Sinfonia n. 10 in fa diesis maggiore

in cinque tempi per orchestra (incompiuta)

Musica: Gustav Mahler (1860 - 1911)
  1. Adagio. Andante
  2. Scherzo. Schnelle Vierteln
  3. Purgatorio oder Inferno. Allegretto moderato
  4. [Scherzo. Allegro pesante. Nicht zu schnell]
    "Der Teufel tanzt es mit mir"
  5. Finale. Einleitung. [Langsam, schwer]
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 3 oboi, 3 clarinetti, 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, basso tuba, arpa, archi
Composizione: 1910 - 1911
Prima esecuzione parziale: Vienna, Grosser Konzerthaussaal, 14 ottobre 1924 - I e III tempo

La sinfonia è incompiuta. Malher prima della sua morte, ha steso il piano dell'opera ed ha terminato solo il I° tempo; nel 1924 Ernst Křenek ha ricostruito il III° movimento sulla base degli appunti di Malher ed in seguito altri compositori hanno tentato di ricostruire tutta la sinfonia. Attualmente nei concerti, si preferisce eseguire solo l'Adagio. Andante
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questo Andante-Adagio è ciò che di completamente compiuto in partitura rimane della Decima Sinfonia, composta da Mahler nel 1910 e interrotta a causa della morte, che lo colse a Vienna il 18 maggio 1911. Di questa si sono conservati anche numerosi schizzi manoscritti i quali, pubblicati per la prima volta dall'editore Paul Zsolnay di Vienna nel 1924, consentono di farsi un'idea abbastanza chiara dell'intero piano compositivo, che doveva comprendere cinque tempi. Dopo la prima esecuzione del primo, l'Andante-Adagio, assieme a un altro ricostruito da Ernst Krenek sugli abbozzi e indicato normalmente con il titolo di "Purgatorio" - esecuzione che avvenne a Vienna il 14 ottobre 1924 sotto la direzione di Franz Schalk -, si dovettero però attendere molti anni, fino al 1959, perché un musicologo inglese, Deryck Cooke, tentasse una ricostruzione completa di tutta la Sinfonia. Da questo lavoro emerge un piano compositivo assai complesso e tormentato, sovente arricchito da annotazioni e postille, difficile ma non impossibile da interpretare. La ricostruzione di Cooke, che fu presentata per la prima volta il 13 agosto 1964 agli "Henry Wood Promenade Concerts" della B.B.C, dalla London Symphony Orchestra diretta da Berthold Goldschmidt, ha incontrato molte resistenze. L'editore ufficiale di Mahler, la Universal di Vienna, non ha mai accettato questa versione continuando a considerare d'autore e dunque a pubblicare il solo torso dell'Andante-Adagio iniziale. Il quale viene spesso eseguito e sentito come ultima testimonianza della musica di Mahler.

È chiaro che ciò comporta di per sé un'alterazione delle reali intenzioni del compositore. Il pezzo in questione non è una pagina conclusiva, né di una Sinfonia né di una vita, ma l'inizio di un percorso interrotto. Da questo punto di vista è essenziale tener conto di ciò che nella Sinfonia sarebbe dovuto accadere e che Cooke ha ricostruito in modo possibile e verosimile. Il secondo tempo doveva essere uno Scherzo di carattere fortemente e anzi ostentatamente demoniaco; il terzo, che reca il titolo originale di "Purgatorio" (Allegretto moderato), un momento di distensione e di purificazione, carico di reminiscenze e di attese. Ad esso seguiva un secondo Scherzo, definito dal motto che l'accompagna quasi come un sottotitolo: "Der Teufel tanzt es mit mir" (II diavolo lo danza con me). Nell'ultimo tempo la Sinfonia si dilatava e si assottigliava secondo procedimenti analoghi a quelli impiegati nella Nona e si ricollegava all'inizio sia tematicamente che tonalmente - fa diesis maggiore - per riproporre un modello ciclico, assai tipico di Mahler.

Le affinità con la Nona (e in parte con la Settima, nell'impianto formale e soprattutto nella aspra tensione demoniaca degli Scherzi) appaiono evidenti, e non potrebbe essere diversamente: tutta l'ultima produzione di Mahler gravita attorno a nodi tematici e compositivi definitivamente individuati, al cui centro stanno il pensiero della morte e il senso ultimo del commiato. Quirino Principe, nella sua monografia su Mahler, avanza ipotesi molto suggestive a questo proposito, utili anche per entrare nel clima dell'ultima Sinfonia incompiuta: "La Nona cerca il significato della musica e dell'essere che essa sottintende, mentre la Decima ne cerca il destino, tentando di vederlo. Da questa sinfonia sembra derivare un sillogismo: nulla persiste, in nulla ci si può identificare, la musica non ha un destino lieto così come per l'esistente non c'è salvezza; tuttavia, è assolutamente necessario che la musica non si fermi, e che l'esistente continui ad affermarsi come se l'affermazione fosse possibile e fondata; ciò va incontro inevitabilmente alla derisione e all'umiliazione da soli. Lo schermo gigante delle ultime grandi sinfonie non riflette più gli oggetti del mondo terrestre, ma la stessa psiche: diviene uno specchio".

L'Andante-Adagio della Decima si apre con un recitativo delle viole di sedici battute, nel quale si trovano tutti gli elementi che costituiscono il movimento. La tendenza alla asimmetria continua, nonostante gli accenni di simmetria, si collega al principio della variazione perpetua, che nella astrazione della scrittura e nella fusione di contrappunto e armonia sembra ricollegarsi idealmente allo spirito degli ultimi Quartetti di Beethoven. L'assenza di sviluppi è ribadita dal periodico ritorno della frase iniziale, secondo il modello formale del rondò: ma è un girare attorno a un centro assente, se non vuoto. La articolazione delle parti assume una tale indipendenza che gli accordi che ne risultano non sono più riconducibili a funzioni armoniche tradizionali: ogni strumento è per così dire il solista di un proprio mondo, che vive separato dal resto. L'universo sonoro di Mahler è la costellazione di queste linee e di queste forze che si scontrano e si bloccano senza potersi ridurre a unità: tutto rimane come era al principio, e tuttavia continua a muoversi, a cercare l'integrazione in un linguaggio ancestrale, sentito come una presenza che la memoria continuamente ripropone e cita, ma che rimane irraggiungibile.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Mahler compose la Decima Sinfonia a Dobbiaco nell'estate 1910, l'ultima che potè dedicare alla composizione. Le circostanze non furono le più favorevoli, per il tempo che egli dovette dedicare alla preparazione della prima esecuzione dell'Ottava Sinfonia a Monaco (12 settembre 1910); ma soprattutto per la crisi che esplose nei rapporti con la moglie Alma. Il 4 giugno 1910 Alma, che si trovava a Tobelbad per cure, conobbe Walter Gropius, che allora aveva 27 anni (quattro meno di lei). Tra i due si accese subito una passione intensissima: racconta Reginald R. Isaacs (nella sua grande monografìa in 3 volumi su Gropius) che la sera stessa in cui furono presentati Alma e Gropius andarono a fare una passeggiata, "si sdraiarono accanto a un ruscello e si intrattennero alla luce della luna fino a tarda notte". Alma non rivelò mai a Mahler la passione per Gropius, e anche nei suoi ricordi, anni dopo, diede della vicenda una versione censurata; ma la crisi scoppiò perché Gropius, che abitualmente scriveva ad Alma a Dobbiaco fermo posta, mise il nome e l'indirizzo di Mahler sulla busta di una lettera in cui le aveva scritto che non poteva vivere senza di lei, chiedendole di lasciare il marito. Gropius dichiarò sempre, anche molti anni dopo, che la lettera era stata indirizzata a Mahler per errore: sembra lecito lo scetticismo dei suoi biografi e della stessa Alma su questo punto. Mahler rimase sconvolto dalla lettura della lettera, e ancor più dal modo in cui Alma gli rinfacciò di averla sempre trascurata dichiarandosi profondamente delusa dal loro matrimonio. La crisi fu superata, e lasciò tracce nelle disperate invocazioni ad Alma nel manoscritto della Decima, e inoltre nelle lettere, poesie o annotazioni che Mahler scrisse allora per lei.

La Sinfonia comprende cinque tempi, sulla cui disposizione gli abbozzi rivelano incertezze e ripensamenti. La successione definitiva era probabilmente: Andante-Adagio, Scherzo, Purgatorio, Scherzo, Finale. Già il 12 ottobre 1924 Franz Schalk diresse all'Opera di Vienna i due movimenti più ampiamente elaborati da Mahler (il primo e il terzo), sulla base di una versione curata da Ernst Krenek (che fu il primo marito della figlia di Mahler, Anna), con qualche correzione suggerita da Berg e con pesanti e fuorvianti interventi di Schalk.

Al primo tempo mancano soprattutto la revisione e le correzioni che Mahler riservava a fasi successive del suo lavoro; più gravi sono le lacune negli altri movimenti. Solo per Mahler era possibile trasformare in partitura compiuta gli abbozzi più o meno estesi, più o meno definiti che si era annotato: nessuno potrà mai restituirci in modo autentico la Decima Sinfonia, anche se nell'estate 1910 egli aveva portato il lavoro molto avanti. Deryck Cooke ha proposto una "performing version" della Decima, un completamento cioè teso a rendere eseguibile ciò che Mahier aveva ideato e abbozzato, senza pretendere una impossibile ricostruzione di quel che gli abbozzi sarebbero divenuti se l'autore avesse potuto finire la Sinfonia, ma cercando, pur nella consapevolezza dei problemi che ciò comporta, di far conoscere qualcosa della ricchezza, delle intuizioni che i manoscritti della Decima rivelano.

Mentre la ricostruzione di Cooke è eseguita piuttosto raramente, tutti gli interpreti mahleriani hanno accolto nel loro repertorio il primo tempo della Decima, l'ultimo esito, assolutamente imprescindibile, del "tardo stile" del compositore: nella nuova libertà dei suoi procedimenti formali sembrano dissolversi i nessi tradizionali del discorso e la compattezza delle logiche costruttive del passato.

La Nona finiva con un grande Adagio, e la Decima inizia con un Andante-Adagio che dal punto di vista formale può essere accostato al primo tempo della Nona (Andante comodo). Anche nel caso dell'Adagio della Decima l'ascoltatore è coinvolto in una sorta di "flusso della coscienza", in un discorso liberissimo e interiorizzato, ed è portato a seguirne la logica interna senza più far riferimento a schemi formali tradizionali, anche se, almeno inizialmente, si può pensare alla doppia variazione, alla alternanza di gruppi tematici che appaiono in forme sempre mutate, e che sono legati da materiali comuni. Non si può più parlare di temi in senso tradizionale, perché ad ogni nuova apparizione a inizi simili seguono continuazioni diverse, e perché i materiali comuni tendono in alcuni episodi a confondersi.

Nell'insieme il pezzo ha un carattere sostanzialmente statico, che è stato paragonato da Klemm alla situazione del Castello di Kafka e da Martin Zenck a tentativi falliti di raggiungere un'irruzione, che si dissolvono dopo un crollo, o alla contraddizione di diversi procedimenti di strutturazione formale che producono un effetto di paralisi.

Inizia con un'idea introduttiva (Andante), un recitativo in pianissimo delle viole, asimmetrico nella grande libertà ritmica, e condotto dopo poche battute ai limiti del silenzio, della stagnazione in una situazione immobile. La sua libertà contrasta con la regolarità del cantabile, intensissimo, "bruckneriano" primo gruppo tematico (sehr warm, con molto calore, indica Mahier). Il secondo ha invece un carattere più vago, più lieve, mosso e instabile (ed è tanto legato all'idea introduttiva che alcuni, come Klemm, lo considerano semplicemente una sua variante, di carattere diverso). Dopo questa prima presentazione degli elementi fondamentali ritorna, variato, il recitativo delle viole, e riappaiono il primo e il secondo gruppo tematico, trasformati e molto ampliati. C'è ancora una terza apparizione del recitativo delle viole che sembra contraddire la funzione formale assunta in precedenza: non è seguito dal primo tema, ma tende a fondersi con il secondo gruppo tematico e da questo punto, nel corso della sezione centrale del pezzo, i materiali dei due gruppi tematici si dispongono in modo più complesso, riunendosi e intrecciandosi. È la sezione più densa e più simile ad uno sviluppo; ma non approda a un crescendo di tensione: si crea una situazione sospesa in cui, "un poco esitando", suonano solo i primi e i secondi violini, variando il recitativo dell'introduzione e spingendosi gli uni verso il registro grave, gli altri verso l'acuto. A un tratto a questa visionaria contemplazione in piattissimo segue una esplosione inattesa, un accordo di la bemolle minore in fortissimo e un breve corale degli ottoni. Subito dopo in quattro battute si concentrano reminiscenze dei due gruppi tematici, frammenti che vengono frantumati da una dissonanza di lacerante, apocalittica violenza: un accordo di nove suoni, l'evento catastrofico che imprime una svolta decisiva al pezzo. Poi non resta che l'epilogo, un dilatato spegnersi lentamente nel silenzio, in cui si alternano frammenti e varianti dei due gruppi tematici, in un processo di disgregazione in cui i vuoti, le rarefazioni improvvise assumono un intenso significato.

Paolo Petazzi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La composizione della Decima sinfonia, destinata a rimanere incompiuta, e pertanto a rappresentare l'interruzione, più che la conclusione, dell'esperienza creativa di Gustav Mahler, prese l'avvio nell'estate del 1910, a Toblach (l'attuale Dobbiaco in provincia di Bolzano). Al suo lavoro di compositore Mahler era infatti solito dedicare le vacanze estive, unico periodo dell'anno che lo vedesse completamente libero dagli impegni di una intensissima attività di direttore d'orchestra. Negli anni della sua reggenza artistica e organizzativa dell'Opera di Vienna il buen retiro di Mahler era stata la villa di Maiernigg, in Carinzia, sulle rive del Worthersee: fra il 1901 e il 1906, Mahler aveva trascorso qui le sue estati più felici, insieme con la moglie Alma Schindler e le due figlie; una casupola nascosta nel bosco, impenetrabile a chiunque, aveva veduto nascere i grandi capolavori della maturità: la triade delle Sinfonie «di mezzo».(Quinta, Sesta e Settima, puramente strumentali), i Kinderiotenlìeder, i Rückert-Lieder. Una consuetudine regolata da metodici ritmi di vita e di lavoro, bruscamente interrotta nel luglio 1907, subito dopo che Mahler aveva terminato la composizione dell'Ottava, dalla morte a cinque anni di Maria Anna, la primogenita. Mahler e Alma, sconvolti, fuggirono da Maiernigg: la triste estate fu conclusa a Schluderbach, in Tirolo, dove Mahler intraprese la composizione del Canto della terra (Das Lied von der Erde). Quell'estate 1907 segnò una svolta netta nella vita di Mahler: al dramma familiare si sommarono le dimissioni, dopo meschine polemiche, dall'Opera di Vienna, conclusione infelice dì un decennio veramente storico, e la prima diagnosi della grave malattia cardiaca del compositore. Questi eventi segnarono l'inizio di una nuova fase, l'ultima della vita di Mahler: quattro anni scarsi, che lo videro toccare a un tempo i vertici della sua creatività, con il Canto della terra (1907-08), la Nona sinfonia (1909-10) e l'incompiuta Decima, e le più gravi crisi interiori: ottenere i maggiori successi internazionali come direttore d'orchestra (con le due stagioni al Metropolitan e le tre alla testa della Filarmonica di New York), esser consacrato, con la prima monacense (nel settembre 1910) dell'Ottava sinfonia, interprete fra i massimi della civiltà spirituale germanica, e insieme affrontare pesanti delusioni spirituali.

Chiuso l'appartamento viennese, venduta la villa di Maiernigg popolata di memorie funeste, i poli dell'esistenza di Mahler furono in questi anni New York e Dobbiaco, con lo chalet riservato alla volontaria clausura creativa. Qui, nell'ultima estate di Mahler, cominciò a prender forma la Decima: gestazione resa faticosa dal precipitare della crisi umana del musicista, che giunse fino a farsi analizzare da Sigmund Freud. Il matrimonio dei Mahler stava attraversando una fase difficilissima: i problemi creati dalla differenza d'età fra i due coniugi si erano complicati, dopo la tragedia del 1907, anche su un piano più intimo: è Alma stessa a narrarci, con silenzi abbastanza significativi su alcune circostanze, della corte assidua che in quei mesi le era rivolta da un giovane artista (« X... », lo chiama lei: ed era Oskar Kokoschka, con il quale dopo la morte di Mahler ella avrebbe stretto una tempestosa relazione), e della sofferenza che ne derivò per il compositore. Il tutto era acuito dai presentimenti di morte — e i fatti li avrebbero pochi mesi dopo giustificati — che ossessionavano Mahler dopo la scoperta della malattia di cuore: in questa luce dev'essere giudicato l'apparente cedimento alla superstizione che aveva spinto Mahler a non contare Il canto della terra fra le sue Sinfonie, convinto com'era dopo gli esempi di Beethoven e Bruckner, che una «Nona» non avrebbe potuto che essere l'ultima; e così fu, che in questa psicotica partita a scacchi, Mahler non riuscì a truffare la morte che per una sola mossa. La quarta estate, quella che avrebbe potuto veder completata la Decima sinfonia, non venne mai: dopo il trionfo dell'Ottava ci fu la massacrante tournée americana dell'inverno 1910-11, interrotta al quarantottesimo concerto diretto in meno di tre mesi; il 22 febbraio il fisico di Mahler cedette, e cominciò la lunga e vana lotta contro la morte, che sarebbe giunta in maggio dopo un penoso calvario da una clinica all'altra.

Della Decima non rimase quindi altro che quanto Mahler era riuscito a buttar giù fra il luglio e il settembre 1910: l'Adagio, unico movimento portato a termine, un Allegretto moderato, intitolato Purgatorio (oder Inferno), incompleto nella strumentazione, e una grande quantità di abbozzi per altri tre movimenti. Su questo materiale, il musicologo inglese Deryck Cooke ha tentato una sua ricostruzione della Decima, molto discussa, e comunque non attendibile: non solo per quanto riguarda la realizzazione dei movimenti lasciati da Mahler allo stato di abbozzo, la strumentazione e altri problemi specifici, ma anche per l'assetto complessivo dell'opera, essendo le intenzioni di Mahler a questo proposito documentate tutt'altro che chiaramente; del resto il lavoro del compositore fu interrotto troppo presto perché si possano legittimamente prendere per definitive le soluzioni da lui adottate, tanto più che il modus operandi di Mahler era caratterizzato da ripensamenti continui, e ripetute modifiche all'ordine di successione dei vari tempi delle sue composizioni. Sicché la vera immagine della Decima è quella che la presenta limitata a un unico movimento, questo Andante-Adagio, o tutt'al più al dittico composto dall'Adagio stesso e dall'Allegretto nella strumentazione curata da Ernest Krenek, marito di Anna, secondogenita di Mahler.

Stando a quanto si evince dai manoscritti mahleriani, la Decima, al pari della Settima, avrebbe dovuto constare di cinque movimenti: l'Adagio (più esattamente Andante-adagio), un primo Scherzo, il Purgatorio, un altro Scherzo, un vasto Finale in tempo lento con una sezione centrale Allegro moderato. Ancor più arduo, vista la scarsa affidabilità della ricostruzione di Cooke, è immaginarsi cosa avrebbe potuto essere la Decima per quanto riguarda il «programma interiore», che come nelle altre Sinfonie avrebbe dovuto determinarne la fisionomia senza comparire pubblicamente. I manoscritti recano drammatiche annotazioni, difficilmente interpretabili perché con tutta probabilità collegate alla vicenda privata di Mahler: «Tod! Verk!» («Morte! Trasf[igurazione]!») a pag. 4 del Purgatorio, e più sotto «Erbarmen! O Gott! O Gotti Warum hast du mich verlassen!»; nel quarto tempo (il frontespizio reca anche «I Scherzo» e «I Tempo») «Der Teufel tanzt es mit mir» («Il Diavolo lo danza con me), «Wahnsinn, fass mich an, Verfluchten! Vernichte mich dass ich vergesse, dass ich bin, dass ich aufhöre zu sein, dass ich ver...» («Follia, afferrami, me maledetto! Distruggimi, che io dimentichi che sono, che io finisca di essere, che io...» e verso la fine «Du alìein weisst was es bedeutet, Ach! Ach! Ach! Leb wol metti Saitenspiel! Leb wol, Leb wol, Ach wol! Ach! Ach!» (« Solo tu sai che cosa significa! Ah! Ah! Ah! Addio mie corde! Addio! Addio! Ah, Addio Ah! Ah!»); nel Finale, per due volte, «Für dich leben, für dich sterben! Almschi!» («Vivere per te, morire per te! Almschi!»). Più che allusioni autobiografico-coniugali e riferimenti danteschi (nelle intenzioni di Mahler la Sinfonia avrebbe dovuto recare un titolo, forse Dante o Inferno), il progetto della Decima non sa offrire, a chi tenti di individuarne l'assunto complessivo: resta, grosso modo, l'idea che con essa Mahler si sarebbe attenuto alla poesia assoluta della sola composizione strumentale, come aveva fatto nelle Sinfonie posteriori alla Quarta, salva la ricaduta non sempre felicissima dell'ambiziosa e colossale Ottava, e la deviazione sublime del Canto della terra.

Quanto all'Andante-Adagio che solo è rimasto a rappresentarla, salve le sporadiche esecuzioni della versione Cooke e quelle in cui esso è abbinato al Purgatorio, non c'è molto altro da dire se non che si tratta di una pagina fra le più alte di Mahler, ferma restando la difficoltà di astrarre un singolo movimento sinfonico dall'ampio contesto musicale e metafisicamente drammaturgico delle composizioni mahleriane. E per accorgersene non c'è sicuramente bisogno di cedere all'indubbia suggestione che spira da ogni grande progetto artistico incompiuto, né di ripetere scontate riflessioni sulla crisi estetica e sociologica che, certo non casualmente, ebbe a coincidere storicamente con l'esperienza creativa mahleriana — e specialmente con i suoi momenti ultimi —; tanto più ghiotte nel caso di un'opera rimasta interrotta pochi anni prima della dissoluzione dell'Impero austro-ungarico, manco a impedire a Mahler di portarla a termine fosse stata la grande guerra — del resto non imminente — e non l'endocardite da streptococcus viridans. Certamente la trasfigurata invenzione melodica — dipanata sul filo della variazione perpetua secondo la lezione dell'ultimo Beethoven — che percorre l'Adagio, con il ricordo scoperto, ma sottilmente venato di dubbi e inquietudini, della purissima cantabilità dell'Adagietto della Quinta, e la prosecuzione di quella «psicologia dell'Adagio» tanto altamente manifestata nei due movimenti estremi della Nona, inducono irresistibilmente alla tentazione di fare di questo torso mùtilo un estremo epicedio alla grande Sinfonia viennese, divenuta moderna con l'Eroica di Beethoven e resa «inattuale» dalle grandi esperienze mahleriane. Certamente un atteggiamento sarcastico come quello che informa il secondo tema dell'Adagio, anche se più metafisico che graffìante, ci ripropone un Mahler cosciente rivelatore di quella crisi artistica e culturale, o comunque mancanza di certezze, che irrimediabilmente minò i cruciali primi anni del nostro secolo. Certamente le non celate reminiscenze tristaniane del tema di base, affidato in apertura alle viole sole, ci appaiono come una impressionante sottolineatura della presenza, già in un periodo assai precedente, di sottili veleni decadentistici. Così, guardando le cose dalla parte opposta, quella che guarda verso il futuro, l'Adagio della Decima si mostra arditamente profetico di tante esperienze novecentesche: nella sua allucinata poesia di timbri, nelle sue laceranti tensioni armoniche, nella violenza pre-espressionista del drammatico episodio che a circa due terzi del brano aggrega in un catastrofico fortissimo nove suoni diversi, nella estremizzata polifonicità di un discorso compositivo che sembra voler assegnare un ruolo solistico a ogni strumento della grande compagine orchestrale (flauti, oboi, clarinetti e fagotti a tre, quattro corni, quattro trombe, tre tromboni e tuba, arpa e archi). Ma non è poi tanto scontato che la prima cura di Mahler, nel concepire questa e le altre Sinfonie, fosse quella di fare il funerale del passato, di mettere in crisi il presente e di inventare il futuro, e meno ancora, forse, erano nelle sue previsioni i fiumi di parole e le elucubrazioni filosofiche onde tante esegesi affliggono trucemente l'opera sua. Sicché forse il modo migliore di prepararsi all'ascolto dell'Adagio della Decima è quello di tener presente che esso consiste in uno sterminato processo di variazioni di un unico gruppo motivico, quello esposto in tempo Andante dalle sole viole in apertura, che cita — più o meno deliberatamente — qualche frammento della melopea del corno inglese nel terz'atto del Tristano; che da questo nascono due temi principali, uno gonfio di espressiva cantabilità, esposto per la prima volta dai violini, l'altro caratterizzato dai pizzicati dell'accompagnamento come stilizzazione stravolta e metafisica di modi di canzonetta; che in una meditata disposizione degli accadimenti musicali il motivo delle viole giunge sovente a interrompere il flusso — una «melodia infinita» in senso ancora più spinto che in Wagner — delle distese proposizioni cantabili; che l'episodio grandioso e impressionante cui si accennava dianzi, e dove la disposizione strumentale realizza una sonorità come di organo gigantesco, smorzandosi bruscamente a lasciare scoperto il grido lancinante della prima tromba, annuncia una sorta di ripresa dei due temi dell'Adagio, prima del respiro immenso e trasfigurato della coda che chiude — o interrompe — il brano in una sospensione gravida di significati inespressi.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 19 maggio 1991
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium parco della Musica, 4 aprile 2009
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 15 maggio 1980


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Ultimo aggiornamento 25 ottbre 2018