Il ritorno di Tobia, Hob:XXI:1

Oratorio per soli, coro ed orchestra

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
Libretto: Giovanni Gastone Boccherini

Personaggi: Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: 1775
Prima esecuzione: Vienna, Kärntnertortheateater, 2 Aprile 1775
Edizione: Holle, Wolfenbüttel, 1864
Argomento

L'azione si rappresenta ne' sobborghi di Ninive

Il libretto di Giovanni Castone Boccherini segue fedelmente il racconto biblico di cui sono protagonisti Tobit, che è cieco, sua moglie Anna, il figlio Tobia e la nuora Sara. Su richiesta del padre che si sente ormai prossimo alla morte, Tobia - accompagnato da una guida angelica che cela la propria identità ma che si rivelerà essere l'Arcangelo Raffaele - si è esposto ai pericoli di un viaggio per recuperare una somma di denaro che il padre aveva depositato presso un parente nella città di Rages. Sulla via del ritorno, durante una sosta presso il fiume Tigri, Tobia rischia di vedersi divorare da un grosso pesce ma, con l'aiuto dell'angelo, lo uccide. Tornato a casa con la giovane moglie Sara, restituisce la vista al padre con la bile estratta dal pesce.


Struttura musicale
  1. Ouverture - Largo (do minore). Allegro di molto (do maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Parte prima
  1. Pietà, d'un'infelice - Coro (Anna, Tobit, coro) - Largo (mi bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 fagotti, 2 corni, archi
  2. Ne comparisce, oh Dio! - Recitativo accompagnato (Anna, Tobit) - clavicembalo, archi
    Sudò il gueriero - Aria (Anna) - Allegro con brio (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
  3. Deh modera il dolor - Recitativo accompagnato (Tobit) - clavicembalo, archi
    Ah tu m'ascolta - Aria (Tobit) - Largo (fa maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
  4. Non è quello Azaria - Recitativo accompagnato (Anna, Raffaelle) - clavicembalo, archi
    Anna, m'ascolta - Aria (Raffaele) - Allegro (la maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
  5. Che disse? - Recitativo (Anna) - clavicembalo
    Ah gran Dio - Aria (Anna) - Allegro moderato (do maggiore) - flauto, 2 oboi, 2 corni, archi
    Ah grand Dio! - Coro (coro) - Allegro moderato (do maggiore) - flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi
  6. Sara, mia dolce sposa - Recitativo (Tobia) - clavicembalo
    Quando mi dona un cenno - Aria (Tobia) - Andante (mi maggiore/mi minore) - 2 oboi, 2 corni, archi
  7. Somme grazie ti rendo - Recitativo (Sara) - clavicembalo
    Del caro sposo - Aria (Sara) - Allegro moderato (si bemolle maggiore).Adagio - 2 oboi, 2 corni, archi
  8. Rivelarti a Dio piacque il ver nel sonno - Recitativo accompagnato (Raffaelle, Tobit, Sara, Anna, Tobia) - clavicembalo, archi
    Odi le nostre voci / Rendi a Tobit la luce - Coro (coro) - Andante (re maggiore).Fuga - Allegro con brio - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Parte seconda
  1. Oh della santa fé stupendi effetti! - Recitativo accompagnato (Anna, Sara, Raffaelle) - Vivace - 2 oboi, 2 corni, archi
    Come se a voi parlasse / Un di sanguigna e torbida - Aria (Raffaele) - Adagio (re maggiore).Presto - 2 oboi, 2 corni, archi
  2. Ad Azaria nel volto - Recitativo (Anna, Sara) - clavicembalo
    Non parmi esser fra gl'uomini - Aria (Sara) - Andante (fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 fagotti, 2 corni, archi
  3. Che soave parlar! - Recitativo (Anna. Tobia) - clavicembalo
    Quel felice nocchier - Aria (Tobia) - Allegro con brio (sol maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
  4. Giusta brama l'affretta - Recitativo accompagnato (Anna) - clavicembalo, archi
    Come in sogno un sfuol m'apparve - Aria (Anna) - Allegro (fa minore) - 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 corni, 2 tromboni, archi
    Svanisce in un momento - Coro (coro) - Allegro moderato (re minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 tromboni, archi
  5. Ah dove corri, o padre? - Recitativo accompagnato (Tobia, Tobit) - clavicembalo, archi
    Invan lo chiedi, amico - Aria (Tobit) - Poco Adagio (la maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
  6. Che fulmine improvviso! - Recitativo (Tobia, Anna) - clavicembalo
    Dunque, oh Dio, quando sperai - Duetto (Tobia, Anna) - Adagio (mi bemolle maggiore) - 2 corni inglesi, 2 corni, archi
  7. Qui di morir si parla - Recitativo accompagnato (Sara) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
    Io non oso alzar le ciglia - Quartetto (Sara, Anna, Tobia, Tobit) - Allegro con spirito (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
    Otterem gloria maggiore e maggior felicità - Coro fugato (coro) - Vivace (sol maggiore) - tutta l'orchestra senza oboi

Guida all'ascolto (nota 1)

Dal 1753, quando, compositore ventunenne alle prime armi, vi si era fatto apprezzare al Kärntnertortheater col "Singspiel" Der krumme Teufel, Haydn aveva disertato Vienna come centro europeo di cultura e di produttività musicale. Il ghiaccio si romperà una ventina d'anno dopo, con la richiesta al già rinomato Kapellmeister del principe Nicolaus I Esterhàzy detto "II Magnifico" di un Oratorio da eseguirsi in tempo quaresimale. La committenza era tra le più illustri ed ambite. Fondata di recente da Florian Leopold Gassmann, compositore di corte allora sulla cresta dell'onda, la Tonkünstler Societät era un sodalizio di musicisti finalizzato al duplice scopo di eseguire composizioni di genere oratoriale nei tempi di Avvento e di Quaresima, quando i teatri chiudevano, e di procurare i mezzi di sussistenza per le vedove e gli orfani dei propri membri. Gli Oratori commissionati ed eseguiti erano in lingua italiana, secondo una tradizione secolare radicata in Vienna, patria adottiva di Metastasio e centro di cultura melodrammatica squisitamente italiana.

Questa volta la scelta del verseggiatore cadde su Giovanni Antonio Gastone Boccherini, personaggio dalle molte vite. Giunto a Vienna intorno agli anni '50 al seguito del padre e del fratello Luigi (destinato a fama europea come virtuoso violoncellista e compositore egregio) assunti nell'orchestra di Corte, Gastone apparteneva alla genìa di quegli avventurieri onorati - l'autodefinizione è goldoniana - non infrequenti nel mondo teatrale di allora: violinista e ballerino in diversi centri musicali italiani e poi alla Hofoper, già prima degli anni Settanta il Nostro calza il coturno di "poeta de'cesarei teatri" fornendo libretti di genere comico a operisti rinomati quali Salieri e Gassmann; come non bastasse, nel corso delle sue peregrinazioni europee sarà via via coreografo, scenografo e tenore. Per Gastone Boccherini, in Arcadia Argindo Bolimeo, l'intonare la siringa pastorale sul genere sacro costituì certo tema ambito tra i molti frequentati nel Bosco Parrasio. Soggetto prescelto sarà il Libro di Tobia, da tempo ben noto in tutto l'orbe cattolico per la predilezione accordatagli da generazioni di pittori, scultori e illustratori di testi religiosi: popolare trattazione iconografica che peraltro non sarebbe bastata da sola a motivare una scelta dettata da altre e più profonde ragioni di cui più avanti si dirà. Benché la Tonkünstler Societät tra orchestrali, coristi e solisti disponesse di circa quattrocento musicisti, Haydn pensò bene di portarsi da Esterhàza alcuni dei suoi, tra cui il primo violino Luigi Tomasini, il primo violoncello Xavier Marteau e tre solisti di canto, Magdalena Friberth, Karl Friberth e Christian Specht, rispettivamente nelle parti di Sara, Tobia e Tobit (sul posto troverà Margarethe Spangler come Anna e Barbara Teyber come Raffaelle [sic] alias Azaria). Il ritorno di Tobia, due parti, venne eseguito il 2 e il 4 aprile di Quaresima del 1775; come di consuetudine (e a titolo gratuito come prescritto per tutti coloro che prestavano la loro arte al filantropico sodalizio viennese) durante l'intervallo si esibirono Tomasini e Marteau in due concerti solistici assai applauditi. Si trattò di un evento (come oggi si direbbe), riferito dalla K.K. privilegierte Realzeitung in questi termini: «Il famoso signor maestro di cappella Hayden [sic] ha ricevuto plauso generale con l'Oratorio dal titolo Il ritorno di Tobia, e ancora una volta ha dato prova delle sue grandi capacità.[...] I cori in particolare ardevano del fuoco che in altri tempi fu prerogativa di Händel; in breve, tutto il numerosissimo pubblico è rimasto estasiato e Hayden si è rivelato ancora una volta quel grande artista che è, le cui opere sono amate in tutta Europa».

L'Oratorio fece presto il giro dei principali centri musicali europei in Arie staccate e in copie manoscritte. L'onore delle prime esecuzioni extra moenia spetterà a Berlino nel 1777 e nel 1783 a Roma (dove ora viene ripreso, ricorrendo il secondo centenario della dipartita dell'Autore): ciò che potrà meravigliare chi ignori o sottovaluti il sommerso, ricco di emozionanti sorprese, che da sempre distinguerà la vita musicale dell'Urbe, dove soltanto un anno addietro Haydn aveva ricevuto il benvenuto col successo della Stabat Mater. Nel 1784, un anno prima che vi venisse eseguito il Davidde penitente di Mozart (riciclaggio, come si sa, della incompiuta, possente Messa in do minore K. 417a). l'Oratorio haydniano riapparve alla Societät di Vienna in una rielaborazione che comportò l'inserimento di due pagine corali: "Ah gran Dio! Sol tu sei quello", posta a virtuale conclusione dell'Aria di Anna "Ah gran Dio, se un core ingrato"(prima parte, n. 5a), e "Svanisce in un momento", a seguito del recitativo obbligato ed Aria di Anna "Ma qual m'ingombra / tetro pensiero! - Come in sogno un stuol m'apparve" (seconda parte, 12a) e con le stesse funzioni drammatiche del precedente coro. Altri interventi riguardarono la maggior parte delle Arie, sfoltite talora drasticamente degli esuberanti passi di coloratura, ciò che comporterà un complessivo ripensamento delle loro primitive strutture formali. In tale rinnovata versione, l'Oratorio riapparve a Lipsia nel 1787 e, vivente l'Autore, nel 1808 all'Hofburgtheater sotto la direzione e con ulteriori arrangiamenti di Sigismund Neukomm, discepolo del Maestro.

Si è detto più sopra come l'icona popolare del giovane Tobia intento a catturare il pesce con l'aiuto dell'Arcangelo oftalmologo, fosse in realtà veicolo di un messaggio di ben altro peso, che da tempo serpeggiava in un'Europa cui il relativismo libertino che stava per produrre i suoi frutti più amari nelle operette del marchese di Sade e in Così fan tutte stava ormai di stretta misura. Proprio a Vienna Calzabigi e Gluck, prima con Orfeo ed Euridice (1762), poi, e soprattutto, con Alceste (1767), avevano dato il via ad una nuova, moralistica tematica del teatro in musica, perseguita puntualmente da titoli quali - tra gli altri - Giulio Sabino di Giovannini e Sarti (1781), Elfrida di Calzabigi e Paisiello (1792), Il matrimonio segreto di Bertati e Cimarosa (1792), Gli Orazi e i Curiazi di Sografi e Cimarosa (1796), su su fino al Ciro in Babilonia del giovanissimo Rossini (1812) e alle varie Leonore che andranno a parare nel Fidelio (1805-1814). È l'amore coniugale e famigliare, che associandosi via via a quello di patria e alle relative virtù civiche che l'aria di Parigi andava diffondendo in Europa, volta pagina a Metastasio non meno che a Da Ponte, scomunica d'autorità beethoveniana il Mozart di Così, inventa la pièce a sauvetage come nuovo genere di melodramma ideologico e politico, celebrativo di una virtuosa coppia vincente sulle persecuzioni dei potenti malvagi e fuorilegge.

Duplice celebrazione delle virtù e degli affetti matrimoniali, quelli che fanno di Tobiahu (mutato in un più eufonico Tobit) e della moglie Anna, del loro figlio Tobia e della moglie Sara due coppie esemplari unite in un clan famigliare dai reciproci vincoli d'amore, è l'intento esplicito del libriccino biblico composto tra il terzo e il secondo secolo a.C. ma ambientato intorno all'ottavo, durante la deportazione ebraica a Ninive nell'Assiria. L'assunto edificante (che vanta tuttora una ricca letteratura ebraica e cristiana) non presuppone fatti realmente accaduti, ma verisimili: tanto realistici appaiono quegl'interni patriarcali del popolo di Dio in esilio, tanto plausibili quei personaggi ordinari che vi si muovono, con i loro dialoghi e i loro problemi quotidiani. L'asprezza arcaica che incupisce le pagine del Pentateuco, dei Giudici, dei Re si stempera qui in una quieta, favoleggiante narrazione che diresti uscita dalla penna di un apocrifo imitatore dell'evangelista Luca.

Tenerezza casalinga che coinvolge lo stesso Raffaele, in ebraico "Dio guarisce", facendone il più umano e confidenziale degli arcangeli, privo della spada tremenda di Michele e della sublime aureola di Gabriele: misterioso, amabile giovane che si offre - perché no, dietro compenso - come accompagnatore di Tobia nel più prosaico dei viaggi, quello intrapreso per riscuotere un credito di dieci talenti da un parente di una tribù lontana. Quanto avviene nel corso e al termine di questo lungo viaggio, appartiene al più comune quotidiano domestico: innamoramento e nozze di Tobia con Sara, cattura di un pesce dalle virtù terapeutiche, guarigione di Tobit dalla cecità, affettuosa accoglienza della nuora Sara da parte dei suoceri. Anche il congedo di Raffaele avviene in un clima di confidenziale amicizia: «Non temete; la pace sia con voi. Quando ero con voi, ciò non era per mia iniziativa ma per volontà di Dio. Ora benedite il Signore sulla terra e rendetegli grazie; io ritorno a colui che mi ha mandato; scrivete tutte queste cose che vi sono accadute». E salì in alto.

Da una siffatta narrazione, che tiene del romanzo moderno se non del cinematografico per le libertà di tempo e di luogo che vi si prendono e la sequela degli episodi che liberamente si giustappongono sfumando l'uno nell'altro, Gastone Boccherini dovette ricavare un regolamentare dramma sacro in due parti. Non facile impresa per un librettista tenuto a tradurre una congerie di accadimenti distribuiti a lunga gittata in una trama articolata secondo modelli di cui la produzione metastasiana e di stampo metastasiano offriva esempi non eludibili. Il titolo stesso prescelto per l'Oratorio comporterà un'operazione paradossalmente contraddittoria, di condensazione ma insieme di diluizione dei materiali drammatici offerti dal testo biblico. Un vero ripensamento che concentrò nella prima parte le querele di Anna per la lontananza del figlio, tradotte in una sorta di battibecco coniugale col povero Tobit in uno stile quasi da commedia; l'arrivo di Raffaelle che preannuncia quello di Tobia con la sposa Sara; il ricongiungimento del clan familiare accresciuto di un nuovo membro. Alla guarigione prodigiosa del capofamiglia è dedicata l'intera seconda parte, ciò che comportò il "brodo lungo" goldoniano di un'inevitabile prolissità espositiva; sì che l'addio dell'Arcangelo, che da esca al tripudiante ensemble finale, ne costituisce la sola, liberatoria variante tematica.

Haydn pose mano a questo testo pienamente consapevole di accingersi a un lavoro della massima importanza, forse il più impegnativo (e non meno per la creatività che per la committenza) finora affrontato nel corso di un'attività che in un tempo relativamente breve lo aveva portato all'eccellenza artistica e alla fama europea. Altra cosa erano le pur notevoli musiche sacre in precedenza composte; e lo stesso si dica per i melodrammi prodotti per il teatro privato degli Esterhàzy, lavori tutti che stanno al Ritorno di Tobia come il Lucio Siila e le Messe salisburghesi stanno all'ldomeneo e alla Messa in do minore K. 417a. Al pari di questi capolavori mozartiani, men che mai l'Oratorio haydniano trova modelli o analogie di plausibile riferimento nella circostante produzione musicale che conta; fatta forse eccezione per Jommelli, il cui metodo di recitativo con strumenti non potè passare inosservato all'autore dei recitativi obbligati di cui, soprattutto nella prima parte, abbonda una partitura che poteva contare su un'orchestra dell'imponenza e qualità non ordinarie. Se non che l'opulenza tardobarocca di cui Jommelli ordinariamente fa sfoggio in un repertorio di figure anche troppo ricche e pervasive, in Haydn si prosciuga all'insegna di quella superba parsimonia di materiali di cui consta il suo sistema sonatistico, fondato sul principio basilare di ricavare il massimo dal minimo necessario.

Principio che si rivela fin dalle prime pagine dell'oratorio, quando l'inciso tematico in do minore che apre il "Largo" della possente Ouverture (degna affatto di figurare, fosse corredata degli altri tre movimenti, tra grandi sinfonie haydniane) riappare come motivo di base del primo numero, "Pietà di un infelice", ove le voci di Tobit e Anna si uniscono al coro: pagina che il Rossini della scena iniziale di Mosè in Egitto (1818) potè forse conoscere e apprezzare come coup de théatre grandioso e severo, idoneo ad aprire, quale segnale di una peculiare cifra stilistica e drammatica, il sipario ideale di un'azione sacra. Padre putativo della forma-sonata, ma, se ci è concesso il paradosso, inconsapevole di scrivere opere in forma-sonata e pertanto ignaro delle codificazioni in cui i teorici di primo Ottocento imbriglieranno la rigorosa sfrenatezza delle sue invenzioni, il Kapellmeister degli Esterhàzy anche questa volta offre alla diletta figlia naturale quasi tutto lo spazio disponibile. Ridotte a un paio le Arie all'italiana col da capo, i restanti numeri solistici offrono infatti un'esposizione bitematica, un'elaborazione e una ripresa né più né meno che se fossero movimenti di Sinfonia o di Quartetto.

Si tratta comunque delle pagine vocali più imponenti ed elaborate dall'autore mai sinora concepite. L'intenso lavorìo armonico che vi è sotteso è posto al servizio di una reattività espressiva alla parola intonata, stupefacente per chi si attenga all'icona di un Haydn "puro" cultore del suono strumentale. Tanto forte, anzi, è talora la potenzialità emotiva di tali pagine, da invadere il campo dell'ineffabile, dove la pia famiglia ebrea viene portata molto in alto, in spazi dove la pur egregia comunicazione espressiva di tipo drammatico non basta più ed è la musica "assoluta" a far da padrona. Attenuerà un poco una tale insopprimibile vocazione la rielaborazione cui il compositore sottopose la partitura, intervenendo tra l'altro, come già s'è detto, su quasi tutte le Arie mediante la drastica potatura dei debordanti passi bravuristici, più confacenti ad ambiziose Arie di concerto che a casalinghe espressività. Particolare peso assumeranno in tale opera di ripensamento i due episodi corali già più sopra menzionati, il cui colore intriso di gestualità händeliana non sfuggirà agli ascoltatori coevi, men che mai a quelli di Die Schöpfung e di Die Jahreszeiten.

Come già stava avvenendo nell'opera seria (e come diverrà quasi di norma in quella del primo Ottocento) anche in questo Oratorio italiano la prima parte si conclude con un numero imponente ove i cinque personaggi si alternano al coro alla maniera di un profano couplet, prima che, con una superba fuga reale, Haydn ritorni all'ordine in fatto di stile sacro, concedendosi "qualche licenza" (come Beethoven qualificherà gli arbitri riscontrabili nella fuga dell'op. 106) nella sezione conclusiva dopo il regolare stretto. Lo stesso avverrà per l'altra fuga posta simmetricamente a termine dell'Oratorio, dove un accordo "coronato" di settima di dominante, mettendo alla porta Händel e i suoi contrappunti con tanto di benservito, pone fine all'Oratorio con una serie di vigorose, verticalissime batterie cadenzali, spingendo fino a un ardimentoso do 5 le gole dei soprani.

La vetusta forma scolastica, della quale il genere sacro era luogo per tradizione deputato, già accusava disinvolte incursioni aliene nelle proprie compagini polifoniche: "licenze" tanto più intriganti quanto più provenienti da illustri evasori, si chiamassero Haydn o Mozart, Cherubini o Beethoven; un modo molto moderno di "virgolettare" il contrappunto della Tradizione in contesti sostanzialmente estranei, quasi un illustre, venerando ospite in parrucca e culotte sistemato su un divano stile Impero. Per altro verso, quello di "far ballare l'orchestra" (così Verdi, nel suo pittoresco linguaggio figurato) viene comprensibilmente sentito anche in tale sede come un obbligo professionale. Non bastando il tradizionale strumento obbligato, ossequioso cavalier servente della voce nelle Arie di bravura dell'opera seria, ecco che l'ospite di riguardo della Tonkünstler Societät nell'aria di Sara "Non parmi d'esser fra gli uomini" (11-10) fa le cose in grande, coinvolgendo praticamente l'intero gruppo dei fiati, escluse le trombe - flauti, oboe, corni inglesi, fagotti e corni, tutti in coppia e con tanto di cadenza conclusiva - in una sorta di monumento, decisamente inaudito quanto spettacolare, allo stile concertante.

L'impennata dei due estremi capolavori oratoriali secondo Swieten, che alla fine della carriera giubileranno Haydn come legittimo erede di Händel nonché ineludibile precedessore di Mendelssohn, porrà fatalmente nell'ombra il Tobia in compagnia delle opere italiane, dell'Oratorio anche troppo più fortunate nell'odierna ricognizione critica ed esecutiva haydniana. Ma il colpo d'ala che sollevò il Kapellmeister degli Esterhàzy ben al di sopra di quell'italianismo di estetica e di gusto, non meno che di stile, in voga nella Vienna e dintorni del secolo fu la potenza e novità inventiva che elevò un libretto di ordinaria qualità a fomite emotivo nella celebrazione "politica" di quelle virtù patrie, domestiche e coniugali tanto apprezzate da Maria Teresa non meno che dagli imminenti idéologues di regime, germogliano dallo stesso tronco che in quegli anni Settanta aveva prodotto il prodigio di una civiltà strumentale destinata a mutare volto alla musica.

Giovanni Carli Ballola


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 16 Maggio 2009


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Ultimo aggiornamento 23 aprile 2015