La Cimarosiana

Cinque frammenti sinfonici

Musica: Gian Francesco Malipiero (1882 - 1973)
  1. Andante grazioso
  2. Allegro moderato
  3. Non troppo mosso
  4. Larghetto
  5. Allegro vivace
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, tromba, timpani, archi
Composizione: Parma, 28 maggio 1921
Prima esecuzione: Londra, Quen's Hall, 31 maggio 1922
Edizione: Chester, Londra, 1927

Elaborazione di alcuni pezzi per pianoforte di Domenico Cimarosa
Guida all'ascolto (nota 1)

In una sua annotazione Gian Francesco Malipiero ricorda come questa partitura nacque nel 1921, quando il ballerino Massime, distaccatosi dalla compagnia di Djaghilew, gli portò alcuni pezzi di Cimarosa perché glieli strumentasse. La destinazione a un balletto è quindi implicita e all'ascolto anche esplicita, pur se poi, informa ancora Malipiero, fu Djaghilew ad attuarla, arrogandosi un diritto di proprietà sulle fonti. Ma sebbene stampata nel 1927, La Cimarosiana aveva intanto preso la via dei concerti già dal '22, aprendo così il gruppo delle elaborazioni di musica antica del compositore veneziano.

Diversamente da altri lavori contemporanei intitolati in maniera analoga, essa ignora la moda del pastiche stilistico avviata appunto intorno agli anni «'20». Anche senza ricorrere al confronto con i testi originari: dei pezzi per clavicembalo, l'elaborazione riflette piuttosto un'amorosa lettura critica, volta a sottolineare attraverso il nuovo medium sonoro i valori giudicati più validi. A ciò sorreggendo, nel caso di Malipiero, un autentico, acuto umanesimo, altrettanto estraneo al frigido o presuntuoso «rifare l'antico».

Articolata in 5 brani, di cui nell'esecuzione odierna si omette il secondo, La Cimarosiana si apre con un Andante grazioso, dove la natura strumentale del pezzo è posta in risalto dalla ridistribuzione della materia del concerto grosso, ma senza gravare la mano sulla snellezza delle idee, che si arricchiscono anche di lievi contrappunti.

Sul timbro punta invece l'elaborazione del Non troppo mosso: una popolarissima pastorale napoletana, citata anche da Domenico Scarlatti, che ottiene dall'orchestra una deliziosa messinscena sonora. Iscritto nello stesso ritmo di 6/18 ma languidamente cantabile, segue il Larghetto, avviato e concluso come un'aria dalla melodia dei clarinetti, mentre al centro sembra aprirsi a una piccola azione in due scene, interpreti dapprima i fiati, poi gli archi. Ma il gusto della commedia, doniinante nell'autore del Matrimonio segreto e assai apprezzato da Malipiero, ha buon gioco soprattutto nell'ultimo frammento: un Allegro vivace dalla scrittura chiarameante clavicembalistica e tuttavia intriso degli spiriti di un finale d'opera buffa, che la versione moderna si diverte a mettere a fuoco, incidendo il segno delle armonie e facendo di ogni frase altrettante strofe ritornellate sì da esaltarne il gesto arguto nella lente d'ingrandimento dell'orchestra.

Emilia Zanetti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 3 maggio 1964


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Ultimo aggiornamento 24 ottobre 2013