Pause del silenzio, sette espressioni sinfoniche

Prima parte

Musica: Gian Francesco Malipiero (1882 - 1973)
  1. Morbidezza - Solenne, lento ma non troppo
  2. Rudezza - Agitato assai
  3. Melanconia - Non troppo lento
  4. Gaiezza - Vivace assai
  5. Mistero - Lento, funebre
  6. Guerra - Allegro assai
  7. Selvatichezza - Allegro vivace e marcato
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, piatti, tamburo basco, tamburo militare, castagnette, triangolo, carillon, xilofono, celesta, arpa, archi
Composizione: 1917
Prima esecuzione: Roma, Teatro Augusteo, 27 gennaio 1918
Edizione: Universal, Vienna, 1919; Philarmonia, Vienna
Dedica: Bernardino Molinari
Guida all'ascolto (nota 1)

Le costanti stilistiche del primo Malipiero, il rifiuto dello sviluppo tematico, del divenire musicale, sostituiti da attimi in sé conclusi, da accensioni fantastiche accostate, da un fare e disfare continuo sotto la spinta dell'estro del momento, hanno nelle Pause del silenzio (1917) uno dei testi capitali; esse perfezionano le Impressioni dal vero (1910), già pensate dall'autore come reazione «contro la musica artificiosamente tematica», e stabiliscono il carattere e le interne posizioni delle Sette Canzoni (1920, sette espressioni drammatiche, così come sette espressioni sinfoniche suona il sottotitolo delle Pause del silenzio) e del Torneo Notturno (1929, sette notturni).

Con tale rifiuto (o impossibilità) a sviluppare il discorso musicale secondo le abitudini, Malipiero mostrava di aver appreso la lezione più nuova della stravinskiana Sagra della primavera, dove, ad esempio, il primo episodio offre lo spettacolo di segnali sparsi che non si organizzano in sintassi e restano in una prospettiva tabulare di reciproca indifferenza; ma su questa scansione prende rilievo l'impronta personalissima del compositore veneziano, inconfondibile sin dalle prime note, con il suo melos aggirantesi su se medesimo, nutrito di flessioni arcaiche e di veneziana insistenza, con la folgorante precisione dei timbri, dai dialoghi smunti dei legni allo squillo degli ottoni, emulo dei più dorati contrappunti di Giovanni Gabrieli, all'ipocondrico mormure del clarinetto basso, all'insinuarsi del violino solo. Impronte certo presenti in tutto Malipiero fino al Torneo Notturno, e forse anche più in là: ed è proprio un suo tratto distintivo l'essere pervenuto ad una assenza di evoluzione, a una acronia (che vuol poi dire indipendenza di fronte al «mutar d'eventi») che richiamano alla mente, per Malipiero meglio che per chiunque altro, certe affermazioni di Proust («les grands littérateurs n'ont jamais fait qu'une seule oeuvre»), o del nostro Moravia («uno scrittore scrive sempre più o meno lo stesso libro allo stesso modo che gli uccelli cantano sempre la stessa nota»).

Sul titolo dell'opera e sul suo significato musicale l'autore si è espresso con insolita generosità di dati: «Le Pause del silenzio non rappresentano nessuna tendenza, nessuna intenzione, che non sia puramente musicale. Vennero concepite durante la guerra (1917) quando era più difficile trovare il silenzio e quando, se si trovava, molto si temeva d'interromperlo, sia pure musicalmente. Appunto per la loro origine tumultuosa, in esse non si riscontrano né sviluppi tematici, né altri artifici ai quali il musicista volentieri s'abbandona quando, rinchiuso nella sua officina, ama imitare l'opera del cesellatore.

Però, volendo, si può dire che le "sette espressioni sinfoniche" corrispondono a sette differenti stati d'animo, e anche, senza cedere nella pedanteria, definirli.

La I impressione può chiamarsi pastorale; la II fra lo scherzo e la danza; la III una serenata; la IV una ridda tumultuosa; la V una elegia funebre; la VI una fanfara; la VII un fuoco di ritmi violenti. E' facoltà di chi ascolta di dare delle interpretazioni opposte a quelle precisate dall'autore».

Le sette espressioni sinfoniche sono collegate da un solo legame (alla maniera dei Quadri musorgskiani), uno squillo affidato in apertura ai quattro corni (squillo «un po' eroico - quasi si scusa Malipiero - perché una voce timida non oserebbe interrompere il silenzio») e poi destinato a riapparire, variamente attribuito, prima di ogni episodio. Le Pause del silenzio sono dedicate a Bernardino Molinari che le diresse la prima volta all'Augusteo di Roma il 27 gennaio 1918.

Giorgio Pestelli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 febbraio 1975


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 13 marzo 2013