Háry János

Suite per orchestra

Musica: Zoltán Kodály (1882 - 1967)
  1. Preludio. Inizio del racconto - Con moto. Tranquillo, molto moderato
  2. L'orologio musicale di Vienna - Allegretto
  3. Canzone - Andante, poco rubato
  4. Battaglia e disfatta di Napoleone - Alla marcia. Poco meno mosso. Tempo di marcia funebre
  5. Intermezzo - Andante maestoso, ma con fuoco
  6. Ingresso dell'Imperatore e della sua corte - Alla marcia
Organico: 3 flauti (anche ottavini), 2 oboi, 2 clarinetti (2 anche sassofono), 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 cornette, 3 tromboni, basso tuba, timpani, percussioni, celesta, pianoforte, cimbalom, archi
Composizione: 1927
Prima esecuzione: Barcellona, Gran Teatro del Liceo, 24 marzo 1927
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1927
Guida all'ascolto (nota 1)

Figura di rilievo nel panorama dell'arte novecentesca, Kodály ha contribuito, insieme e in stretta intesa estetica e di lavoro con il connazionale Béla Bartók, a gettare le basi della moderna musica ungherese, superando le esperienze del post-romanticismo da Brahms a Richard Strauss e utilizzando l'enorme patrimonio delle melodie contadine del suo paese, raccolte ed elaborate in collaborazione con l'amico Bartók per l'edizione del "Corpus musicae popularis hungaricae", che costituisce la più completa e aggiornata raccolta di temi e canti di natura folclorica e religiosa dell'antica Ungheria. In un articolo apparso nel 1931, dal titolo significativo "L'influsso della musica contadina sulla musica colta moderna", Bartók che sentì molto l'influenza di Kodály in questo specifico campo di ricerca, ammise che la riattivazione dei vecchi "modi" ecclesiastici annidati nelle pieghe del canto popolare rappresentò la via d'uscita dalla crisi dell'armonia romantica. «Lo studio della musica contadina fu per me di decisiva importanza - scrisse Bartók - perché mi rese possibile la liberazione dalla tirannia dei sistemi maggiore e minore fino allora in vigore. Infatti la più gran parte e la più pregevole del materiale melodico raccolto si basava sugli antichi "modi" ecclesiastici o greci, e perfino su scale più primitive (pentatoniche), con la presenza di raggruppamenti ritmici più liberi, ora in tempo rubato e ora in tempo giusto. Mi resi allora conto che i "modi" antichi e ormai fuori uso nella nostra musica d'autore non hanno perduto nulla della loro vitalità. Il loro reimpiego ha permesso combinazioni armoniche di tipo nuovo. Un siffatto impiego della scala diatonica ha condotto alla liberazione dal rigido esclusivismo della scala maggiore e minore ed ebbe per ultima conseguenza la possibilità di impiegare ormai liberamente e indipendentemente tutti i dodici suoni della scala cromatica».

Si sa che inizialmente Kodály, dopo aver studiato all'Accademia musicale di Budapest, soggiornò tra il 1906 e il 1907 a Parigi, dove ebbe la rivelazione di Debussy e assimilò il linguaggio armonico e coloristico dell'arte impressionistica. Alcune sue composizioni di quel periodo risentono dell'infatuazione debussyana, che in verità durò poco tempo, in quanto Kodály si rese conto che percorrere la stessa strada del compositore francese sarebbe equivalso a rimanere in una posizione di epigono e di ripetitore di formule altrui. La sua ambizione era di scrivere musica più profondamente legata all'anima ungherese, seguendo le indicazioni di tecnica e di stile derivanti dalle canzoni popolari della propria terra. Di qui deriva quella precisa scelta di campo, di gusto e di sensibilità tipicamente magiare fatta da Kodály, che del resto non ha mai rifiutato a priori il contributo dell'arte occidentale. Il nome di questo musicista s'impose all'attenzione del mondo musicale internazionale nel 1923 con l'esecuzione del celebre Psalmus Hungaricus per tenore, coro e orchestra, che salvò l'autore da ulteriori provvedimenti disciplinari dopo quelli di cui era stato oggetto durante le prime reazioni degli ambienti conservatori alla caduta della "Comune" del comunista Béla Kun, alla quale il compositore, coerente con le sue idee di schietta fede democratica, aveva aderito. Vennero poi altri lavori che estesero e rafforzarono la fama di Kodály in Europa, come le orchestrali e brillanti Danze di Marosszék (1930), le Danze di Galánta (1933), le musiche di scena, condensate anche in una suite, dell'estroso ed umoristico Háry Janós (1926), l'opera comico-idillica La filanda magiara (1932), ricca di danze e di cori a ballo di vivace stampo popolaresco e il Budavari Te Deum per soli, coro e orchestra (1936), di imponente costruzione vocale e religiosamente ispirato alle fonti liturgiche del melos ungherese. A questa produzione va aggiunta anche l'opera sinfonica e cameristica, comprendente una Sinfonia in do maggiore dedicata nel 1961 alla memoria di Toscanini, direttore che ebbe molta stima per Kodály, l'Adagio per violino e pianoforte (1905), la Sonata per violoncello e pianoforte (1910), la Sonata op. 8 per violoncello solo (1915), i Quartetti op. 2 e op. 10 (1908 e 1918), la Missa brevis per coro e orchestra e numerosi Lieder per canto e pianoforte.

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Kodály giunse più tardi di Bartók (tra i due compositori correva un anno di differenza) al teatro musicale e vi esordì con un Singspiel e più esattamente un Liederspiel, denominato Háry Janós (Giovanni Háry), su libretto di Pauline Béla e Harsányi Zsolt ricavato da un poema scritto nel 1843 da János Garay e intitolato Az obsitos (Il congedato). Kodály compose la musica tra il 1925 e l'inizio del 1926; vi apportò diverse e sostanziali varianti dopo la prima rappresentazione del Singspiel avvenuta con successo all'Opera di Budapest il 16 ottobre 1926. Successivamente l'autore pensò bene, su consiglio di Bartók, di ricavare dal lavoro originale - il quale prevede accanto all'orchestra la partecipazione del coro, di vari cantanti solisti e di un gruppo di attori - una suite orchestrale di sei brani. Tale versione venne eseguita per la prima volta a Barcellona il 24 marzo 1927 dall'orchestra di Pablo Casals diretta da Antal Fleischer dell'Opera di Budapest. Naturalmente la suite punta sugli aspetti brillanti e pittoreschi della partitura e non sviluppa in tutta la loro estensione i valori sentimentali, nostalgici e fantasiosi, sparsi a piene mani in questo affresco musicale ancora oggi rappresentato con regolare frequenza nei teatri ungheresi. La suite comprende la sinfonia introduttiva evocante con gustosa varietà timbrica l'atmosfera del racconto fiabesco; la scena del carillon di Vienna ricca di accenti marionettistici e umoristici in un brillante rincorrersi di effetti strumentali; il nostalgico Lied in cui il protagonista ripensa alla pace della sua casa lontana; la descrizione della battaglia di Napoleone con il felicissimo contrasto tra la marcetta vivace e petulante degli austriaci e quella lentissima e trionfale dei francesi, dagli echi quasi musorgskiani; l'Intermezzo su un ritmo di danza popolaresca (la pagina più universalmente nota ed emblematica dell'intera partitura) e infine l'entrata della Corte imperiale, molto espressiva per il vivace taglio ritmico e per la mobilità policroma delle figurazioni strumentali.

Va ricordato che al centro del Singspiel creato da Kodály c'è Háry Janós, un personaggio della fantasia particolarmente eccitata, una sorta di spaccone eroicomico e leggendario, parente lontano del Miles gloriosus plautino, o, se si vuole, di capitan Fracassa, di Don Chisciotte, di Till Eulenspiegel e di Tartarino di Tarscona. È lo stesso Háry a raccontare all'osteria di Nagyabony le sue imprese militari completamente inventate e le sue fanciullesche allucinazioni, inquadrate tra un prologo e un epilogo. La favola è narrata in quattro "avventure": nella prima Háry racconta come sia riuscito a risolvere il contrasto tra due sentinelle al confine tra la Ruritania e la Galizia, riuscendo a far passare la principessa d'Austria Maria Luisa, che per ricompensa arruola il nostro eroe nella guardia imperiale. Nella seconda avventura si parla del sergente Háry alla corte imperiale di Vienna, dove riesce a curare la podagra dell'imperatore, così da farsi nominare comandante dell'esercito austriaco che dovrà affrontare Napoleone sul campo di battaglia. Nella terza avventura il generale Háry ha sconfitto nei pressi di Milano Napoleone, il quale si arrende e viene fatto prigioniero; per premio può sposare la principessa Maria Luisa. Nella quarta avventura Háry rimette nelle mani dell'imperatore d'Austria titoli e ricchezze e preferisce tornare nel suo villaggio tra le braccia della sua ragazza, Ilka. Alla fine si ode una voce che dice da lontano: «Ve lo dico chiaro e tondo: Háry è stato il più grande eroe del mondo».


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 ottobre 1999


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Ultimo aggiornamento 12 novembre 2014