Années de pèlérinage. Troisième Année, S 163


Musica: Franz Liszt (1811 - 1886)
  1. Angelus! Prière aux anges gardiens - Andante pietoso (mi maggiore)
    Dedica: Daniela von Bülow
  2. Aux cyprès de la Villa d'Este, «thrénodie I» - Andante
  3. Aux cyprès de la Villa d'Este, «thrénodie II» - Andante ma non troppo (mi minore)
  4. Les jeux d'eau a la Villa d'Este - Allegretto (fa diesis maggiore)
  5. Sunt lacrymae rerum, «en mode hongrois» - Lento assai
    Dedica: Hans von Bülow
  6. Marche funebre (per Massimiliano imperatore del Messico) - Andante, maestoso, funebre
  7. Sursum corda - Andante maestoso, non troppo lento
Organico: pianoforte
Composizione: 1877 - 1882
Edizione: Schott, Magonza, 1883

Vedi a R 389 la trascrizione del n. 1 per organo
Vedi a R 473 la trascrizione del n. 1 per quartetto d'archi
Guida all'ascolto (nota 1)

I tre volumi delle Années de pèlerinage (Anni di pellegrinaggio) sono una testimonianza tra le più complete della ricchezza e della varietà della tavolozza musicale di Franz Liszt ma proprio per questo motivo non costituiscono un ciclo omogeneo, almeno sotto l'aspetto musicale. La loro unitarietà discende - come si vedrà - da altri motivi.

Le origini del primo libro (Suisse) e del secondo (Italie) risalgono rispettivamente al 1835 e al 1837, il periodo dei viaggi giovanili con Marie d'Agoult, sebbene la loro pubblicazione sia avvenuta molto più tardi, nel 1855 e 1858, dopo varie rielaborazioni prolungatesi per un ventennio. Ogni pezzo ha un preciso riferimento al paese indicato nel titolo, si tratti di impressioni della natura e del paesaggio svizzeri o di suggestioni dell'arte italiana. Queste due prime Années sono chiaramente l'opera di un giovane artista traboccante di sentimento e fervore romantici.

Il terzo volume fu composto decenni dopo, per la maggior parte nell'arco di un breve periodo, il 1877, con l'aggiunta di due brani (il n. 5 e il n. 6) risalenti a pochi anni prima. Ormai Marie d'Agoult era un ricordo lontano, anche la tormentata vicenda con la principessa Carolyne zu Sayn-Wittgenstein era chiusa da tempo, Liszt nel 1865 aveva preso gli ordini minori ed era un uomo vecchio e solitario. Il brillante musicista conteso dai salotti e dalle sale da concerto dell'intera Europa aveva lasciato il posto all'abate che vestiva la tonaca e conduceva una vita ritirata, dando rari concerti e dedicandosi soprattutto all'insegnamento, lontano dalla mondanità di Parigi, che per anni era stata il centro da cui si diramava la sua frenetica attività. Anche la sua musica aveva subito una trasformazione, era diventata visionaria, immateriale, ascetica: la voce di un uomo in preda al pessimismo, quasi disperato, ma che nonostante tutto continua a sperare nella luce. Però il passare degli anni non aveva spento il suo desiderio di percorrere nuove vie con la sua musica, ma, invece di rivolgersi come nella giovinezza a una tecnica esecutiva trascendentale per spalancare al pianoforte inimmaginabili panorami sonori, nell'ultimo periodo della sua vita esplorava nuovi mondi musicali attraverso alchemiche ricerche nel campo dell'armonia, in anticipo di anni sulla sua epoca.

Un'altra differenza con le due precedenti Années è che la terza non è dedicata specificamente ad una nazione (così almeno nella prima edizione, mentre molte edizioni successive le hanno attribuito il titolo Italie, come alla seconda). Fanno esplicito riferimento all'Italia soltanto i tre pezzi dedicati alla Villa d'Este, che però vanno anch'essi oltre le finalità puramente descrittive. Liszt continuava i suoi pellegrinaggi, ma in una dimensione diversa, totalmente spirituale, senza muoversi da Roma o più esattamente dal suo eremo vicino Roma, l'appartamento che il Cardinale Hohenlohe gli aveva messo a disposizione nella Villa d'Este a Tivoli, dove gran parte di questa raccolta fu scritta. La terza Année de pèìerinage è una meditazione sul senso più interiore e profondo della vita e una testimonianza della costante ricerca della spiritualità e dei significati ultimi da parte di Liszt. Di ciò è indicativa anche la disposizione dei sette pezzi, che non rispecchia l'ordine cronologico di composizione e fu scelta da Liszt per dare alla raccolta il significato di un percorso spirituale, che si apre e si chiude rivolgendo il pensiero alla divinità con la semplice preghiera dell'Angelus e con Sursum corda, il breve dialogo tra celebrante e fedeli che introduce la celebrazione eucaristica con l'invito ad elevare il cuore a Dio, staccandosi dalle cose terrene, uno dei momenti di maggiore misticismo della liturgia cattolica. Al centro stanno quattro meditazioni sulla morte - tre trenodie e una marcia funebre - e un pezzo che apparentemente è una virtuosistica resa sonora dei giochi d'acqua di Villa d'Este ma che in realtà contiene una simbologia religiosa, l'acqua come sorgente di vita eterna.

Considerata in quest'ottica, la terza Année non è in contrasto con le prime due, bensì ne è il coronamento: Liszt infatti considerava i tre volumi come le tappe di un unico percorso spirituale, che rispecchia la lotta dello spirito per sfuggire alle limitazioni della materia e del tempo, nel primo volume attraverso la natura, nel secondo attraverso l'arte e nel terzo attraverso il misticismo e la fede. Vengono così "fuse progressivamente in un insieme unitario le diverse fasi della vita di un uomo, iniziate con le specifiche circostanze di una turbolenta storia d'amore e con il passaggio attraverso le bellezze della natura, proseguite con la contemplazione della grandezza delle creazioni umane, giunte infine ad una profonda esperienza religiosa, in cui il compositore scopre la propria appartenenza ad un mondo più grande di lui, non più legato alle bellezze del paesaggio terreno e alle costruzioni dello spirito umano, ma trascendente i limiti della sua propria esistenza" (Jan Visser). Il "pellegrino" di Liszt è dunque - secondo l'etimologia dal latino peregrinus - l'eterno straniero, il Wanderer romantico sempre in cammino, ma trova alla fine un punto di arrivo e una patria eterna al di fuori del mondo delle cose materiali. Le differenze esteriori tra le diverse Années rimangono, ma non generano iati o contraddizioni, perché sono riassorbite in un unico progetto ideale di ampia portata.

Il primo pezzo della terza serie delle Années de pèlerinage è Angelus! Prière aux anges gardiens (Angelus! Preghiera agli angeli custodi), la preghiera serale che chiude la giornata nel ricordo dell'annunciazione dell'angelo a Maria e dell'incarnazione. Liszt ne fece anche delle versioni per harmonium e per quartetto d'archi, come a dimostrare che qui il pianoforte e la tecnica pianistica sono marginali: siamo infatti agli antipodi dell'esaltazione delle possibilità dello strumento e del virtuosismo dell'esecutore che caratterizzavano gli anni ruggenti di Liszt. Anche l'orditura musicale è semplicissima; delicati accordi ondeggianti, che evocano il suono della campana che accompagna la recita dell'Angelus, si intrecciano a una melodia austera ma dolce, creando un senso di raccoglimento intcriore ma anche di spazi infiniti.

I due pezzi intitolati Aux cyprès de la Villa d'Este sono entrambi sottotitolati Thrénodie, senza che sia specificato a quale evento questa lamentazione funebre si riferisca. Il primo è nominalmente in sol maggiore ma oscilla in continuazione tra modo maggiore e minore, con un effetto di sospensione armonica. Il lento e ripetitivo incedere del basso nelle ventiquattro battute iniziali sembra raffigurare un lungo filare di cipressi, mentre più avanti viene suggerita l'immagine dei cipressi scossi dal vento. Ma l'aspetto pittorico è secondario e a prevalere è il tono grave e meditativo della trenodia. Carattere simile ha il secondò di questi pezzi, il cui inizio, con le sue armonie sospese, è uno dei momenti magici di questa raccolta. Va ricordato che originariamente questo pezzo non era riferito ai cipressi di Villa d'Este ma a quelli, oggi non più esistenti, davanti alla chiesa di Santa Maria degli Angeli, che si credevano piantati da Michelangelo; ma quando questa supposizione fu dimostrata falsa, Liszt cambiò il titolo.

È netto lo stacco tra i toni cupi usati finora da Liszt e la luminosità di Les jeux d'eau à la Villa d'Este (I giochi d'acqua a Villa d'Este), il più celebre dei sette pezzi di questa raccolta e anche l'unico a richiedere un notevole impegno virtuoslstico, indispensabile per rendere la continua e inafferrabile mobilità dei getti d'acqua. Nessuno mai aveva scrìtto una musica dai colori cosi cangianti ed iridescenti, che a distanza di decenni ancora esercitava una potente influenza sui compositori delle nuove generazioni, quali Debussy, Respighi e soprattutto Ravel, il cul jeux d'eau è fin dal titolo un esplicito omaggio a Liszt. Ma l'intento di Ravel è una raffigurazione impressionistica dell'acqua, mentre Liszt vede nell'acqua che scorre un simbolismo religioso, come rivela esplicitamente la citazione del Vangelo secondo Giovanni apposta sotto la battuta 144, quando la continua mobilità di questa musica si placa ed emerge una dolce, intensa e lirica melodia: "... sed aqua, quam ego dabo eì, fiet in eo fons aquae salientis in vitam aeternam" ("ma l'acqua, che io gli darò, diventerà in lui una sorgente d'acqua che scaturisce in vita eterna").

Il quinto pezzo della raccolta fu composto nel 1872 in memoria dei caduti della rivoluzione per l'indipendenza ungherese del 1849 ed era inizialmente intitolato Thrénodie hongroise (Trenodia ungherese). Nel 1877 Liszt lo inserì in Années de pèlerìnage, cambiando il titolo in Sunt laciymae rerum (una citazione dell'Eneide di Virgilio) e dedicandolo a Hans von Bülow, il compositore, pianista e direttore d'orchestra che aveva sposato sua figlia e che dopo il divorzio da lei ottenuto nel 1870 era caduto in uno stato di depressione che si rifletteva nel suo aspetto e in ogni sua azione. La destinazione originaria del pezzo traspare nell'indicazione "en mode hongrois" (in modo ungherese) che si può leggere sotto il nuovo titolo: nelle sezioni iniziale e finale Liszt usa infatti una scala tipica della musica tradizionale ungherese, e un'altra scala derivata dalla musica gitana nel corso del pezzo. L'eco della musica ungherese è riconoscìbile anche nei passaggi in ritmo di marcia in stile di verbunkos, simile a quello delle celeberrime Rapsodie ungheresi. Andamenti melodici insoliti e quasi bizzarri e armonìe audaci completano il quadro di questo originale pezzo.

La Marche funébre reca come epigrafe una citazione di Properzio, "in magnis et voluisse sat est" ("aver aspirato a grandi cose è sufficiente"). È dedicata alla memoria di Massimiliano d'Asburgo, imperatore del Messìco, e fu scritta subito dopo la sua fucilazione, avvenuta il 19 giugno 1867. Nove battute d'introduzione - un potente gesto teatrale e uno degli inizi più neri di tutta la musica di Liszt - precedono l'inizio delta marcia funebre vera e propria, il cui ritmo marcato si scioglie prima in una unica linea melodica semplice ed espressiva, poi in una sezione declamata simile a un recitativo, infine in un grande tremolo e in una perorazione finale nella luminosa tonalità di fa diesis maggiore.

Pochissimo noto ma molto amato da un altro grande musicista ungherese, Bela Bartók, Sursum corda è caratterizzato dal contrasto tra un tema sereno e fiducioso e gli aspri scontri armonici causati dalla presenza di un pedale di mi tenuto al basso quasi ininterrottamente durante l'intero pezzo, ad eccezione delle battute iniziali e finali. La terza Année si chiude nella stessa tonalità in cui era iniziata, mi maggiore: la forza della fede porta il ciclo a una sicura e positiva affermazione finale.

Nella prefazione all'Album d'un voyageur (Album d'un viaggiatore), prima versione delle Années, Liszt aveva scritto: "[la musica strumentale] cesserà di essere una mera combinazione di suoni e diventerà un linguaggio poetico forse più adatto della poesia stessa ad esprimere ciò che dentro le nostre anime trascende l'orizzonte comune, tutto ciò che elude l'analisi, tutto ciò che si muove nelle profondità nascoste del desiderio imperituro e dell'infinita intuizione... [Il lavoro qui pubblicato] è scritto per i pochi piuttosto che per i molti, non ambisce al successo ma all'approvazione della minoranza che concepisce l'arte come qualcosa che ha un fine diverso dell'ingannare il tempo nelle ore vuote". Liszt era ancora il giovane virtuoso che scopriva nel pianoforte sonorità fino allora inimmaginabili e strabiliava il pubblico con la sua tecnica prodigiosa, ma già aveva ben chiare in mente le strade che avrebbe percorso nei decenni a venire come compositore.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 21 ottobre 2011


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Ultimo aggiornamento 13 luglio 2013