Quartetto per clarinetto, violino, violoncello e pianoforte


Musica: Paul Hindemith (1895 - 1963)
  1. Mäßig bewegt
  2. Sehr langsam
  3. Mäßig bewegt
Organico: clarinetto, violino, violoncello, pianoforte
Composizione: aprile - giugno 1938
Prima esecuzione: New York, 23 aprile 1939
Guida all'ascolto (nota 1)

Per Paul Hindemith la musica da camera fu ambito d'azione privilegiato fin dai primordi della sua attività di musicista. Lasciata la famiglia in giovane età poiché gli si impediva di proseguire gli studi musicali, si dedicò al violino, alla composizione, alla viola, si rese ben presto indipendente, suonò in varie formazioni di quartetto; solo dopo divenne noto direttore d'orchestra, teorico, didatta e compositore di fama.

La musica da camera è alla base del pensiero musicale di Hindemith e della sua modernità. Con atteggiamento simile a quello di molti compositori del primo Novecento, egli avvertì le ampie possibilità di sperimentazione offerte da un organico cameristico eterogeneo, formazione che permetteva di accostare le peculiarità di ogni strumento mantenendo la chiarezza sufficiente a trarne impasti sonori e risultati espressivi dalla novità subito percepibile. Soprattutto lì dove la dissonanza, pur temperata dai rapporti tonali che Hindemith intende mantenere, entra come presenza stabile del tessuto sonoro della composizione.

È il caso del Quartetto per clarinetto, violino, violoncello e pianoforte, composto nel 1938, anno in cui Hindemith, bersaglio della critica culturale nazista che non gradiva la sua modernità "degenerata", si vide costretto a emigrare in Svizzera. La prima esecuzione ebbe luogo a New York, il 23 aprile del 1939, durante il terzo tour americano del compositore. Anche questo Quartetto, come gran parte delle creazioni del Nostro, trae vita da un fine lavoro d'elaborazione polifonica del materiale. Fughe, canoni, imitazioni, ma anche reminiscenze della forma sonata, vanno a caratterizzare una musica che vuole essere "oggettiva", ovvero si vuol distanziare alla stessa maniera tanto dal compositore quanto dall'ascoltatore. Eppure, negli ultimi anni, l'astratto neoclassicismo di Hindemith si vena sempre più di malinconia e di dolcezza, quasi di soggettivismo. Nel Quartetto del 1938 tale atteggiamento è ormai chiaramente percepibile.

Nel primo brano (Mäßig bewegt) l'attacco degli strumenti, preceduto da un incipit del pianoforte, possiede un tono quasi lirico: l'Hindemith della gioventù, col suo calibrato impeto, ha lasciato il posto a un tema interessante, allo stesso tempo caldo e lontano da qualunque romanticismo. Che il gioco del movimento polifonico non miri a dipingere il sentimento, ce lo testimonia lo sviluppo del primo tempo, dove si creano combinazioni ritmiche senza meta che chiedono alla musica di originare da sola il proprio mondo, di bastare a sé stessa. Ma il finale morbidissimo del brano tradisce una sorta di languore, anticipa le tenui atmosfere del brano successivo (Sehr langsam), in cui prende corpo un senso di profonda introspezione. Gli strumenti vi conducono linee melodiche di notevole lunghezza, il pianoforte continua ad avere un ruolo di inserzione momentanea (come nel primo brano) fino alla comparsa di una sezione centrale costruita sullo stesso inciso ritmico dello sviluppo presente nel primo tempo. Gli archi intanto sembrano cantare intervalli quasi espressionistici e perorare cause invisibili davanti all'uditorio. Finché, dopo un appassionato climax lentamente le linee tematiche si spengono e la musica si concentra ancora su sé stessa. I rari pizzicati degli archi e gli incisi del pianoforte accompagnano un clarinetto solitario quasi fino alla chiusura del brano.

Nel Mäßig bewegt finale, diviso in quattro brevi sezioni, il pathos di Hindemith si dimostra rappresentazione del tragico, sua contemplazione, non certo sua incarnazione. Non per questo è da intendere la sua musica come fredda. Vi è un'esigenza di universalizzare il dolore che ne vorrebbe slegare le sensazioni da una realtà contingente, a favore di un'atmosfera espressiva trascendente. Le sezioni del brano finale prendono toni luminosi o scuri, sembrano trarre la loro ispirazione da una dimensione intellettuale immaginata come pura. L'elaborazione polifonica raggiunge livelli sommi proprio lì dove ne diventa difficile la percezione: accompagnamento, tema, diventano parole da usare con cautela in una struttura musicale dove molto si rapporta in ogni spazio sonoro della partitura. Molte le reminiscenze classiche, in una musica che aspira in ogni sua fibra a collocare l'emozione stessa nell'astrazione del pensiero.

Simone Ciolfi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 19 maggio 2005


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Ultimo aggiornamento 10 ottobre 2015