Dante-Symphonie, da Dante Alighieri, S 109

in due parti per coro femminile e orchestra

Musica: Franz Liszt (1811 - 1886)
Tre versioni, le prime due orchestrate rispettivamente da Peter Cornelius e Joachim Raff
  1. Inferno - Lento. Allegro frenetico. Andante amoroso
  2. Purgatorio - Andante con moto. Lamentoso
  3. Magnificat. Alleluja
Organico: coro femminile, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, piatti, tam-tam, 2 arpe, armonio, archi
Composizione: 1855 - Weimar, 8 luglio 1856
Prima esecuzione: Dresda, Königlich-Sächsisches Hoftheater, 7 novembre 1857
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1859

Vedi a S 648 la trascrizione per due pianoforti
Vedi a S 672b la trascrizione per organo
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Verso i trent'anni Liszt ebbe occasione di leggere, assieme alla contessa D'Agoult, la Divina Commedia. L'idea motivica iniziale della Sinfonia «Dante» si ritrova già in uno dei suoi primi Lieder per piano, Le vieux vagabond, nello stesso modo come la prima stesura dell'ultimo brano del secondo volume di Années de Pélérinage, cioè Après une lecture de Dante - Fantasia quasi Sonata, è di quel periodo, esattamente del 1837. L'idea di una Sinfonia su quel soggetto nacque però un decennio più tardi, al tempo dei poemi sinfonici e dell'intensificazione intellettualistica della musica a programma: dall'epistolario si apprende che nel 1847 Liszt suonò al pianoforte al cospetto della principessa Wittgenstein vari temi ispirati alla Divina Commedia e chiese la collaborazione del pittore Bonaventura Genelli per l'approntamento di una serie di diapositive per la «Lanterna magica» da proiettarsi durante l'esecuzione della musica. Il progetto fu poi lasciato cadere, mentre la composizione vera e propria ebbe inizio soltanto nell'estate del 1855 e conclusione l'8 luglio 1856: l'autore stesso ne diresse la prima esecuzione assoluta il 7 novembre 1857 al Königlisches Schauspielhaus di Dresda («un fiasco per insufficienza di prove» commentò Liszt, mentre un grande successo arrise alla prima replica a Praga l'anno successivo, dopo alcune varianti); nel 1859 la partitura fu pubblicata da Breitkopf & Härtel. Secondo il progetto originario, era stata prevista un'articolazione della Sinfonia in tre movimenti, in corrispondenza delle tre cantiche Inferno, Purgatorio e Paradiso, e per l'ultima parte era stato divisato l'impiego di grandi complessi corali: Liszt sottopose tale progetto a Wagner, ma ne fu da questi dissuaso, con la motivazione, contenuta nella lettera del 7 giugno 1855, che «nessun esser umano sarebbe stato in grado di rendere in musica le gioie del Paradiso, il cui splendore in qualsiasi espressione artistica poteva soltanto esser contemplato con gli occhi dell'anima». L'assenza di una pregnante conclusione alla Sinfonia «Dante» ne indeboli la struttura, specie rispetto alla consorella Faust-Symphonie, orientando, al confronto, la composizione maggiormente in senso descrittivo anziché psicologico-tematico, secondo i noti stilemi della poetica lisztiana, nell'integrazione di componenti meramente musicali e di componenti più latamente culturali, destinate a sovrapporsi, a variare ed a condizionare le prime, nell'ambito di una realizzazione di suprema sapienza orchestrale. Al posto del «Paradiso», Liszt compose allora un Magnificat, intonato dalle voci femminili, delineando una conclusione serena e trasfigurata, poggiante su accordi di eterea leggerezza, lungamente tenuti. Come riferisce anche Wagner, un secondo finale fu scritto successivamente da Lizst, su consiglio della principessa Carolina di Sayn-Wittgenstein, marcatamente estroverso nella perorazione conclusiva, che termina l'opera in fortissimo, secondo un modulo stilistico di sicuro effetto ma nettamente retorico e convenzionale.

L'autografo della Sinfonia «Dante» contiene la dedica a Wagner «con commossa e partecipe ammirazione, e con fedele amicizia» ma sull'esemplare, inviato personalmente, erano state vergate le seguenti espressioni: «Come Virgilio per Dante, nello stesso modo tu mi hai insegnato la strada attraverso le misteriose contrade dei sublimi e soprasensibili mondi dei suoni: dal più profondo del cuore salga a te il grido "Tu sei lo mio maestro e il mio autore!" consacrandoti questo lavoro con immutabile appassionata devozione».

In occasione della prima esecuzione a Dresda e poi alla ripresa di Praga, gli ascoltatori vennero esplicitamente informati da diffuse presentazioni sulle teorie lisztiane della «musica a programma» nel clima della libera invenzione sinfonica. Se la Faust-Symphonie avrebbe dovuto essere un'opera che il compositore aveva intenzione di scrivere in collaborazione con Dumas e Gerard de Nerval, e che poi trovò uno sbocco più appropriato nell'aspetto e nello sviluppo sinfonico, risultando esemplare rispetto agli assunti concettuali originari, anche la Dante - Symphonie nel progetto di Liszt era destinata a raffigurare uno specimine altrettanto clamoroso, secondo la prospettiva di «un rinnovamento della musica attraverso la sua più intima compenetrazione con l'arte poetica», come l'autore stesso del resto a Weimar più volte ebbe a dichiarare, senza possibilità d'equivoco.

Concettualmente, la «musica a programma» intese sostituire allo schema, ritenuto meramente formale, della sinfonia classica una differente articolazione dialettica, inserendo nell'intimo stesso della musica idee originariamente ultronee ma assimilate ben presto in suggestioni di carattere figurativo, e principalmente poetico o letterario, con la tendenza ad imporre al discorso sonoro un proprio peculiare ritmo narrativo, descrittivo o psicologico: il «programma», proposto già da Berlioz con specifiche didascalie, divenne nel poema sinfonico lisztiano, tra gli anni 1848-1858, marcata interiorizzazione di qualsiasi tessuto espositivo e ad un tempo stimolo a concedere all'autore la massima libertà d'inventiva. Della compenetrazione tra narrazione e psicologia, prototipo sintomatico fu «Faust, Symphonie in drei Charakterbildern» (1854) in cui il «programma» non limitò affatto l'espandersi più libero dei valori specifici della musica, evitando contemporaneamente la dispersione del contenuto sonoro nel descrittivismo estroverso. «Proporzione, ordine, euritmia ed armonia - precisò Liszt in quell'occasione - sono altrettanto indispensabili dell'invenzione, della fantasia, melodia, sentimento o passione... nel perseguire lo scopo di alludere soprattutto ai moventi psicologici che possano spingere il compositore a creare la sua opera, nonché di sviluppare l'influenza di impressioni determinate, da portare successivamente a completa conoscenza dell'ascoltatore». La omogeneità del lessico motivico racchiuse organicamente l'intero materiale sonoro, con singolare coerenza espressiva, evidenziando le due costanti del procedimento compositivo lisztiano cioè il Leitmotiv, che si ripresenta puntualmente ogni volta che ricorre quel dato momento psicologico con esso correlato, e la tecnica della libera variazione che instaura relazioni fittissime, spesso anche sottili ed allusive, nell'ambito di un'orchestrazione trattata con insuperabili maestria, specie nello smalto timbrico. Liszt, sfruttando abilmente tutte le risorse delle varie famiglie strumentali, riuscì a realizzare in termini musicali un'autentica forza plastica, anche adottando frequentemente insoliti espedienti, dall'impiego dei raddoppi e degli unissoni degli archi, all'uso di molti strumenti in registri inconsueti, ai numerosi glissandi, all'inversione di scrittura tra l'una e l'altra sezione dell'orchestra, all'audacissima sperimentazione coloristica, in grado effettivamente di anticipare i bagliori e le variegature ironiche delle «Tondichtungen» straussiane, alla doviziosa varietà della scrittura armonica in cui si possono percepire i germi wagneriani anticipatori della dissoluzione tonale.

Nella Sinfonia «Dante» tutta la tecnica della grande orchestra sinfonica è stata egualmente squadernata con straordinaria grandiosità, sin dalla sinfonia iniziale con il motivo dei tromboni, rapportabile all'iscrizione, sulle porte dell'Inferno dantesco, delle parole «Per me si va nella città dolente» ecc., all'intervento del coro sull'ultimo verso, adottando una cellula ritmica ricorrente con funzione tematica in tutta la prima parte. Un successivo motivo, digradante cromaticamente, segna l'incipit della prima sezione del movimento il cui assunto, in termini immaginifici, appare strettamente riferibile alla visione dell'«Inferno» dantesco: l'organizzazione musicale di questo movimento è esattamente simmetrica e tripartita, con le tre sezioni che ripropongono la struttura interna A-B-A della forma-sonata: tra le due valve esterne, in cui si esalta la forza propulsiva della grande orchestra romantica nella descrizione della bufera infernale, la sezione centrale è centrata sull'episodio di Paolo e Francesca e il rispettivo Leitmotiv corrisponde alle parole «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / nella miseria».

La seconda parte, «Purgatorio», s'apre con un'introduzione che intende rappresentare Dante nel risalire dall'Inferno alla luce delle stelle: l'episodio musicale sulla contemplazione dell'alba si libra in atmosfere traslucide e rarefatte e si compiace di rugiadose e trasognate espressioni musicali. La principale sezione del secondo movimento inerisce alla descrizione delle anime che sopportano le prove necessarie per poter poi ascendere al Paradiso: segue una sorta di Fuga grandiosa, su di un soggetto tematico per gradi discendenti, in corrispondenza alla sezione centrale dell'«Inferno»: la ripresa conduce ad un maestoso e solenne vertice sonoro. In assenza del «Paradiso», si ascolta uno dei due Finali scritti da Liszt, normalmente il Magnificat. Resta indubitabile però il fatto che, non realizzatosi l'equivalente musicale della terza cantica dantesca, alla quale sarebbe spettato il compito di risolvere le antinomie dialettiche simmetricamente contrapposte nell'«Inferno» e nel «Purgatorio», le stesso coordinate psicologiche immanenti all'assunto concettuale ispiratore vennero a risultare sfumate e a tratti non adeguatamente differenziate, semanticamente, rispetto all'intento d'origine, alla Divina Commedia: risolvendosi quindi in una policroma, ma fissa, plasticità descrittiva, in una sapientìssima, ma aproblematica dimensione illustrativa, pur se la serena e trasfigurata conclusione del Magnificat (o per converso l'irruente Finale della versione di Praga) possa apparire, in sé considerata fatto musicale meritevole del più alto rispetto.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Forse non si è ancora considerata compiutamente l'importanza storica e culturale esercitata nel secolo scorso da Liszt, uno dei pochissimi romantici longevi e già per questo capaci di appartenere di diritto alle due generazioni dei musicisti ottocenteschi, ossia quella dei Berlioz, Schumann e Chopin e quella dei Wagner, Brahms, Franck e Bruckner, oltreché dei più importanti nazionalisti. Privilegio anagrafico che però si conforta con la continua presenza attiva di Liszt nel panorama creativo e nella vicenda della prassi musicale ottocentesca. Sappiamo infatti della sua devozione e facoltà demiurgica nei confronti di Wagner, della sua sollecitudine per artisti giovani ed originali (basterebbe scorrere l'ampio elenco di opere a lui dedicate non da allievi bensì da seguaci indiretti, da Smetana a Borodin), del suo personale intervento nell'allestimento di opere ai suoi tempi d'avanguardia. Inoltre, le sue innumerevoli trascrizioni pianistiche di composizioni svariate (lieder, sinfonie, poemi sinfonici, brani o potpourris d'opere teatrali] costituiscono un'insostituibile compilazione enciclopedistica dell'Ottocento, a livello non tanto virtuosistico bensf divulgativo: insomma, un indice enorme di musicisti, opere e generi musicali che fa davvero sommario di un'epoca. Né va infine disattesa la sua costante ansia culturale, ovvero quella vocazione a proporre continuamente un'osmosi tra le arti sorelle, ossia la letteratura, la pittura e la musica, intese secondo un collegamento che era primario ideale del Romanticismo (e poi, in Italia, di certa Scapigliatura]. La suddivisione ambiziosa dei regni ed ambiti artistici che sciovinisticamente il Gauthier vedeva realizzarsi nel trinomio francese Hugo-Berlioz-Delacroix, Liszt pareva in qualche modo accentrarla, riassumerla in un'unico esito musicale: ove è proprio il disinvolto cosmopolitismo culturale che consente a questo profeta e propagandista del Romanticismo di farsi tramite insostituibile di tutte le esperienze ed illusioni della sua epoca. Come musicista, Liszt associava al vistoso e fin dispersivo virtuosismo timbrico una salutare capacità di realizzare un discorso continuo, su temi non sempre appariscenti ma spesso incisivi ed ossessivi, adatti quindi ad un'incessante trasformazione, ad un'atomizzazione del linguaggio, armonicamente cangiante, che profetizza non solo lo stile maturo di Wagner ma anche tutto il gusto tardo-romantico europeo. Facoltà esplicata nel genere da lui avviato del «poema sinfonico», ma forse ancor più evidente proprio nello scontro diretto con le strutture tradizionali della Sonata e della Sinfonia. Con la differenza che se la «Sonata in si minore» è un superbo esempio di autonomia strutturale, il regno della Sinfonia gli comporta minor radicalismo, perché informato ad impressioni destategli da opere d'arte e soprattutto da poetiche letture.

Cosi, l'assunto ideale di tanto Romanticismo di «poesia pittorica» trova in lui la prima equazione della musica con la pittura, seppure Liszt non sempre si sia limitato a chieder ispirazione a soggetti di valore perenne e, quand'anche l'abbia fatto, non sempre abbia ottenuto risultati veramente grandi. Questo è il caso di due suoi poemi sinfonici, l'«Hunnenschlacht» e l'ultimo «Du berceau jusqu'au tombeau», per cui si è ispirato rispettivamente ad un cattivo esponente del Romanticismo pittorico, Wilhelm Kaulbach, e ad uno schizzo a penna del pittore storico ungherese Michael Zichy. Ma Liszt si rivolgeva a questi due artisti perché entrambi tendevano ad un ideale quanto velleitario principio, quello di dipingere delle «idee». Più libero da ogni impaccio programmatico Liszt si configura invece quando la provocazione pittorica è spontanea e non più intellettualistica, allorché da turista di buona cultura, da viaggiatore in pellegrinaggio, riporta in pagine di diario certe sue impressioni immediate, come quando pone in musica lo «Sposalizio della Vergine» di Raffaello o abbozza il ritratto di Salvator Rosa, o traduce nel «Pensieroso» le sensazioni destategli dalle tombe medicee di Michelangelo in San Lorenzo a Firenze, o infine quando traspone l'affresco dell'Orcagna nel camposanto di Pisa, il «Trionfo della Morte», nelle parafrasi del «Dies Irae» che costituiscono il suo noto «Totentanz».

Da perfetto romantico, inoltre Lisz cercò non soltanto incitamento ma riferimento musicale nella letteratura e poesia. Era anche la stagione liederistica a favorire l'incontro frequente con la poesia, ma va detto che certo gusto per cosi dire «archeologico» del Romanticismo, parallelo alla riscoperta poetica del Medioevo, colmò opportunamente una vistosa lacuna culturale, ricuperando Dante, Petrarca e il Tasso. Se è vero infatti che l'epica cavalleresca dell'Ariosto e del Tasso costituì una fonte inesauribile di materiale operistico che da Caccini e Cavalli giunge fino al «Tancredi» rossiniano, il Romanticismo ricuperò, anche e proprio nella stesura strumentale, i tre suddetti grandi poeti italiani, che in un certo modo vennero opposti ai numi della più recente poesia europea. E non a caso proprio Liszt dedica le sue due Sinfonie a programma al «Faust» ed a «Dante» (ideali poi agitati anche da Busoni), accostando meditazioni su Byron, Lamartine e Hugo al Tasso (tutti autori che gli ispirano poemi sinfonici), altresf dedicando pagine pianistiche di rilievo sia a sonetti del Petrarca che al poema dantesco. Certo, in questi antichi poeti italiani il Romanticismo integrale rilevava prontamente caratteri ed atteggiamenti autobiografici, come nel caso del Tasso, mediato da Goethe e da Byron; ma se il cantore di Laura affidava agli estri di Liszt i sentimenti più estatici, ben più turbinosi erano i moventi desunti dalla grandiosità dantesca, come si nota in quella «fantasia quasi sonata» che, capovolgendo i termini del beethoveniano «Chiaro di luna», tende alla concezione ciclica della successiva «Sonata in si minore».

Non subito dopo siffatto primo approccio dantesco del '37, ma negli anni della revisione di questa composizione «Après une lecture de Dante» del '49 (inclusa nella seconda «Année de pélerinage»), Liszt cominciò a progettare la «Sinfonia "Dante"», composizione che si protrasse negli anni (anche se fu realizzata abbastanza rapidamente: iniziata nell'estate 1855, fu terminata l'8 luglio 1856 e diretta il 7 novembre successivo a Dresda), incrociandosi con la creazione di un'altra Sinfonia, quella sul «Faust» goethiano (1854-57), opera dunque dedicata all'altro maggior rappresentante della letteratura mondiale. Impresa, come si vede, ambiziosa se non temeraria; ma se nella scelta del Faust Liszt si accomuna a molti musicisti romantici (da Berlioz a Schumann a Wagner, anticipando inoltre Mahler e Busoni, per tacere di tutti i contributi liederistici e corali), l'impresa dantesca è tutta e solo sua, ancorché la «Sinfonia» sia dedicata a Wagner come la «Faust» era destinata all'altro sodale compagno d'arte Berlioz. Liszt era infatti l'unico musicista romantico a conoscere veramente il massimo poeta italiano e, vorremmo precisare, a conoscerlo secondo certa visuale ottocentesca che lo riteneva grande soprattutto per le due prime cantiche, non tanto per il Paradiso, giudicato alla stregua di poema teologico. La luce del Paradiso era troppo eterea, troppo lontana dal plastico realismo di Inferno e Purgatorio, i cui personaggi riproponevano afflizioni ed estasi tormentose fin troppo affini a tanti casi letterari, a tante predilette figure del Romanticismo. Proprio per questo Liszt divise in due parti la sua «Sinfonia» dantesca, aggiungendovi un po' forzatamente e come a contraggenio la conclusiva sezione corale del «Magnificat», allo stesso modo che aveva completato la Sinfonia tripartita «Faust» (dedicata ai ritratti di Faust, Margherita e Mefistofele) con un «Chorus mysticus». Ovviamente, siffatta soluzione riesce meno arbitraria nella «Sinfonia "Dante"» ma però appare più forzata, perché il breve «Magnificat» conclusivo crea uno scompenso strutturale con le due vaste sezioni precedenti dedicate all'Inferno ed al Purgatorio: e si che Liszt sapeva pur destreggiarsi ottimamente in ampie composizioni sacre, quali Messe ed Oratori. Culpa, sed felix culpa, giacché la conclusione corale, qui nella «Sinfonia dantesca», evita a Liszt il rischio non infrequente della magniloquenza retorica, della vocazione facile alla perorazione, all'esteriorità di facili effettismi che mal sopperiscono il calo ispirativo; ove insomma la conclusione riesce qui più organica, logica e suggestiva che non nella «Sinfonia faustiana». E se sono talune licenze a decidere il limite creativo di Liszt, certe sue carenze od esitazioni (com'è anche il caso dell'«Enfance du Christ» di Berlioz) si tramutano in pregi e conquiste.

Nulla di mefistofelico (cioè di congeniale a Liszt) nel primo tempo «Inferno», tutto mosso da un tono cupo e lampeggiante, con risvolti talvolta minacciosi e sinistri, talvolta dolenti e nostalgici: piuttosto, il musicista cerca qui di controllare la sua interpretazione della più celebre cantica dantesca conferendole l'immagine sonora corrispondente a quella che ne aveva offerto Delacroix nel suo celebre dipinto del '22 «La Barque de Dante» e che di lì a poco doveva darne Dorè nella sua altrettanto nota illustrazione della Commedia (1861). Come dire che Liszt individua dei momenti simbolici della cantica, dei nuclei rappresentativi: ad esempio la porta della «città dolente», nell'avvio accigliato e fin selvaggiamente concitato; o il passo serrato, siglato dagli appelli delle trombe che si stemperano in volute musicali sempre più espanse (a raffigurazione dei gironi) fino all'attonito silenzio, a commento del verso «Lasciate ogni speranza»; o l'immancabile episodio di Paolo e Francesca, che consente un passo sentimentale e più distesamente melanconico. La strada per l'omonimo poema sinfonico di Ciaikovski è qui chiaramente prefigurata, ma si noti come l'elegia del corno inglese ricuperi la lezione di Berlioz, specificamente la scena della tristezza di Romeo prima della festa in casa Capuleti, nella Sinfonia «Romeo e Giulietta». Infine, ecco l'immagine del fuoco eterno, su cadenze crepitanti e fantasmagoriche, che da un lato arroventa il decorso musicale con vorticosi e rabbrividenti cromatismi che stanno tra Venusberg e Tetralogìa, e che d'altro canto estenua il flusso discorsivo, atomizzando i temi fino alle soglie del Tristano e del Parsifal. Proprio questa continua provocazione wagneriana, assieme a taluni accenti sardonici e terrificanti (nella conclusione), che paiono presentire nettamente certo Bruckner e Mahler sinfonico, è la miglior prova dell'efficacia stimolatrice e virtuale, del continuo presagio della musica lisztiana, ma altresì è il segno autentico del disperante squilibrio della sua ispirazione talvolta carente, consapevolmente scevra di costante creatività, di vera ed autonoma individualità espressiva.

Il secondo tempo, un vasto adagio, si muove in un clima notturno e misterioso: a notare come Liszt intendesse il «Purgatorio» come sede di riflessione, più di «meditazione» (com'egli stesso infatti designò questa parte dell'opera) che di pentimento. Il tema dell'oboe esce cosi lentamente da intrecciati arpeggi che rammentano, ancora una volta, l'avvio wagneriano dell'«Oro del Reno»; poi, il recitativo del violoncello apre un periodare più teso ed intenso, ove il dialogo di sapore quasi organistico tra legni ed archi solleva accenti mistici, anche qui anticipando sensuosi spessori espressivi del tardo Romanticismo. Una fuga a cinque voci, nell'episodio denominato «Lamentoso», anima provvisoriamente il decorso statico che, con minor peso sentimentale, non poco preannuncia il tono araldico del Parsifal: e il clima si fa allora più clamoroso ed incisivo, ancorché sempre solenne, trapassando poi a sonorità più eteree e dolci, che preparano la felice sutura del «Magnificat» conclusivo, esposto dal coro. Liszt ora ricupera quel clima di serafica estaticità romantica che spesso surrogava la religiosità, alla sacralità: con quello stile glabro, con quell'armonizzazione arcaizzante e modale che è presente in certe partì di sue Messe. Ancora una volta, le incursioni lisztiane sono presagenti: almeno, sui climi eleganti, estetizzanti ed un po' estenuati del gusto preraffaellita, ove Perosi ed il Fauré sacro, Parsifal o Damoiselle élue paiono assentire la loro infallibile discendenza.

Sergio Martinotti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 27 aprile 1975
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Palazzo vecchio, 24 settembre 1977


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Ultimo aggiornamento 10 gennaio 2019