Trio in sol maggiore per pianoforte, violino e violoncello, Hob:XV:25


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Andante
  2. Poco Adagio. Cantabile (mi maggiore)
  3. Rondo all'Ongarese. Presto
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: Vienna, 9 ottobre 1795
Edizione: Longman & Broderip, Londra, 1795
Guida all'ascolto (nota 1)

Nel novero dei generi cameristici occidentali il trio con pianoforte è stato a lungo tra quelli che hanno goduto di miglior salute, nonostante la poco omogenea sonorità delle sue componenti strumentali, non a torto denunciata del resto apertamente in una sua lettera da Ciaikovski. Il problema non era però solo quello di amalgamare timbri tra di loro diversi, bensì anche quello di costruire un discorso paritetico ed egalitaristico tra strumenti dalle svariate e quasi opposte caratteristiche, pur tenendo conto appunto di queste loro diverse peculiarità. Il primo decisivo passo verso uno stile concertante è presente già in Haydn che, se si trascurano i tentativi di Schobert e di Vogler, può essere a ragione considerato il padre del genere, nato da una radicale trasformazione classicista (con l'adesione alla forma-sonata gradualmente diffusa ed imposta darllo stesso Haydn) della sonata a tre barocca. Non è però certo, questo, un merito che deriva solo da un dato quantitativo, anche se i suoi trentuno trii con pianoforte (senza contare un'altra decina di dubbia attribuzione) lo pongono tra i maggiori esponenti di questo genere da camera, bensì soprattutto da un fatto sostanziale. Il pianoforte gradatamente perde difatti in Haydn la sua caratteristica di riempitivo (quasi alla maniera della inveterata prassi del basso continuo) per assumere una sua perfetta identità all'interno del dialogo strumentale a tre. E' semmai il violoncello ad essere costretto ancora ai maggiori sacrifici in rapporto alla sua potenzialità.

Anche in quello in sol maggiore che possiamo considerare il più noto della serie, Haydn mai deroga alle sue connaturate idee di una compostezza formale (classica, appunto) che assume, dato l'ambiente cameristico, toni dimessi e conversevoli. Nel tono della galante "plaisanterie" settecentesca permangono le variazioni del primo tempo (Andante), mentre nel successivo (Poco Adagio) la cantabilità si fa più intimamente lirica e lascia ampi squarci al violino. Fiore all'occhiello del Trio è però il brillante Rondò all'Ungarese (un espediente che ricorre anche nel Concerto per pianoforte in re maggiore dello stesso Haydn), con un motivo magiaro che rimbalza allegramente, aggiungendo un tono di spiritosa animazione all'assieme.

Lorenzo Tozzi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 1 aprile 1981


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Ultimo aggiornamento 30 giugno 2016