Sinfonia n. 6 in la minore "Tragica"

in quattro tempi per orchestra

Musica: Gustav Mahler (1860 - 1911)
  1. Allegro energico, ma non troppo
  2. Scherzo. Wuchtig (Pesante)
  3. Andante moderato
  4. Finale. Allegro moderato - Allegro energico
Organico: ottavino, 4 flauti (3 e 4 anche ottavino), 4 oboi (3 e 4 anche corno inglese), corno inglese, clarinetto piccolo, 4 clarinetti (4 anche clarinetto basso), 4 fagotti, controfagotto, 8 corni, 6 trombe, 4 tromboni,basso tuba, timpani, glockenspiel, campanacci, tamtam, campane, martello, xilofono, grancassa, piatti, triangolo, tamburo militare, tamburello, frusta, nacchere, celesta, 2 arpe, archi
Composizione: 1903 - 1904
Prima esecuzione: Essen, Stadttheater (Städtische Bühnen), 27 maggio 1906
Edizione: C. F. Kahnt, Lipsia, 1906
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sesta Sinfonia fu composta nei mesi estivi degli anni 1903 e 1904, finita di strumentare il 1° giugno 1905, eseguita per la prima volta a Essen il 27 maggio 1906 sotto la direzione dell'autore, pubblicata nel 1906 in tre diverse versioni, ritoccata nel 1907 e quindi ancora tenuta sotto osservazione almeno fino al 1910. Non per questo si deve pensare a una creazione particolarmente travagliata: erano, quelli, tempi e procedimenti del tutto consoni al modus operandi mahleriano. In realtà, se si eccettua un problema effettivamente centrale, relativo alla posizione dei due movimenti intermedi (Mahler fu per qualche tempo indeciso se far precedere o posporre l'Andante allo Scherzo, e optò poi per quest'ultima soluzione, di fatto ritornando alla scelta originaria), negli altri casi, più che di vere e proprie revisioni, si trattò di aggiustamenti marginali, soprattutto di strumentazione, volti a ottenere una maggiore trasparenza nella densissima tessitura della Sinfonia; salvo il dettaglio, che marginale non è per via della sua importanza simbolica, del terzo colpo di martello aggiunto nella coda del Finale, anzi prima introdotto e poi eliminato, ma mai definitivamente cancellato dalla memoria. Non sfuggiva a Mahler che il carattere negativo della Sinfonia, da lui stesso definita "tragica" (ma di qui a far passare quest'appellativo nel titolo, come comunemente si usa, il passo è lungo e non del tutto giustificato), poteva impressionare sfavorevolmente per la mancanza di una catarsi dopo tante reiterate, spasmodiche tensioni; sicché proprio il gesto esibito di quei colpi di martello, che si abbattono come micidiali mazzate del fato a segnare la fine dell'eroe, gli sembrava in enigmatico equilibrio tra una conclusione necessariamente ricondotta nell'ambito dell'elaborazione compositiva e una strisciante, forse dalla musica non completamente chiarita, sovrabbondanza retorica. Benché le sue dichiarazioni vadano sempre un po' prese con le molle, non si può dubitare della sincerità di quanto egli scrisse, in pieno furore creativo, al suo biografo Richard Specht a proposito della Sinfonia in questione: «La mia Sesta proporrà enigmi la soluzione dei quali potrà essere tentata solo da una generazione che abbia fatto proprie e assimilato le mie prime cinque Sinfonie».

Enigmi, dunque. Come sempre in Mahler un po' ingenuamente (artatamente?) alonati di mistero. Ma di che genere? Nel caso della Sesta molti di questi enigmi, o presunti tali, sono illustrati dalla sensibilità tutta femminile di Alma Mahler, moglie del compositore e vestale di un fuoco mai spento, loquacissima prima commentatrice di questa Sinfonia e delle sue ambiziose premesse filosofiche. Si comincia col ricordo di «quell'estate [del 1904 nella quiete di Maiernigg sul Wörthersee] bella, felice, senza conflitti. Alla fine delle vacanze Mahler mi suonò la Sesta Sinfonia, ormai completa. Dovevo rendermi libera da tutti i lavori di casa, aver molto tempo a disposizione per lui. Salivamo di nuovo a braccetto nella sua casupola nel bosco, dove eravamo sicuri di non esser disturbati, in mezzo agli alberi. Tutto ciò si svolgeva sempre con grande solennità». All'idillio segue l'autocelebrazione, con un'inattesa oscura premonizione molto "casa Mahler" (e par di leggere davvero il copione di una tragedia antica): «Dopo aver abbozzato il primo tempo, Mahler era sceso dal bosco e aveva detto: "Ho tentato di fissare il tuo carattere in un tema - non so se mi è riuscito. Ma devi lasciarmi fare". È il grande tema pieno di slancio del primo tempo della Sesta Sinfonia. Nel terzo tempo [in realtà secondo, lo Scherzo] descrive i giochi senza ritmo delle bambine che corrono traballando nella rena. È spaventoso: le voci infantili diventano sempre più tragiche, e alla fine non resta che una vocina lamentosa che va spegnendosi. Nell'ultimo tempo descrive se stesso e la sua fine o, come ha detto più tardi, quella del suo eroe. "L'eroe che viene colpito tre volte dal destino, il terzo colpo lo abbatte, come un albero"». Queste sono parole di Mahler, assicura la signora e consorte. Non c'è ragione di dubitarne. Ma chissà che allegria in famiglia, la sera a cena.

Le parole conclusive di Alma sono invece ribollenti del sacro fuoco: «Nessun'opera gli è sgorgata tanto direttamente dal cuore come questa. Piangevamo quella volta, tutti e due, tanto profondamente ci toccava questa musica e quel che annunciava con i suoi presentimenti. La Sesta è un'opera di carattere strettamente personale e per di più profetico. Tanto con i Kindertotenlieder che con la Sesta Mahler ha messo in musica "anticipando" [scritto in italiano] la sua vita. Anch'egli fu colpito tre volte dal destino e il terzo colpo lo abbattè. Ma quell'estate era allegro, cosciente della grandezza della sua opera e i suoi virgulti erano verdi e fiorenti». Così Alma Mahler nelle sue Erinnerungen.

A chi non conoscesse la biografia di Mahler, alcuni passi di quest'appassionante rievocazione potranno sembrare oscuri. Ma ci vuoi poco a chiarirli. Proprio nel giugno del 1904 Alma aveva dato alla luce una seconda bambina, Anna Justine, che aveva dunque pochi mesi quando, alla fine delle vacanze, la Sinfonia stava nascendo; durante la composizione della Sesta, nell'estate del 1904, Mahler aveva ripreso le poesie di Friedrich Rückert ricavandone i due ultimi brani del ciclo dei Kindertotenlieder, quasi uniformandoli al messaggio tragico della Sinfonia: e quell'ostinato cantare la morte di bambini era sembrata ad Alma un "voler chiamare le disgrazie". Presentimenti di sciagure che si sarebbero avverate nell'estate del 1907 con un triplice colpo del destino: alla scomparsa improvvisa della figlia primogenita Maria, vittima di una malattia infettiva dell'infanzia, seguirono la prima diagnosi della grave disfunzione cardiaca che avrebbe portato Mahler alla tomba e le sue dimissioni da direttore dell'Opera di Vienna sotto la pressione di meschini intrighi locali. Ad Alma non pareva dubbio che i colpi di martello introdotti nel Finale della Sinfonia - un unicum davvero sorprendente - anticipassero questi eventi lugubri: in questo senso Alma vedeva la Sesta Sinfonia come un'opera non solo strettamente personale e profetica ma anche intimamente autobiografica, il cui "eroe" altri non era che Mahler stesso, rappresentato in un autoritratto "ideale".

Dobbiamo essere grati a Ugo Duse e Quirino Principe, autori di due monografie su Mahler assai diverse tra loro e che onorano la nostra cultura, per aver da lungo tempo gettato acqua sul fuoco della retorica e ricomposto un quadro forse meno fiorito e sensazionale ma certamente più oggettivo e credibile. Giungendo, a proposito della Sesta, a decifrare gli enigmi con conclusioni opposte. Per Duse, razionalmente: «Caratterizzata da una grande unità tematica, da un trattamento contrappuntistico eccezionale, questa Sinfonia non trova però quella via della chiarezza che il suo autore perseguiva come fine supremo. La Sesta Sinfonia è un passo indietro. Nell'economia dell'opera mahleriana ha indubbiamente un suo peso ma è in sostanza sintomo di una posizione negativa». Per Principe, esotericamente: «S'intravede una catena di corrispondenti figure in sequenza, come gli arcani di un mazzo di carte o le stazioni di una via crucis mahleriana: carcere, evocazione di demoni per sfuggire al proprio peso, speranze e frustrazioni, duro e misconosciuto lavoro, affermazione di sé e solitudine, impossibilità di concludere la propria opera, catastrofe premonitrice, morte. Attraverso questi arcani o stazioni, Mahler sembra finalmente identificarsi senza ataviche insufficienze nella tradizione musicale europea intesa come collettiva dichiarazione di angosce e di sconfitte. L'artista che si realizza in rigoglio è pur sempre minacciato, insieme con la propria opera, dalla morte, sicché l'opera incompiuta non è casuale ma inevitabile».

La Sesta, in blocco con la Quinta e la Settima, segna il ritorno di Mahler alla sola strumentalità, dopo l'impiego della voce (solistica e corale) nella Seconda, Terza e Quarta Sinfonia. A differenza delle sue due sorelle più prossime, che sono in cinque movimenti con lo Scherzo al centro, essa si articola nei quattro tempi tradizionali - Allegro, Scherzo, Andante e Finale -, come non accadeva più dai tempi della Prima: Sinfonia peraltro sui generis, permeata di reminiscenze liederistiche giovanili e popolari. Pur rinunciando ai testi poetici, o a citazioni che a questi direttamente rimandino, la partitura della Sesta è disseminata di programmi interiori, di drammi e di visioni che configurano un mondo costellato di simboli e di allusioni; tanto che parlare di strumentalità "pura", e di costruzione sinfonica assoluta, è praticamente impossibile anche in assenza di concreti riferimenti a elementi extramusicali.

L'idea che sta alla base della Sesta Sinfonia - ma sarebbe meglio dire che Mahler vi "mette in scena" un dramma universale personalizzandolo, proprio come fa la tragedia classica quando incarna in personaggi conflitti ideali - è di natura paradossale: essa risponde all'intenzione di costringere un disegno drammatico generale fortemente individualizzato a realizzarsi nelle forme di una Sinfonia tradizionale in quattro movimenti. Una Sinfonia in quattro movimenti è inevitabilmente legata a schemi e simmetrie più compatti rispetto a un ciclo in cinque o sei parti: e Mahler l'adotta proprio per dare unità e compattezza a un programma interiore che, pur nelle sue intermittenze, si presenta con un carattere grandiosamente monotematico. Tutta la Sinfonia, con la parziale eccezione dello Scherzo, si dipana in tempo binario, in una scansione serrata, marcata, quasi martellata: ritmo di marcia che, nella sua inesorabile brutalità, sembra voler affermare qualcosa di ineluttabile, alla stregua di un'idea fissa. Di solito Mahler rifugge dall'idea fissa per mostrare piuttosto, del suo mondo, gli aspetti più variegati e contrastanti, tra paesaggi della natura e dell'anima, esaltazioni e depressioni, luci e ombre: qui essa diviene invece il motore stesso della Sinfonia.

Volendo racchiudere questo programma in una formula, si potrebbe parlare, citando l'autore, di una «lotta dell'uomo contro il destino»: una lotta che annulla la carica ideale, di forza positiva e autoaffermativa, dell'umanesimo eroico beethoveniano per ribaltarsi in corsa verso l'annientamento totale, in tremenda catastrofe cosmica senza palingenesi. E proprio qui sta il cuore del paradosso, della sfida: per realizzare questo assillilo in modo incontrovertibile Mahler si sottomette alla prova di forza della Sinfonia tradizionale, rispettandone in principio gli equilibri, stabilendo collegamenti armonici e tematici tra i tempi esterni e usando i tempi centrali in funzione di questi, per far risaltare ancor più l'evidenza della dimostrazione. Solo che la prospettiva di fondo è diametralmente rovesciata: il colossale edificio sinfonico punta a un approdo lucidamente negativo, non costruisce un sistema di valori che si affermino nella saldezza della forma organica ma al contrario progressivamente li dissolve in una furiosa, allucinante danza macabra, per lasciar da ultimo posto alle macerie di una terribile disfatta. È il buio che si annuncia, i cui echi fantasmatici risuoneranno negli appelli strazianti e nelle spettrali apparizioni della lunga notte della Settima Sinfonia.

Di conseguenza Mahler accresce enormemente nella Sesta lo spessore compositivo, accentuandone la componente dotta, contrappuntistica e combinatoria; ma al tempo stesso dissemina lungo il percorso simboli precisi, che alla stregua di indicatori stradali orientano il senso del cammino e ribadiscono i significati che vi sono sottesi. La novità sta nel fatto che questi simboli, ai quali è possibile ma non indispensabile attribuire il valore di un messaggio più o meno filosofico, sono espressi con mezzi interamente musicali, senza implicazioni dall'esterno: in altri termini, sono figure che irrompono con forte individualità propositiva - vedi il caso estremo dei colpi di martello - ma che si realizzano con valore di simbolo nell'autonomia del linguaggio sonoro, presentandosi in veste di ritmi, di temi, di armonie e di timbri. Citeremo solo i due esempi più pregnanti. Il primo è il motto delle tre trombe che appare subito nel primo movimento, un accordo di tonalità maggiore in fortissimo che si trasforma in minore diminuendo al pianissimo, accompagnato dalle sei note del timpano che scandiscono il ritmo del destino: il modo in cui Mahler lo isola e lo riprende senza alcuna trasformazione nei momenti culminanti della Sinfonia ne fa il segnale di qualcosa di immodificabile. Il passaggio immediato dal maggiore al minore richiama, fin dai tempi di Schubert, una sensazione precisa, a cui è però difficile dare un contenuto: uno stato d'animo più che un concetto. Mahler se ne serve proprio per collegare questo stato d'animo all'idea fissa di un destino eternamente presente, ostile all'uomo e alla sua autonomia: quasi una trappola che non lasci scampo, illudendo e subito irridendo. L'ambiguità però permane, è per così dire strutturale, e non può esser sciolta in immagine di un programma. (Come semplice curiosità noteremo che, in palese osservanza dell'estetica wagneriana dei Leitmotive, se non di quella del poema sinfonico, molti commentatori hanno cercato di dargli un nome e un contenuto, riducendo la pregnanza del simbolo a etichetta: motivo della "hybris" cosmica, dell'ineluttabilità del destino, della speranza che si muta in disperazione, e via dicendo).

Il secondo esempio riguarda l'uso di alcuni strumenti del tutto inusuali, come lo xilofono (unica presenza in tutte le Sinfonie di Mahler), le nacchere, la frusta, il già più volte citato martello, le campane tubolari e soprattutto i campanacci delle mucche ("Herdenglocken"). Anche qui la tentazione di assegnare a questi interventi un significato simbolico di natura extramusicale è molto pronunciata: nacchere e xilofono hanno fatto pensare ai ghigni sardonici del diavolo, le campane basse ai rintocchi delle chiese di paese, la frusta ai colpi sferzanti del destino, prima che il martello compia l'opera di abbattimento. Non negheremo che Mahler potesse essere attratto da questi ingenui accostamenti, che appartenevano al mondo delle sue esperienze sensibili e delle sue visioni all'aria aperta; nel campo vastissimo della Sinfonia essi contribuiscono però in primo luogo a creare un'atmosfera timbrica, a comunicare uno stato di disagio e di angoscia che rapidamente si materializza in epifanie di opposti, in folgorazioni e ricordi, sogni e disincanti, malinconie e improvvise euforie: un magma psicologico che continuamente ribolle e freme, s'inabissa e riemerge trasfigurato, senza che il processo mai si arresti. Aver dato consistenza sonora a questa eruzione senza precisarne univocamente i riferimenti, con una strumentazione di magistrale illusionismo, dove i trucchi del mestiere si confondono con le verità più disarmanti, ci pare un pregio perfino superiore alla indifferibile partecipazione umana che la musica di Mahler provoca beatamente in noi, con le sue perorazioni di sciagure e salvazioni. Poco importa dunque certificare che i campanacci delle mucche, di cui ognuno di noi ha un'esperienza diretta non necessariamente nostalgica di purezze perdute, simboleggino per Mahler la più profonda solitudine e lontananza dal mondo; quando li udiamo inaspettatamente nella compagine tesa e fremente di questa Sinfonia essi aprono davvero, con un effetto magico, una visione di sogno, trasportandoci là dove Mahler vuole: a vibrare con lui con l'emozione più sincera nelle rarefatte altitudini montane e nello stesso tempo a sorridere di tanta capacità incantatoria.

Nel primo movimento (Allegro energico, ma non troppo), in la minore, i tre capitoli della forma-sonata, esposizione sviluppo e ripresa, marmorizzati nella loro monumentale saldezza, sono scossi da tumultuose vicende tematiche. Il materiale è fin dall'inizio sovrabbondante, scolpito a colpi d'accetta il primo tema, che irrompe con tutta la sua energia devastante su un impetuoso movimento di marcia. Salti d'ottava, subitanee discese nell'abisso, ritmi barbaricamente scanditi si raggelano più avanti in una sorta di corale intonato in pianissimo dai legni sul pizzicato degli archi, in pietrificata atmosfera di attesa. Da esso nasce, sull'affermazione prepotentemente ascensionale degli archi, il tema di Alma, una frase in maggiore, vibrante di passione, luminosa di espressività, vitalistica nella disperazione, come di cosa desiderata con ardore ma anche forse irraggiungibile, spinta com'è in quella tessitura così acuta dei violini. Tre concetti principali caratterizzano dunque l'esposizione; cui lo sviluppo, dopo l'elaborazione di questi nuclei tematici, sollecitati da trilli e tremoli e resi talvolta diabolicamente sarcastici dalla presenza dello xilofono, aggiunge un episodio del tutto nuovo, in tempo moderato: ai timbri già rarefatti di celesta, archi in pianissimo, corni con sordina e tromboni vaghi di sonorità arcaiche, si uniscono i campanacci delle mucche, a rappresentare l'altrove di intatte solitudini alpestri, il distacco dai tumulti della valle di lacrime, lassù nella pace dei suoni della natura. L'oasi è sogno, effimera la sua durata. La ripresa rimette in discussione tutta la materia già esposta con incisive e complesse varianti, combinate in modo da far campeggiare nella conclusione, euforicamente ripetuto in maggiore, il tema di Alma, gonfio di esaltazione e di tragedia.

A stabilire la continuità dell'idea fissa, lo Scherzo si apre in la minore, sullo stesso ritmo di marcia del primo movimento, ribadito dal timpano solo con pesanti sforzando sul tempo debole. L'idea principale è dunque di natura ritmica, ma si tratta ora di un ritmo zoppicante, in 3/8 martellati senza strascicare. L'atmosfera si fa grottesca, sinistra, a momenti l'orse ironica: il trillo ne è l'elemento caricaturale caratteristico. Attimi di calcolata sentimentalità, non si sa se oppressa o semplicemente trattenuta, vengono a interrompere il meccanico svolgersi della scena, che ad Alma ricordava gli innocenti giochi sulla rena delle sue due bambine, con orribili presagi. Il Trio in fa maggiore è un grazioso intermezzo in tempo meno mosso che Mahler, quasi a voler sottolineare lo stacco, chiama "Altväterisch", ossia "alla maniera antica dei patriarchi": affettuosa rievocazione di un tempo lontano, colta in una luce fredda, con lo stupore di chi scopra in soffitta un vecchio teatrino di burattini e lo osservi con curiosa trepidazione animarsi.

L'Andante moderato che segue, in mi bemolle maggiore, sembra ricollegarsi, all'inizio, con il clima espressivo di struggente rimpianto dell'Adagetto della Quinta Sinfonia, soprattutto quando la delicata trama degli archi viene impreziosita dai tocchi leggiadri dell'arpa; ma già l'uscita del corno con un'ampia e distesa frase melodica fa prendere alla pagina un respiro più robusto e vigoroso, meno crepuscolare ed elegiaco. La sezione del secondo tema, esposto dal corno inglese, ci trasporta nuovamente in vista di alture montane, con insistenti echi di Jodeln e di richiami pastorali, come in una panoramica cinematografica. Dal cuore di questa sequenza idilliaca si origina un violento sussulto, e la parte restante del movimento s'infiamma per salire a una temperatura incandescente, abbandonato il candore di visioni serene e assumendo sempre più il tono di una confessione soggettiva e appassionata, affidata alla voce spiegata degli archi. Raggiunto l'acme, la discesa avviene a poco a poco senza più concitazione, con dignità e misura di proporzioni classiche.

L'ultimo movimento è preceduto da un'estesa introduzione (Sostenuto), luogo di cupi e inquieti presagi, da cui si generano schegge di motivi in caleidoscopiche figurazioni: archi librati in slanci vertiginosi, grotteschi avvii di marcia del basso tuba, lontani richiami del corno, pallide fanfare dei legni, il tutto ossessivamente minacciato dal motto fatale della Sinfonia, l'accordo maggiore delle trombe che cambia in minore sui violenti colpi del timpano. Il vero e proprio movimento conclusivo si mette in marcia con l'Allegro moderato, poi energico, che organizza e riepiloga il conflitto tra volontà catartica e progressiva resa al disfacimento. L'inserzione di un secondo elemento tematico, così teneramente conciliante e consolatorio, crea spazi d'inatteso lirismo e squarci di limpidezze più immaginarie che reali, frenando ma non arrestando il corso impetuoso, sempre più pressante della marcia. La riapparizione dell'introduzione all'inizio della ripresa spinge gli eventi verso l'epilogo. Tra bagliori sinistri e demoniaci, il ritorno dei campanacci ha qualcosa di assurdamente irreale e fantomatico; il secondo tema è ora poco più che una larva e tutto sprofonda pesantemente nel gorgo terribile e tartareo della marcia. Nella notte cupa e senza speranza il destino afferra l'anima dell'eroe, dopo aver infierito sul cadavere a colpi di martello. Sui brandelli che rimangono si stende, in una sorta di preghiera intonata dagli ottoni gravi, un velo intriso di umanissima, amara pietà. Un'ultima impennata di disperazione si leva nel grido dell'accordo di la minore lanciato fortissimo a piena orchestra: annientato dalle pesanti mazzate del timpano. Il resto è silenzio, ben oltre il pizzicato degli archi che sigilla con un singhiozzo il verdetto su questo mondo.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Accettando la proposta di suddividere la vita creativa di Gustav Mahler in periodi distinti, ognuno caratterizzato da un gruppo di opere con tratti comuni, la Sesta Sinfonia in la minore, composta nei mesi estivi del 1903 e del 1904, occupa il pannello centrale di un trittico per sola orchestra completato dalla Quinta e dalla Settima. In questa fase Mahler si allontana definitivamente dal mondo bizzarro e variopinto del Wunderhorn per immergersi nei tortuosi inferni dell'anima dei tre colossi sinfonici. La coralità del romanzo epico dalle mille voci si focalizza in una dimensione più soggettiva, quasi autobiografica. Ciò vale soprattutto per la Sesta, delle tre sinfonie mediane certo quella maggiormente gravata da interferenze extramusicali, riferimenti personali, citazioni e autocitazioni, complesse simbologie sonore. In una lettera senza data a Richard Specht, il suo primo biografo, Mahler cosi presentava il nuovo lavoro: «La mia Sesta proporrà enigmi che potranno essere affrontati soltanto da una generazione la quale abbia assorbito e digerito le mie cinque sinfonie precedenti». Si riferiva probabilmente ai segnali simbolici disseminati lungo il percorso della Sinfonia, forse più in generale alla problematicità di un'opera che, pur costituendo senza dubbio uno dei cardini della poetica tragica mahleriana, non ha mancato di suscitare profonde avversioni e netti rifiuti perfino nella critica recente.

A complicare le cose dovevano aggiungersi le rivelazioni di Alma Mahler in base alle quali la Sesta potrebbe essere interpretata come una vera e propria Sinfonia a programma, non lontana dal carattere degli ultimi Poemi sinfonici di Strauss, la Sinfonìa Domestica e la Alpensinfonie. Alma insiste sul significato profetico e maleaugurante dell'ispirazione del lavoro, da Mahler stesso qualificato come Sinfonia Tragica, in questo senso associabile ai vicini Kindertotenlieder; un messaggio luttuoso sorprendente se riferito al periodo di composizione, forse il più sereno di tutta la vita del musicista. Vale la pena di rileggere il passo incriminato che tanto ha fatto discutere gli studiosi mahleriani e trarre spunti di condanna per la partitura. Scrive Alma: «Quell'estate fu bella, felice, senza conflitti. Alla fine delle vacanze Mahler mi suonò la Sesta sinfonia, ormai completa. Dovevo rendermi libera da tutti i lavori di casa, aver molto tempo a disposizione per lui. Salivamo di nuovo a braccetto nella sua casupola nel bosco, dove eravamo sicuri di non essere disturbati, in mezzo agli alberi. Tutto ciò si svolgeva sempre con grande solennità. Dopo aver abbozzato il primo tempo, Mahler era sceso dal bosco e aveva detto: "Ho tentato di fissare il tuo carattere in un tema - non so se mi è riuscito. Ma devi lasciarmi fare". È il grande tema pieno di slancio del primo tempo della Sesta Sinfonia. Nel terzo tempo descrive i giochi senza ritmo delle bambine che corrono traballando nella rena. E spaventoso: le voci infantili diventano sempre piti tragiche, e alla fine non resta che una vocina lamentosa che va spegnendosi. Nell'ultimo tempo descrive se stesso e la sua fine o, come ha detto pili tardi, quella del suo eroe. "L'eroe che viene colpito tre volte dal destino, il terzo colpo lo abbatte, come un albero". Queste sono parole di Mahler. Nessun'opera gli è sgorgata tanto direttamente dal cuore come questa. Piangevamo quella volta, tutti e due, tanto profondamente ci toccava questa musica e quel che annunciava con i suoi presentimenti. La Sesta è un'opera di carattere strettamente personale e per di piti profetico. Tanto con i Kindertotenlieder che con la Sesta Mahler ha messo in musica 'anticipando' la sua vita. Anch'egli fu colpito tre volte dal destino e il terzo colpo lo abbatté. Ma quell'estate era allegro, cosciente della grandezza della sua opera e i suoi virgulti erano verdi e fiorenti».

Da una descrizione del genere era facile ricavare appigli per denigrare la Sesta come un passo indietro verso l'individualismo romantico del Poema sinfonico e l'esibizione impudica, plateale di atteggiamenti autocommiserativi. Appigli che la maggioranza degli studiosi non si è lasciata sfuggire. D'altra parte la partitura della Sesta è sicuramente una delle più elaborate e linguisticamente avanzate di tutta l'opera sinfonica mahleriana. Ecco allora la predilezione manifestata da Schönberg e soprattutto da Alban Berg che in una lettera a Webern la definì «l'unica Sesta, malgrado la Pastorale» e nel terzo dei suoi Orchesterstücke sottolineò il passo di maggiore tensione con tre colpi di martello alla maniera del Finale della Sesta. Comunque Mahler rinunciò alla stesura di un vero e proprio programma letterario, ricostruibile solo attraverso i Ricordi di Alma e i riferimenti simbolici collegati prevalentemente alla timbrica di alcuni strumenti. Su questo aspetto si è soffermato in particolare Hans Ferdinand Redlich nella premessa alla partitura relazionando il richiamo dei campanacci al «senso dell'allontanamento dalla terra», le campane tubolari ai «simboli dei dogmi ecclesiastici», lo xilofono e le nacchere a un ghigno diabolico, il famoso martello del Finale ai «colpi di scure del destino», ecc. È innegabile insomma la teatralità di uno scenario sonoro minuzioso che fa della Sesta la Sinfonia più estroversa e spettacolare di Mahler e che spesso rivela esplicitamente una componente di forte gestualità, come nel caso del misterioso martello. Per la prima esecuzione, tenuta il 27 maggio del 1906 a Essen, Mahler fece addirittura costruire un'enorme cassa a membrana che peraltro risultò inudibile sul fortissimo del resto dell'orchestra. Questa componente gestuale e spettacolare, che segna probabilmente il punto più vicino fra i mondi opposti di Mahler e di Strauss, basata sulla tridimensionalità timbrica di un organico smisurato, superiore a quelli pur imponenti della Quinta e della Settima, fu stranamente criticata dal musicista bavarese. Gli sfuggi forse proprio la funzionalità visiva di quello spiegamento di forze e giudicò la partitura überìnstrumentìert, sovrastrumentata. In effetti proprio l'aspetto timbrico, talvolta prevaricante rispetto alla stessa elaborazione tematica del processo formale, costituisce uno degli elementi di maggiore originalità e interesse di questa partitura fascinosamente ipertrofica.

Mahler stese tre versioni della Sesta. La prima, quella eseguita a Essen nel 1906, prevedeva lo Scherzo al secondo posto e l'Andante al terzo, mentre nella successiva, risultato di una revisione condotta dall'autore nel giugno dello stesso anno, l'ordine dei due movimenti centrali fu invertito, forse cercando di ottenere un maggiore effetto di contrasto. Curiosamente scomparve dalla seconda edizione anche il terzo colpo di martello lasciando simbolicamente aperta la conclusione della Sinfonia. Nella versione definitiva i colpi di martello rimasero due, fortissimo il primo e piano il secondo, mentre fu ristabilita la successione originaria dello Scherzo e dell'Andante. La stretta parentela fra i primi due movimenti, entrambi in la minore e basati su un ritmo di marcia, richiama l'analogo procedimento adottato nella Quinta, dove il secondo tempo sviluppa diversamente il materiale del primo e quindi appare come la sua logica prosecuzione. Giusto quindi il ritorno alla disposizione originaria nella versione definitiva e sbagliati gli appunti di quanti avevano suggerito la modifica in un primo tempo accettata da Mahler. La struttura della Sesta, quale che sia la collocazione dello Scherzo, è la più classica e tradizionale dell'intera opera sinfonica mahleriana. Ma al di là del rispetto esteriore della convenzione sinfonica, anche nella Sesta è possibile rilevare la tendenza tipica del sinfonismo mahleriano al raggruppamento dei tempi in unità formali superiori, in questo caso i primi tre movimenti da un lato e l'imponente Finale dall'altro, sintesi e ricapitolazione dell'itinerario precedentemente percorso. Notando invece la fitta rete di relazioni tematiche che cementa l'unità della Sinfonia, addirittura interpretabile come una vasta struttura ciclica, la profonda coesione tonale ruotante intorno al centro di la minore, la costante del ritmo base di marcia, verrebbe fatto di considerarla come un tutto indivisibile, fondato su progressive variazioni, a livelli formali diversi, del materiale presentato nell'esposizione del primo movimento. Unica eccezione l'Andante, dove i legami con la ciclicità tematica degli altri tempi sono provvisoriamente sospesi. Resta solo il lontano ricordo del timbro dei campanacci a rievocare l'atmosfera bucolica della seconda sezione espositiva dell'Allegro energico, quella contraddistinta dal celebre «tema di Alma», mentre scompare del tutto il ritmo di marcia. Anche dal punto di vista armonico l'Andante segna una parentesi divergente rispetto al resto della Sinfonia con il suo luminoso mi bemolle maggiore. Per collegarlo al seguito sarà necessaria l'ampia introduzione del Finale che infatti attacca nella tonalità relativa di do minore prima di volgere rapidamente in la. In questa prospettiva il terzo movimento si configura come un intermezzo lirico isolato dal vivo del discorso e richiama la funzione assolta dall'Adagietto della Quinta, anche per il passaggio al Finale mediato da una introduzione.

Sulla funzione assunta dal ritmo di marcia nella simbologia mahleriana non possono sussistere dubbi. Basterà richiamarsi al moto marziale di molti dei Wunderhomlieder per cogliervi l'emblema musicale della ripetitività automatica e allucinata dell'esistenza, l'ideogramma sonoro dello scorrere angoscioso del tempo. Tutte e tre le Sinfonie mediane di Mahler iniziano con un ritmo di marcia. Questa della Sesta (Allegro energico, ma non troppo. Heftig, abermarkig) si differenzia vistosamente dal Trauermarsch della Quinta e dall'attacco luttuoso della Settima per una maggiore decisione. A qualcuno ha fatto venire in mente Schubert, ad altri Weber, ad altri ancora l'ingresso di Pizarro nel primo atto del Fidelio. Certo non si tratta di un avvio preparatorio di scarsa importanza. Il carattere particolare della Sesta è già tutto presente nella prima pagina della partitura, una fortissima tensione in avanti, uno slancio implacabile accompagnato dal senso ugualmente evidente della progressiva ascesa. Al termine dell'esposizione del primo tema, Mahler presenta una significativa trasformazione di questo ritmo di marcia nei timpani sovrapponendola a un'altra figura simbolica che assumerà grande rilievo nel corso dell'intera Sinfonia: l'enunciazione da parte di tre trombe della triade di la maggiore convertita improvvisamente in triade di la minore su un immediato decrescendo dinamico, dal fortissimo al pianissimo. È il segnale tragico e misterioso che chiuderà la Sesta, forse la cellula generatrice di tutto il lavoro da Redlich interpretata come «motivo del destino». La seconda sezione tematica immette in un clima completamente diverso, a cominciare dalla nuova tonalità di fa maggiore. Alla violenza percussiva del tema di inizio si contrappone la cantabilità spaziosa e impulsiva dell'Alma-Thema, un'escursione melodica così ampia e appassionata da lasciare il sospetto di un pizzico di volgarità teatrale: strano che Alma andasse fiera di un simile ritratto musicale.

Era dal tempo del Titano che Mahler non usava il ritornello per ripetere la sezione espositiva del primo movimento di una Sinfonia, cosa peraltro che dopo la Sesta non si verificherà più. Il ricorso a questo procedimento dello stile classico può essere giustificato con la straordinaria densità tematica dell'inizio della Sesta che starà alla base di tutte le trasformazioni presenti negli altri movimenti e che per questo Mahler intende fissare con precisione nella memoria dell'ascoltatore. Al centro dell'imponente forma-Sonata di questo Allegro energico sta una sezione di sviluppo estesa per centosessanta battute, trenta in più rispetto all'esposizione. Qui tutti i temi presentati linearmente vengono sottoposti a un processo elaborativo che li sovrappone e li deforma. Si distinguono chiaramente due momenti contrapposti come le visioni simboliche di paesaggi lontani. La prima è un paesaggio infernale, ricavato dalla distorsione del tema di marcia dell'inizio, qui contraffatto in una voluta trivialità che suona quasi come sberleffo allo slancio eroico della sua precedente enunciazione. Il secondo è invece un paesaggio alpino dipinto con tratti descrittivi minuziosi che coinvolgono i campanacci, la celesta e l'inevitabile richiamo dei corni. In tutta questa sezione dominano gli elementi del secondo tema, il «tema di Alma», trasfigurato in una inversione melodica che lo rende ascendente. La brusca irruzione di un nuovo vortice infernale conduce rapidamente alla ripresa con il ritorno in maggiore del tema di marcia. Interessantissimo il ritorno della seconda sezione tematica con varianti che tengono conto delle trasformazioni timbriche incontrate durante lo sviluppo. Sarà proprio il «tema di Alma» a chiudere bruscamente il movimento con una repentina caduta verso il basso dopo aver toccato un massimo di intensità delirante.

Già si è detto della strana somiglianza fra il soggetto principale dell'Allegro energico e quello che apre lo Scherzo, ugualmente in la minore. Le affinità aumentano se consideriamo che il rapporto tonale (la minore - fa maggiore) del primo movimento viene riprodotto nel secondo fra le sezioni dello Scherzo e del Trio. Come già era avvenuto nello sviluppo del tempo precedente, anche ora il tema dello Scherzo suona come una variante deformata della solita marcia. La deformazione non tarda ad assumere l'immagine di un ritratto demoniaco, reso ancor piti pauroso e grottesco dall'anomalia ritmica della accentazione del terzo ottavo. Come un mostro claudicante, quasi apparizione hoffmanniana, lo Scherzo trasforma la linearità della marcia in una danza spettrale. La doppia sezione del Trio, con la curiosa indicazione Altväterìsch, traducibile 'vecchio stile', non è meno raccapricciante. Il suo presunto arcaismo si risolve in ironia macabra, quasi evocasse il fantasma di un antico minuetto sgangherato. L'intero movimento trova poi una definizione timbrica adeguatissima al contenuto con gli interventi dello xilofono, del glockenspiel, dei piatti e le uscite sarcastiche del primo violino. La Coda funge da ricapitolazione e disintegrazione del materiale precedente lasciando affiorare un'allusione fuggevole al «tema del destino», secondo la solita definizione di Redlich.

Se lo Scherzo poteva essere riferito alla prima sezione demoniaca dello sviluppo dell'Allegro energico, l'Andante riprende la quiete alpestre della seconda. Molti studiosi lo relazionano anche al carattere dei vicini Kindertotenlieder, esplicitamente citati d'altra parte alla nona battuta. La cifra distintiva di questa bellissima pagina deve però essere colta nella sua immagine timbrica, oltre che nel fascino del lungo, sinuoso tema principale. Nella quiete malinconica e spossata di questo Andante, cosi diverso dalle effusioni liberatorie degli altri tempi lenti mahleriani, c'è un'aura misteriosa e indeterminata che oscura la visione pastorale, anche nella sezione mediana dove ritorna l'appello lontano dei campanacci alpini. La linearità dei motivi e il prezioso intarsio strumentale possono inoltre suggerire un parallelo con certe incantate distese raveliane, e specialmente con la Pavane, rievocata dal suggestivo intervento del corno sul moto cullante dell'arpa. Come si è detto è una parentesi isolata, il miraggio di una serenità impossibile, subito dissolto dall'attacco del Finale.

L'ultimo tempo della Sesta è una delle costruzioni sinfoniche pili imponenti e impenetrabili di Mahler, un'avventura sonora che in circa ottocento battute di partitura si protrae per oltre mezz'ora di ascolto. Hans Ferdinand Redlich, che lo ha analizzato minuziosamente, vi ravvisa la preminenza di una struttura sonatistica basata su due sezioni contrapposte, ugualmente determinanti per la logica formale del movimento: una vasta introduzione (Sostenuto) e tre successivi gruppi tematici principali. A questa parte espositiva seguiranno due sezioni ricapitolative separate dallo sviluppo con i due primi colpi di martello. Infine, con l'ennesimo ritorno del tema dell'introduzione attacca la coda, che nella versione originale prevedeva l'ultimo Hammerschlag successivamente soppresso, conclusa dal terribile diminuendo della figura ritmica dei timpani associata al peso ineluttabile del Fato. In altri termini l'intero Finale potrà essere interpretato come un Rondò, ricapitolativo di tutta la Sinfonia, composto da ritorni e varianti delle solite figure principali. Il fitto groviglio di citazioni e autocitazioni, dall'Incompiuta di Schubert al Fidelio, dal Klagendes Lied al Titano ha suggerito a Quirino Principe l'immagine pure suggestiva di un'ambiziosa via crucis mahleriana dove la tradizione musicale europea, intesa come collettiva dichiarazione di angosce e di sconfitte, si identifica con Mahler stesso. In questo labirinto di immagini deformate, di slanci eroici e di tetri abbattimenti, le sorprese sonore continue non concedono tregua all'ascoltatore. Basterà ricordare la mirabile definizione timbrica dell'attacco del movimento, una delle evocazioni più sconvolgenti e profetiche di Mahler, dove l'inarcarsi coraggioso dei primi violini sugli arpeggi della celesta e delle arpe, accompagnato dal tremolo degli archi con sordina, sembra davvero concentrare in poche battute un immane sforzo ascensionale dalle tenebre alla luce.

Sul Finale della Sesta ha scritto Bruno Walter: «La tensione crescente e i culmini dell'ultimo movimento somigliano, nella loro potenza sinistra, alle onde colossali di un mare che travolgerà e distruggerà l'imbarcazione; l'opera si chiude nella disperazione e nella buia notte dell'animo. Non placet è il suo verdetto su questo mondo; all"'altro mondo" non si guarda, neppure di sfuggita, per un solo istante». Alla tragica epigrafe che sigilla la partitura può essere aggiunta la considerazione che la Sesta è l'unica Sinfonia di Mahler conclusa nel modo minore. Ma la tragicità dell'opera, sottolineata nello stesso titolo suggerito da Mahler, va cercata altrove, nel diffuso stato di malessere e nei molteplici segni di inquietudine che affiorano dal conflitto di suggestioni contrastanti: l'impianto classico e l'evidente serpeggiare di un 'programma' interiore, il gioco tortuoso di simboli e i nitidi fondali naturalistici, l'accorato romanticismo soggettivo e la volontà di rappresentare con distacco epico l'universalità del dramma. Nella irrisolutezza di tanti elementi contrastanti, accostati e sovrapposti nel segno di una scoperta teatralità, risiedono il fascino particolare della Sesta e il suo significato autenticamente tragico.

Giuseppe Rossi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 5 febbraio 2005
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze Teatro Comunale, 10 maggio 1988


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Ultimo aggiornamento 8 aprile 2016