Nella catalogaziene dell'Hoboken il Trio in la bemolle n. 14 viene ascritto al 1790, anno in cui, morto il principe Nikolaus Estérhazy e disciolta la cappella musicale dal successore, Haydn si trovò in condizione di accettare dal violinista e impresario Salomon l'invito di recarsi a Londra. Nell'arco della produzione haydniana questo Trio si pone dunque tra la Sinfonia «Oxford» e la grande Sonata per pianoforte in mi bemolle (1788-89) e le Sinfonie londinesi («La sorpresa», «Il miracolo», ecc.).
E' noto: se nella evoluzione del quartetto e della sinfonia Haydn occupa un punto chiave, nei confronti del Trio il maestro viennese, anche in opere della maturità come questa, non si distaccò molto dalla sonata a tre. Affermazione che va intesa riferita particolarmente al ruolo degli strumenti: come dire che resta nel cembalo accentrata la materia melodica e armonica, e se al violino è concesso un apporto ove più ove meno individuale, il violoncello è relegato, salvo rarissime eccezioni, a raddoppiare o evidenziare il basso del cembalo. D'altronde le composizioni oggi chiamate Trii erano indicate da Haydn come «Sonate per clavicembalo o piano, con accompagnamento di violino e violoncello».
Il Trio in la bemolle comprende tre movimenti. Il primo, Allegro moderato, presenta una tripartizione fondata soprattutto sul contrasto tonale tra il morbido, diremmo, la bemolle che occupa la parte iniziale e relativa ripresa finale, e la cristallina tonalità di si maggiore che vi s'inserisce quale sequenza centrale.
Anche nell'Adagio è evidente questo schema A-B-A, dove B costituisce il relativo minore (siamo nella tonalità di mi maggiore) e dove sentiamo il pianoforte tradurre in fioriture e volatine la melodia cantata in precedenza dal violino. Il Vivace, ispirato alla forma rondò, trae il suo interesse dalle varie configurazioni tonali e armoniche che assume l'idea tematica esposta all'inizio nell'unisono del pianoforte e del violino.
Giorgio Graziosi