Pohádka (Racconto), VII/5

per violoncello e pianoforte

Musica: Leós Janàček (1854 - 1928)
  1. Con moto. Andante. Allegro
  2. Con moto (sol bemolle maggiore). Adagio poco rubato
  3. Allegro
Organico: violoncello, pianoforte
Composizione: 1910 (revisioni 1912, 1913 e 1923)
Prima esecuzione: Brno, Orgelschule, 13 marzo 1910
Edizione: Hudební matice, Praga, 1924
Dedica: Jaroslav Elgart
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Del Racconto per violoncello e pianoforte (ma il titolo originale Pohàdka significa più esattamente Fiaba) esistevano due versioni. La prima, del 1910, in quattro parti, seguiva più da vicino, adottandone il titolo completo e fornendo una guida programmatica, il soggetto che l'aveva ispirata: il poema epico in versi La fiaba dello zar Berendej del poeta russo Vasilij Andreevič Žukovskij, vissuto tra il 1783 e il 1852 (l'opera risaliva al 1832). Nella versione definitiva, rivista e pubblicata nel 1923, Janàček non soltanto ridusse i movimenti da quattro a tre ma eliminò anche ogni riferimento programmatico, scegliendo il titolo più neutrale e allusivo di Racconto-Fiaba.

I tre movimenti si dipanano in un ambito espressivo più rapsodico che narrativo, evocativo e favoloso, oscillante tra gli opposti caratteri dell'eroismo dello zar e della tenerezza della zarina. Il primo ha uno spiccato carattere introduttivo e preludiante, e si segnala per l'inquietudine armonica; il secondo simula un groviglio drammatico, con bagliori guizzanti; il terzo lo risolve in una danza distesa, proveniente da lontane memorie di canti slavi. Il violoncello collega questi passaggi con arabeschi solitari, come il violino in Shéhérazade. in un'atmosfera crepuscolare, come dal lontano mondo delle fiabe.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Scritta nel 1910, questa breve pagina, che significa «racconto», figura come prima opera compiuta nel disordinato e frammentario catalogo delle composizioni cameristiche di Janacek. Sono gli anni in cui il compositore porta a compimento la sua opera di ricerca e di studio dei materiali folclorici moravi, culminante nel saggio sui canti nazionali e cechi in Slesia e Moravia; nel contempo Janacek ha in preparazione quel «Trattato completo di armonia» in cui dà forma teorica al personale sistema compositivo basato sulla libertà accordale («qualsiasi accordo può succedere a un altro fuori delle norme stabilite dalla concatenazione armonica classica, purché tale successione risponda alle esigenze dell'espressione»). Per altro verso i valori melodico-ritmici della musica gli si andavano configurando come traslati non tanto del tematismo del canto popolare, quanto della curvatura melodica e dell'accentuazione ritmica del linguaggio parlato. Tale concezione fa di Janacek un compositore eminentemente vocale, anche prescindendo dall'assoluto privilegio accordato alla voce umana nell'intero corpo della sua opera. Anche le tarde e quasi tutte pregevolissime composizioni strumentali vivono di un humus distillato dai materiali etnofonici, raramente utilizzati tali e quali, di regola rigenerati nell'originalità di un'inventiva dotata di specifici caratteri assolutamente autonomi. E di tale linfa melodica intimamente collegata al patrio grembo materno vive anche questa sorta di poemetto cameristico, dove il violoncello dipana in volute accidentate un «racconto» i cui toni sommessi e colloquiali, propri del più cordiale intimismo janacekiano, sono punteggiati dalle interiezioni di accordi pianistici usati più con intenti timbrici che in relazione ai criteri di una armonia funzionale.

Giovanni Carli Ballola


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 7 maggio 1999
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 27 febbraio 1980


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Ultimo aggiornamento 14 maggio 2016