Cantàri alla madrigalesca

Versione per orchestra d'archi

Musica: Gian Francesco Malipiero (1882 - 1973)

Organico: archi
Composizione: 1946
Edizione: Eulenburg, Vienna

Trascrizione per orchestra d'archi del tezo quartetto del 1936
Guida all'ascolto (nota 1)

Nei dieci anni tra il 1920 e il 1931 Gian Francesco Malipiero si avvicina al quartetto d'archi producendo l'uno dopo l'altro per questa formazione strumentale Rispetti e strambotti, Stornelli e ballate e questi Cantàri alla madrigalesca, che vengono eseguiti stasera nella versione per orchestra d'archi. Ma se nelle prime due composizioni l'evidente recupero di modi cinquecenteschi veniva riferito soprattutto alla musica popolaresca, come avvertiva del resto una nota alle partiture dello stesso Malipiero, con i Cantàri alla madrigalesca - ai quali al contrario l'autore non premette nessun cenno illustrativo - il musicista si propone, come del resto denuncia per primo lo stesso titolo, di usare gli strumenti ad arco non più per far sentire l'aria della strada e della campagna: la poesia rustica cede, cioè, il posto a quella meno ingenua e più urbana del madrigale. Ciò che spiega il carattere squisitamente vocalistico della composizione: non naturalmente del vocalismo melodrammatico sette ed ottocentesco, ma di quello della polifonia italiana classica. Un ritorno a quella civiltà musicale reso più evidente dal fatto che solo quattro anni prima di questi Cantàri il Maestro (nel 1926) aveva posto mano all'opera omnia monteverdiana: un rapporto tra questa sua compoizione ed il contemporaneo impegno musicologico confermato dalla dedica dei Cantàri a Elizabeth S. Coolidge, una delle principali finanziatrici dell'edizione critica delle musiche del grande cremonese.

Non scrisse del resto Massimo Bontempelli che Malipiero trovò il motivo e lo strumento della propria salvazione quand'ebbe incontrati Monteverdi e il Gregoriano? Salvezza da un impressionismo nostalgico che lo poteva trascinare nella gora del sentimentale e salvezza da ogni estetismo epidemico ed epidermico in cui tanti in quegli anni sarebbero caduti? Per non parlare della salvezza dal pericolo di incanalare il suo genio nel solco allora così aperto dell'illusione postverdiana, postpucciniana e verista.

«La musica italiana non si deve fabbricare con lo stampo - scrisse Malipiero in quegli anni - essa può manifestarsi in mille modi sotto varissimi aspetti e nei secoli XVI e XVII l'Italia ha dato grandi musicisti, i quali oggi potrebbero additare nuove strade o forse ricondurre sulla grande strada maestra». Potrebbe essere questa la nota d'autore che manca sulla partitura dei Cantàri alla madrigalesca - oltre alla chiave per comprendere tanta musica del maestro veneziano - perché è certo che la melodia di questa pagina ora concentrata nella essenzialità del declamato ora ampia e sfogata, la libertà e la mancanza di schema dell'impianto costruttivo, il continuo germinare di nuclei melodici che trovano disciplina solo nel ricco gioco imitativo delle parti se da un lato costituiscono il centro stesso dello stile malipierano, del suo rifiuto dello sviluppo tematico marca romantica, nello stesso tempo indicano in che senso quei musicisti dei secoli XVI e XVII così amati dal Maestro avrebbero potuto «indicare nuove strade». Che sono poi le stesse strade che Malipiero ha seguito con testarda genialità nel corso della sua lunga vita di musicista.

Gianfilippo De' Rossi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 13 aprile 1969


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Ultimo aggiornamento 11 aprile 2013