V mlhách (Nella nebbia), VIII/22

Ciclo di quattro pezzi per pianoforte

Musica: Leós Janàček (1854 - 1928)
  1. Andante (re bemolle maggiore)
  2. Molto adagio (re bemolle maggiore)
  3. Andantino (sol bemolle maggiore)
  4. Presto (re bemoplle maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: 21 aprile 1912
Prima esecuzione: Kroměříž, 7 dicembre 1913
Edizione: Hudební matice, Praga, 1924
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

A Terezin Klein suonò almeno nove volte per i suoi compagni un programma in cui, accanto a Bach, Brahms e altri autori, erano incluse musiche di Janacek, un punto di riferimento fondamentale ed ineludibile per un compositore ceco del ventesimo secolo. Appena di qualche anno più giovane di Dvorak, Leos Janacek sembra appartenere a un'epoca totalmente diversa, anche perché la parte più nota e importante della sua musica appartiene cronologicamente e stilisticamente al ventesimo secolo. Anche Janacek, come Dvorak, riprende frequentemente temi tradizionali cechi (più nella musica operistica e sinfonica che in quella cameristica) ma li tratta in modo profondamente diverso, come elementi d'un linguaggio musicale personale e non come citazioni folkloristiche. Anche Janacek, come Dvorak, ha scritto poche composizioni per pianoforte, quasi esclusivamente di dimensioni miniaturistiche, che però, a differenza di quelle di Dvorak, hanno un ruolo importante nel suo catalogo, perché testimoniano aspetti tutt'altro che trascurabili del suo mondo espressivo.

Il ciclo di quattro pezzi intitolato Nella nebbia è considerato una delle maggiori espressioni della personalità di Janacek: la complessità della scrittura pianistica e la grande ricchezza timbrica sono unite a un'indefinibile ma affascinante tono intimo. Nonostante il titolo, sarebbe vano cercarvi alcunché di descrittivo: invece questo lavoro del 1912 porta al più alto grado una nuova esigenza del suo autore, racchiudere cioè una grande densità di pensiero musicale entro forme libere e concise. Temi violenti e frastagliati sfociano improvvisamente in distesi momenti lirici, piccoli passaggi limpidi e semplici contrastano con altri liberamente rapsodici dai ritmi così complessi da creare a Janacek problemi di notazione. Di conseguenza anche al pianista non sono risparmiate le difficoltà, il più delle volte non appariscenti, qualche volta invece evidenziate da un'ampia gestualità di tipo lisztiano, come nei grandi arpeggi del quarto e ultimo pezzo.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La produzione pianistica è assolutamente marginale nel catalogo delle opere di Janàček, tanto che arriva a malapena a coprire la durata di un Cd e mezzo. Ma anche quando si serve del pianoforte il compositore di Brno non viene meno ad una sua caratteristica basilare: il suo suono, che si tratti di orchestra o di quartetto d'archi o di pianoforte, è sempre tutto e soltanto suo. Questa caratteristica dipende da una scrittura in genere molto densa e che sfrutta in un modo ingegnoso le irregolarità della tastiera, cioè le differenti "altitudini" nella disposizione dei tasti bianchi e neri. È questo lo stile pianistico dello Janàček maturo, che si esaurisce in tre soli lavori, la Sonata del 1905, il vasto ciclo Sul sentiero di rovi iniziato nel 1901 ed ultimato nel 1911, e il breve ciclo Nella nebbia del 1912.

Nel 1912 Janàček aveva cinquantotto anni ma la sua fama arrivava a stento fino a Praga e le sue pubblicazioni si contavano sulle dita di una mano. Per Nella nebbia egli non trovò un editore, e nel 1913 la pubblicazione fu patrocinata dal Club degli Amici dell'Arte di Brno, che si assunse tutte le spese. La prima esecuzione ebbe luogo nel 1914 e non fu seguita da altre.

Nella nebbia è un ciclo di quattro brevi pezzi, che per durata ed in parte per carattere possono ricordare gli Intermezzi di Brahms e i Preludi di Debussy. Tre di essi (il primo, secondo e quarto) sono in re bemolle maggiore, il terzo è in sol bemolle maggiore, e quindi tutti e quattro impiegano sistematicamente i cinque tasti neri disponibili per ogni ottava.

I tempi, rispettivamente Andante, Molto Adagio, Andantino e Presto, fanno pensare all'archetipo della Sonata, così come all'archetipo della Sonata fanno pensare i trittici coevi di Debussy. Il carattere espressivo è cupo, ma con frequenti contrasti drammatici, come degli sbalzi d'umore. Non possediamo uno studio sistematico e approfondito sui simboli di Janàček, rilevabili dalle sue opere teatrali. Nella mitologia nordica la nebbia è simbolo di territori inaccessibili all'uomo, ed è possibile che nella nebbia il compositore identificasse simbolicamente la propria condizione di artista a cui, a cinquantotto anni e con al suo attivo un capolavoro come l'opera Jenufa, era ancora negato il successo.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Composto nel 1912 ed eseguito per la prima volta a Brno il 24 gennaio 1914 dalla pianista Marie Dvoràkovà, il ciclo pianistico intitolato V mlhàch ("Nella nebbia") è una delle creazioni più enigmatiche di Janàček. I quattro pezzi che lo compongono non recano titoli esplicativi né contenuti programmatici, come invece accadeva nella precedente raccolta pianistica Sul sentiero erboso, ma sono accomunati, oltre che dalla semplice forma ternaria, da una diffusa atmosfera "nebbiosa", sottolineata anche dall'uso pressoché costante di chiavi con cinque e sei bemolli. Essi appartengono al tipo delle "confessioni intime", un atteggiamento ricorrente nelle opere di Janàček; senza che tuttavia si possa attibuire ad esso uno stato d'animo preciso o un senso autobiografico. In quest'epoca Janàček attraversava un periodo di depressione, in gran parte dovuto alle difficoltà incontrate dalla sua opera Jenůfa per affermarsi a Praga, e può darsi che abbia inteso proiettare in questi brani un'immagine del proprio mondo interiore, in un ripiegamento analitico fatto di introspezione e di attesa. Nasce di qui l'aspetto enigmatico di queste raffigurazione dense e nervose, la cui fondamentale tetraggine è continuamente scossa da rapidi cambiamenti di umore, da frammentazioni metriche e spezzature armoniche, da volate sospese sul nulla e tuttavia tendenti a far emergere barlumi di canto sotto forma di brevi, insistiti incisi melodici e di contrappunti sghembi, screziati.

Ciò concorre ad allontanare il mondo sonoro di tale raccolta dalle indeterminatezze impressionistiche, a cui pure essa viene sovente accostata. Janàček affermava con forza la sua estraneità all'impressionismo francese, rivendicando di aver proclamato ben prima di Debussy la libertà nel collegamento degli accordi. Ma se sul piano armonico questa differenza riguarda principalmente la logica delle concatenazioni e delle sovrapposizioni, in Janàcek arricchita e sovvertita ma non annullata, e dunque sempre riferita a un centro tonale sottinteso, è sul piano del timbro che le distanze sono più evidenti: il caratteristico stato di mobilità, di inquietudine e di precarietà, reso più acuto da bruschi mutamenti di tempo, ha poco a che fare con le evanescenze, le macchie e le vaporosità dell'impressionismo, e si risolve piuttosto in una sequenza di gesti improvvisi, di aggregati di emozioni, di immagini intermittenti, i cui contorni, sempre limpidi, delineano uno stile secco e stringato, drammatico e perfino realistico, assolutamente non oggettivo. Per quanto sfumati, i profili restano acuminati, sensibili e prominenti, sorretti da un sostrato psicologico da cui filtra il forte richiamo del mondo folclorico, delle voci della natura e del popolo, della volontà contrapposta alla rinuncia, della dolcezza come antidoto all'angoscia: il tutto inframezzato da ombre e luci, in un rapsodico alternarsi di risonanze e vibrazioni che nella nebbia - elemento simbolico più che naturalistico - continuamente si perdono e si riconoscono. E la stessa nebbia, dopo essersi infittita in un espandersi statico di pessimistico disagio, sembra rarefarsi nel Presto conclusivo, che scuote l'immobilità e il gelo e guarda con rinnovato impulso i paesaggi dell'anima.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Quadri. Suggestioni. Sospiri. Immagini. Ascoltiamo V Mlhàch (Nella nebbia) di Janàcek e scopriamo un mondo sorprendente tutto sensibilità e fantasia. Nell'Andante un tema "narrante" pare un'antica nenia e si muove solitario come in una landa desolata; man mano prende energia, quasi sprofondando. Altre immagini si rincorrono quando trasparenti rintocchi si succedono in sequenza, alternati a baluginanti scalette dal toccatistico effetto; pochi passi e ci troviamo sommersi da un profluvio di suoni così energici da rendere l'atmosfera elettrica. Luci e ombre, forza e brillantezza. Nella coda il ritorno dei trasparenti accordi e del mobile arpeggiato sono come un dolce vento che spazza via l'atmosfera rendendo luminoso l'ambiente. Nel Molto adagio ecco un motivo di canto popolare; più volte si alterna a una sezione di fantasiose mobilità, ora sommesse, ore penetranti, rinconducibili al mondo del fantastico. Col Grave altri mondi possibili sono scrutati: sperimentiamo suoni appuntiti come schegge che punteggiano l'eloquio in un ambiente meditativo, mentre le fasi di ripresa presentano novità che rielaborano gli spunti quando l'idea toccatistica del Presto è definita da una formula incisiva; nell'Epilogo sentiamo il ricordo degli espressivi rintocchi della parte centrale che sembrano come levitare. L'Andantino è una fabulistica pagina dai toni lievi. Sensibilità e intima familiarità sono il drappeggio di fondo che Janàcek ci fa assaporare. Nel Presto un tema di rèverie presenta un profilo suadente; un quadro color pastello e sfumato che solo a tratti lascia trasparire qualche increspatura. Al tema sognante si contrappone, sorta di alter ego, una sezione vivida dai tempestosi scenari. Proprio questo alternarsi fluido e continuo degli elementi riporta a una dimensione fantastica che riconcilia con gli opposti. Un raggio di serenità illumina l'ultima prospettiva. Come un sorriso si risente il tema dell'Andante. È un sipario che si chiude quello che contrassegna con gioiosa serenità il ritorno del poetico tema di rèverie.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 26 ottobre 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 30 gennaio 2009
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del 63° Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, 24 maggio 2000
(4) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 278 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 3 febbraio 2017