Sonata n. 2 per organo


Musica: Paul Hindemith (1895 - 1963)
  1. Lebhaft
  2. Ruhig bewegt
  3. Fuge. Mäßig bewegt, heiter
Organico: organo
Composizione: giugno - luglio 1937
Prima esecuzione: Londra, 18 gennaio 1938
Guida all'ascolto (nota 1)

La prima influenza che Hindemith risentì nella sua formazione di compositore fu quella di Max Reger, un musicista che volle sottrarsi "al fascino prepotente e insinuante del wagnerismo richiamandosi alle forme classiche e alla vecchia tradizione dell'arte tedesca, specialmente bachiana. Non a caso infatti nella imponente e complessa produzione hindemithiana si avvertono alcuni aspetti non soltanto lessicali che formano la matrice della personalità artistica dello stesso Reger: ritorno a Bach, ripristino dei diritti della forma, magistero contrappuntistico, saldissima tradizione tecnica di tipo artigianale, che sono in ultima analisi le componenti principali di quella estetica che va sotto il nome di neo-classicismo, inteso come netta reazione sia agli eccessi romantici e all'impressionismo psicologico che alle esasperazioni più violente dell'espressionismo. Anzi, bisogna dire che anche nei momenti più polemici ed eversivi della carriera artistica di Hindemith non si avverte mai un completo dissolvimento degli elementi formali tramandati dalla civiltà musicale tedesca e lo stesso musicista ha spesso tenuto a sottolineare come la sua opera, pur con le dovute diversità di stile, di temperamento e di epoca, non abbia dimenticato mai il modello bachiano, concepito oltretutto come una scelta morale e intellettuale.

Secondo il musicologo Alberto Basso, Hindemith è più vicino a Bach di quanto solitamente non si creda o la sua stessa musica lasci immaginare. «Il richiamo a Bach - egli afferma - è più che una componente della personalità di Hindemith, è un presupposto, una condizione, un principio determinante della sua sensibilità tutta nordica. Tale richiamo trova nel contrappunto il suo ordine ideale; l'atteggiamento polifonico supplisce al glaciale trattamento melodico, la tecnica costruttiva sostituisce la ricerca intellettuale degli affetti, la facilità dell'invenzione annulla ogni problematica, ogni scrupolo. In tal modo il lavacro nel passato risulta cosa semplice e naturale, frutto di una chiamata interiore e insieme di una predisposizione tecnica; la vocazione di Kappellmeister, meglio ancora di Kantor, gli consente di superare con irrisoria facilità i momenti che musicisti di altra tempra, uno Schoenberg, uno Strawinski, un Bartok, affrontarono fra crisi e tentennamenti».

Un esempio quanto mai probante di questo profondo legame di Hindemith all'esperienza bachiana ci è fornito dalle tre Sonate per organo, che insieme al Concerto op. 46 n. 2 per organo e orchestra da camera sono le uniche composizioni scritte dal musicista per questo antico e nobile strumento che nei paesi tedeschi sta a significare la nascita e lo sviluppo del corale luterano, con l'innesto delle forme imitative e fugate che sono tipiche di questo canto religioso di impronta popolare. Le prime due Sonate risalgono al 1937, poco prima che il musicista per motivi di carattere politico si rifugiasse in Svizzera e si trasferisse quindi negli Stati Uniti allo scoppio della seconda guerra mondiale. La terza Sonata per organo, infatti, fu scritta nel 1940 in America e utilizza temi di Volklieder tedeschi del XVI secolo, secondo un'abitudine cara a Bach e a Mendelssohn.

A differenza della prima, questa seconda Sonata per organo si compone non di quattro, ma di tre movimenti (Lebhaft-Ruhig bewegt-Fuge mässig bewegt, heiter) che si articolano secondo un discorso chiaramente contrappuntistico e improntato ad un tipo di linguaggio fatto di chiarezza e di immediatezza di espressione, tanto da richiamarsi allo stile lineare dell'antica scuola nordica secentesca degli organisti tedeschi. Il tema iniziale è abbastanza vivo ritmicamente e ritorna più volte su se stesso, quasi a riaffermare quel senso del razionale e del costruttivo che è sempre presente nell'opera hindemithiana. Molto dolce e delicata è la frase musicale del secondo movimento, che sembra sfiorare il lirismo di un adagio cantabile, mentre la fuga finale in tempo moderato impiega un disegno melodico e dinamico più propriamente polifonico.

Ennio Melchiorre


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 20 marzo 1970


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Ultimo aggiornamento 24 settembre 2014