Budavàri Te Deum

per soli, coro e orchestra

Musica: Zoltán Kodály (1882 - 1967)
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, organo, archi
Composizione: 1936
Prima esecuzione: Budapest, 2 settembre 1936
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1937
Guida all'ascolto (nota 1)

Béla Bartók e Zoltán Kodály sono, com'è noto, le figure più rappresentative della musica ungherese del Novecento: legati da una fraterna amicizia e da una lunga consuetudine di lavoro artistico e scientifico, ebbero tuttavia destini diversi, come diverse erano le loro personalità di uomini; e se la musica del primo è profondamente segnata da una drammatica e pessimistica concezione della vita, quella di Kodály si manifesta quasi sempre in fiduciosi e ottimistici abbandoni. E mentre Bartók si trovò sempre in mezzo alla bufera (le persecuzioni politiche, la tristezza del declino fisico e l'esilio) Kodály fu guardato invece come un simbolo di saggezza, di vitalità e di prestigio; così nel 1942 tutta l'Ungheria salutò solennemente il suo sessantesimo compleanno, e nel 1947 apprese che egli era stato insignito della Gran Croce della Repubblica Popolare Ungherese.

Laureatosi nel 1906 con una tesi su «La struttura strofica del canto popolare ungherese», Kodály sembrò indicare già in questo lavoro quale sarebbe stata la sua missione di musicista: un continuo atto di amore verso la realtà del canto popolare, considerata come un fenomeno autosufficiente, capace di continue sollecitazioni fantastiche. Per questo, agli occhi di recenti sostenitori della musica «impegnata», Kodály appare fuori dell'avanguardia, perché «si limita a rivestire di preziose armonie e di sapienti impasti strumentali i temi del patrimonio contadino» (Gentilucci). Di fatto il Te Deum che il musicista ungherese compose nel 1936, a celebrazione del duecentociriquantesimo anniversario della liberazione di Budapest e che fu eseguito nello stesso anno sotto la direzione di Victor Sugar, si innesta in un vasto filone di riscoperte della «tradizione» che caratterizza quasi tutti i musicisti più aperti sul futuro di tutta la prima metà del Novecento: i termini di rapporto, oltre alla presenza di impronte popolaresche diventate linguaggio e stato d'animo, non possono essere che Stravinsky da un lato e Bartók dall'altro; ma qui in una semplicità e in un candore che è di Kodály e di lui solo, con tutta la forza del suo ottimismo.

Alle sonorità alte e tese dell'inizio e del Pleni sunt coeli, in stile fugato, succede un discorso musicale più serrato e denso, che approda al fortissimo spasmodico di Non confundar in aeternum, per placarsi poi in modo dolcissimo nel Lento finale (In aeternum) per soprano solo, che si conclude come un sospiro.

Leonardo Pinzauti

Testo

Te Deum laudamus: Te Dominum confitemur,
Te aeternum Patrem omnis terra veneratur.
Tibi omnes Angeli, Tibi coeli et universae Potestates;
Tibi Cherubim et Seraphim incessabili voce proclamant:
Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth.
Pleni sunt coeli et terra majestatis gloriae tuae.
Te gloriosus Apostolorum chorus;
Te Prophetarum laudabilis numerus;
Te Martyrum candidatus laudat exercitus.
Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia,
Patrem immensae majestatis,
Venerandum tuum verum et unicum Filium;
Sanctum quoque Paraclitum Spiritum.
Tu, Rex gloriae, Christe.
Tu Patris sempiternus es Filius.
Tu ad liberandum suscepturus hominem non horruisti Virginis uterum.
Tu, devicto mortis aculeo, aperuisti credentibus regna coelorum.
Tu ad dexteram Dei sedes, in gloria Patris.
Judex crederis esse venturus.
Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine redemisti.
Aeterna fac cum sanctis tuis in gloria numerari.
Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic haereditati tuae.
Et rege eos: et extolle illos usque in aeternum.
Per singulos dies benedicimus te.
Et laudamus nomen tuum in saeculum et in saeculum saeculi.
Dignare, Domine, die isto sine peccato nos custodire.
Miserere nostri. Domine, miserere nostri.
Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quemadmodum speravimus in te.
In te Domine speravi: non confundar in aeternum.
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 6 febbraio 1966


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Ultimo aggiornamento 13 novembre 2014