Suita (Suite) per orchestra d'archi, VI/2


Musica: Leós Janàček (1854 - 1928)
  1. Moderato (sol minore)
  2. Adagio
  3. Andante con moto
  4. Presto
  5. Adagio
  6. Andante (si minore)
Organico: archi
Composizione: 1877
Edizione: Oldřích Pazdírek, Brno, 1926
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La vicenda artistica di Leós Janàček presenta caratteri di spiccata originalità: la sua produzione rappresenta un unicum nel panorama europeo novecentesco grazie a un corpus strumentale e operistico variegato, a una tematica fortemente innovativa nelle opere teatrali, a una produzione che ne ha fatto uno dei maggiori compositori cèchi moderni e una delle figure più stimolanti della musica del XX secolo.

Per lungo tempo l'attività del compositore boemo fu indirizzata alla ricerca di uno stile personale, di una via espressiva sua propria. Fino agli ultimi anni dell'Ottocento egli si mantenne infatti nel solco della tradizione romantica nazionale che riconosceva in Smetana e Dvorak i suoi più illustri rappresentanti. Janàček faticò non poco a sviluppare questo insegnamento che, sebbene rischiasse a un certo punto di non soddisfare i suoi bisogni creativi, si rivelò un punto di partenza essenziale. Lo stile intenso e incisivo che egli conquistò nei primi anni del Novecento, dopo la lunga elaborazione di Jenufa, il suo capolavoro operistico, prende le distanze dall'influenza tardo-romantica ma per alcuni aspetti ne è un'emanazione. Lo stile di Janàček è infatti difficilmente assimilabile alle sperimentazioni delle avanguardie. Pur se affrancato da vincoli armonici rigidi e con un'invenzione melodica personalissima basata sull'analisi delle inflessioni prosodiche e accentuative del linguaggio parlato, l'esperienza romantica europea è l'humus dal quale questa novità prende forma.

Un'opera giovanile come la Suite per orchestra d'archi, composta tra il 1877-1878, fotografa con esattezza il momento in cui questo nuovo stile germina dagli stessi strumenti espressivi della declinante tradizione romantica. Sono quelli gli anni in cui Janàček si dedicava a letture nel campo dell'estetica (principalmente condotte su testi di Josef Durdik), della psicologia musicale e della fisioacustica (soprattutto su scritti di Wilhelm Wundt e Hermann von Helmholtz). Da questa esperienza egli sostenne di aver ricavato la spiegazione scientifica di alcune sue intuizioni riguardo alla possibilità di affrancare l'armonia dalle rigide norme scolastiche in cui era stata formalizzata. Più tardi, nel suo diario, affermò d'aver studiato a fondo, tra il 1876 e il 1879, quei testi e d'averne tratto la conclusione che ogni accordo può succedere a un altro al di fuori delle regole codificate della concatenazione armonica, a patto che questo procedimento risponda alle esigenze comunicative sviluppatesi nel pubblico al quale la musica è destinata. Deriva da questo ultimo punto l'esigenza di approfondire il folklore del popolo boemo (per il compositore il "pubblico" per eccellenza), attività a cui Janàček si dedicò proprio a partire dai tardi anni settanta dell'Ottocento. L'urgenza di arrivare a un più libero uso dell'armonia passa per una sistematica ricerca sulla tradizione folkloristica boema, che lo portò ad analizzare e pubblicare il materiale raccolto. Janàček intendeva dunque sposare un impiego nuovo e sperimentale dell'armonia tonale ai suggerimenti derivati dallo studio del folklore.

Nella Suite si respira allo stato iniziale questa importante tendenza. Se nel Moderato e nell'Adagio le inflessioni liriche risentono ancora del gusto romantico, vi si avvertono sporadiche ma spiccate novità nel campo dell'armonia che sembrano deviare il percorso da attese precostituite. In questi due brani la modernità sembra fare capolino da dietro una tenda: Janacek è alla ricerca di soluzioni nuove che vivifichino il tessuto tradizionale.

Nell'Andante con moto e nel Presto il tono del folklore boemo compare invece chiaramente. Gli andamenti di danza si sposano a melodie tratte dal patrimonio sonoro della vita popolare boema. L'orchestra si colloca così su un piano "altro" da quello del colorismo romantico esponendosi a una ventata di novità schiettamente avvertibile.

Nell'Adagio compare in nuce un'altra innovazione creativa, maggiore e suggestiva conquista di Janàček, ovvero l'andamento musicale legato alla prosodia della lingua boema. Le soluzioni armoniche sembrano qui sposare una declamazione melodica dalle potenzialità narrative antiche e primigenie.

Di contro, l'Andante che chiude la raccolta ritorna, anche se solo in parte, a soluzioni tradizionali che concludono brillantemente la Suite.

L'opera racchiude in sé alcune intuizioni e soluzioni armoniche destinate a confluire nell'evoluzione successiva, tutta novecentesca, dell'esperienza di Janàček, fino alla definizione di una personalissima tonalità "allargata". Un'esigenza sorta dal bisogno di liberarsi dall'influenza dell'Idealismo e del Romanticismo tedeschi in nome della riconquista di una vera natura artistica nazionale, fattore che collimava anche con le aspettative politiche degli intellettuali dell'epoca. E vi collimava a tal punto che le sue ricerche attrassero l'attenzione dell'ambiente culturale boemo più della sua attività di compositore, a lungo scarsamente considerata: quando nel 1891 fu rappresentato al Teatro Nazionale di Praga il balletto Rákos Rákoczy, Janacek fu definito dalla stampa «un'autorità in fatto di canto popolare, come raccoglitore e arrangiatore, ma quanto a composizione e a teorie musicali, un innovatore troppo eccentrico». Ma le cose cambiarono presto: già dal primo decennio del Novecento Janàček fu uno dei compositori contemporanei più apprezzati d'Europa.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Suite di Leos Janacek è il primo lavoro orchestrale del grande compositore cecoslovacco. Janacek la scrisse nel 1877, cioè all'età di ventitré anni, quando ancora non aveva finito i suoi studi musicali. Pur trattandosi dunque di un lavoro di gioventù, la Suite lascia intravvedere già chiaramente quelli che saranno i connotati principali dello stile maturo del compositore, stile che sarà nutrito di elementi desunti dall'autentica e viva tradizione popolare del suo paese e che sarà improntato ad una rapsodica libertà armonica, ritmica e modale. Tutto questo senza sconfinare mai in un voluto modernismo d'avanguardia. Nella Suite si palesano inoltre quelle determinanti iniziali dello stile di Janacek che si connettono all'esperienza del romanticismo tedesco e particolarmente del cromatismo wagneriano che il compositore riuscirà a superare in seguito.

La Suite si articola in sei movimenti basati ognuno su di un tema principale nettamente sagomato e dotato di una plastica configurazione ritmica. Nella prima parte, il tema fondamentale, introdotto da un cantabile motivo, ha un carattere danzante. Il secondo tempo, Adagio, è un nostalgico Lied, un vero e proprio «canto senza parole». Il terzo movimento, Andante con moto, è ugualmente cantabile anche se il Presto assume, per contro, un andamento più drammatico. Le figurazioni, vi preannunciano a tratti il partito che un Bartók saprà trarre più tardi dalla materia folkloristica. I due tempi finali, Adagio e Andante, concludono la Suite in un clima di poetica serenità.

Roman Vlad


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 13 marzo 2009
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 19 gennaio 1967


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Ultimo aggiornamento 2 dicembre 2015