisate e codificate dai predecessori attraverso la forma bipartita, che nel primo movimento racchiudeva i temi principali, mentre l'Andante comprendeva i tempi lenti e il Rondò chiudeva il pezzo in un clima di estroverso divertissement. In particolare nella Sonata per pianoforte Haydn si è preoccupato di curare con molta attenzione il Minuetto, ricavato dalla ricca fioritura della suite settecentesca. Ad onor del vero va detto che le Sonate composte dal 1790 in poi mostrano una maggiore varietà espressiva e risentono anche l'influenza di Mozart, senza tuttavia essere condizionate completamente dalle mode dell'epoca, come invece ritenne Wagner quando espresse il seguente giudizio in proposito: «Nelle Sonate pianistiche di Haydn ci sembra di vedere il demone della musica incatenato giocare innanzi a noi con l'infantilità di chi è nato vecchio ».

Giudizio troppo severo e non pienamente rispondente agli esiti raggiunti nella Sonata in mi bemolle maggiore, scritta nel 1794 durante il secondo soggiorno londinese del musicista, che la dedicò alla pianista Therese Jansen Bartolozzi. La Sonata è di largo e possente respiro (dura una ventina di minuti e fa parte del XVI volume del catalogo Hoboken) e regge su un impianto architettonico di stile classico. L'Allegro del primo tempo con il suo tema vigoroso e fortemente marcato imprime un senso volontaristico e di affermazione della personalità, anche se si è lontani da qualsiasi Sturm und Drang di stampo beethoveniano. Nell'Adagio si ritrovano la semplicità, la schiettezza, il delicato sentimento dell'elegia che appartengono alla più autentica espressività haydniana. Il canto melodico si snoda con inflessioni punteggiate da ornamenti tanto apprezzati da Chopin. Il Presto finale è sereno e gioioso, secondo quel descrittivismo della natura tipico dell'arte settecentesca, così sensibile agli echi del paesaggio e alle eterne vicende delle stagioni.

Non per nulla Goethe scrisse in «Kunst und Alterthum» (Arte e Antichità) che Haydn «è figlio delle nostre contrade e crea con naturalezza la musica. Temperamento, sensibilità, spontaneità, dolcezza, forza, infine le due caratteristiche stesse del genio, ingenuità e ironia: tutto questo appartiene a lui. Se tutto ciò, inconcepibile senza un profondo calore umano, è l'elemento costitutivo del suo essere, salutiamo la sua arte come antica nel miglior senso della parola. Tutta la musica moderna si basa su di lui. Ho sempre desiderato di poter dire sinceramente e calorosamente come sento, che l'accordo perfetto in cui si esprime il suo genio non è che la tranquilla risonanza di un'anima nata libera, chiara e casta. Le sue opere sono il linguaggio ideale della verità: ciascuna delle sue parti è necessaria ad un insieme di essa, è aspetto integrante, pur vivendo della propria vita».

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata in si bemolle maggiore (Cat. Hoboken n. 52) è stata composta nel 1794 a Londra per la pianista Therese Jansen-Bartoluzzi. Questa Sonata, l'ultima in ordine di tempo che Haydn abbia scritto, è anche la sua opera pianistica più celebre. Taluni accenti eroici del primo Allegro, il fervore lirico dell'Adagio centrale, lo humour del Finale (Presto): qui le anticipazioni del mondo emotivo di' Beethoven diventano vieppiù chiare. Ma è soprattutto sul piano formale che Haydn precorre, qui, i tempi. Uno studioso dell'autorità di F. F. Redlich la considera quasi come «uno studio sui rapporti fra tonalità distanti. Benché i suoi primi due movimenti siano in mi bemolle, lo sviluppo del primo tempo avviene in mi maggiore con una trasposizione del secondo tema in una tonalità che sarà usata per l'intero secondo tempo lento. Questa, a sua volta, termina con un accordo di mi maggiore, che contiene il terzo grado, un sol diesis. Incominciando il finale con il sol bemolle (ora usato come terza della nuova nota fondamentale dell'accordo di mi bemolle, maggiore) Haydn raggiunge un impressionante contrasto tonale, che anticipa i più audaci esperimenti di Beethoven».

Sul piano delle infrastrutture capillari, Haydn va ancor più in là: i singoli temi più che associarsi per contrasto e contrapporsi dialetticamente, come avverrà in Beethoven, sembrano sbocciare l'uno dall'altro serbando un'intima unità strutturale che preannuncia gli sviluppi che, nell'Ottocento, porteranno alla concezione ciclica della Sonata. I principali motivi dei primi due movimenti presentano tra l'altro una marcata affinità sul piano ritmico essendo costituiti in prevalenza da valori puntati. La differenziazione metrica e la frequente sensibilizzazione cromatica dell'armonia conferiscono a non pochi tratti di questi primi due movimenti un pathos che rivela, una dimensione più profonda dell'orizzonte affettivo di Haydn, così sereno e apparentemente spensierato. Tutta la giocondità, la verve e il caratteristico humour di Haydn tornano a prorompere invece nel Presto finale dove i cromatismi non velano più il solare diatonicismo delle armonie e i valori ritmici si fanno uguali per non frenare lo slancio dinamico, per non turbare la pura gioia del movimento.

Roman Vlad


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 18 dicembre 1981
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 20 aprile 1967


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Ultimo aggiornamento 7 giugno 2016