La Terra

Cantata per coro e piccola orchestra

Musica: Gian Francesco Malipiero (1882 - 1973)
Testo: dal Primo Libro delle Georgiche di Virgilio
Organico: coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, gong, archi
Composizione: 1946
Prima esecuzione: Cambridge, Harvard University, 2 maggio 1947
Edizione: Suvini Zerboni, Milano, 1949
Guida all'ascolto (nota 1)

La Terra, una specie di cantata pastorale per coro e piccola orchestra, fu portata a termine da Gian Francesco Malipiero ad Asolo, nell'ottobre 1946. La prima esecuzione in una versione per coro e organo ebbe luogo il 2 maggio 1947 all'Università di Harward. La prima esecuzione della versione con orchestra ebbe luogo al Teatro La Fenice, il 12 settembre 1950; nel quadro del XIII Festival Internazionale di Musica Contemporanea. Dirigeva Mario Rossi. Igor Markevitch la presentò per la prima volta in Francia nel maggio del 1952 al Théatre des Champs Elysées a Parigi.

La Terra è composta su cinquantadue versi tratti dal I Libro delle Georgiche di Virgilio e si riallaccia idealmente alla «sinfonia eroica Vergilii Aeneis» che Malipiero aveva scritto due anni prima. La scelta dei versi operata da Malipiero corrisponde all'assunto di evitare gli accenti epici, ideologici e patetici e di intonare per converso un inno alla bellezza della natura, alla poesia della vita campestre dando rilievo nel contempo al significato quasi sacro dei riti della coltivazione. Come si sa, Virgilio, nelle Georgiche, invoca più d'una volta la pace e la fraternità per evitare quel crollo dell'economia agricola italica con la cui accorata constatazione termina proprio il I Libro delle Georgiche. Malipiero ha tralasciato tutti quei versi che si riferiscono, quasi in un drammatico crescendo, alle vicende dolorose, e ha scelto piuttosto le parentesi liriche del testo in cui Virgilio descrive la vita familiare dei contadini, le feste di Cerere, la gioia degli uccelli al risvegliarsi del giorno, il fascino della volta stellata. L'opera appare articolata in dodici sezioni connesse senza soluzioni di continuità. Il ristretto organico vocale, la trasparenza della scrittura vocale testimoniano dell'intento d'improntare la composizione ad una serena contemplazione più che ad una descrizione pittoresca delle vicende e dei paesaggi raffigurati nel testo. Le tempeste del cielo, il tremar della terra e il fuggir degli uomini atterriti vengono suggeriti sottovoce mediante l'improvviso unisono che termina la decima sezione. Solo quattro accordi strappati «fortissimo» interrompono la magica atmosfera bucolica che domina il lavoro. Ed è questo l'unico tratto in cui il compositore prescrive un andamente Allegro. Il resto del lavoro si snoda in movimenti designati come Lento, Calmo, Tranquillo. Un intermezzo strumentale fra la settima e l'ottava sezione, divide la cantata in due parti quasi uguali e introduce l'inno alla casta coniux, l'elogio dell'amor coniugale. Ed è questo, forse, il momento più suggestivo e commosso dell'opera «la quale, nella numerosa produzione di Malipiero, ha un posto spiccato fra le pagine minori (s'intende "minori" per ampiezza di sviluppo e di propositi) e si riallaccia alla vena creativa del lontano periodo degli Stornelli e Strambotti e dei Cantari alla madrigalesca» (come ebbe modo di scrivere G.M. Gatti in occasione della prima veneziana).

Roman Vlad

Testo

Vos, O clarissima mundi lumina,
labentem caelo quae ducitis annum;
Liber et alma Ceres, vestro si munere tellus
Chaoniam pingui glandem mutavit arista,
poculaque inventis Acheloia miscuit uvis;
et vos, agrestum praesentia nuonina Fauni,
ferte simul Faunique pedem Dryadesque puellae;
munera vestra cano.
Voi, o splendidi lumi dell'universo, che guidate nel cielo il corso dell'anno; Bacco e Cerere nutrice, se è vero che per vostro donola terra cambiò le Caonie ghiande con le grasse spighe, e trovato il succo dell'uva vi mescolò le acque dell'Achelòo; e voi, o Fauni, numi protettori dei contadini, venite qui assieme, Fauni e fanciulle Driadi; io canto i vostri doni.
Vere novo, gelidus canis cum montibus
umor liquitur et zephyro putris se glaeba resolvit,
depresso incipiat, iam tum mini taurus aratro
ingemere et sulco attritus splendescere vomer.
A primavera, quando il ghiaccio si liquefa sui bianchi monti e la pingue zolla si scioglie allo Zefiro, allora incominci subito il toro a gemere sotto l'aratro e il vomere a splendere levigato dal solco.
Ergo age, terrae
pingue solum primis extemplo a mensibus anni
fortes invortant tauri glaebasque iacentes
pulverulenta coquat maturibus solis aestas;
Dunque orsù, fin dai primi mesi dell'anno i forti tori rivoltino il grasso suolo della terra e la polverosa estate, bruci coi raggi ardenti le zolle distese.
Umida solstitia atque hiemes orate serenas,
agricolae;
Invocate umidi solstizi e inverni sereni, o agricoltori;
Ante lovem ipsaque tellus
omnia liberius nullo poscente ferebat.
lile malum virus serpentibus addidit atris,
praedarique lupos iussit, pontumque moveri,
mellaque decussit foliis, ignemque removit.
Prima di Giove la stessa terra molto più liberamente produceva tutto senza esserne richiesta da alcuno. Egli diede ai neri serpenti il mortale veleno, ordinò ai lupi di predare, al mare di sconvolgersi, dalle foglie scosse il miele e nascose il fuoco.
Contemplator item, cum se nux plurima silvis
induet in florem et ramos curvabit olentes.
Osserva pure quando nei boschi molti mandorli si vestiranno di fiori e curveranno i rami profumati.
Ipsa dies alios alio dedit ordine Luna
felicis operum. Quintam fuge: pallidus Orcus
Eumenidesque satae; tum partu Terra nefando
Coeumque lapetumque creat, saevumque Typhoea
et coniuratos caelum rescindere fratres.
Anche la Luna ha assegnato con diverso ordine giorni diversi adatti ai lavori. Evita il quinto: nacquero il pallido Orco e le Furie; in quello col nefando parto la Terra genera Geo e Giapeto e il crudele Tifeo e i fratelli congiurati a travolgere il cielo.
Interea, longum cantu solata laborem,
arguto coniux percurrit pectine telas,
aut dulcis rnusti Volcano decoquit umorem
et foliis undam trepidi despumat aheni.
Frattanto alleviando col canto la lunga fatica, la moglie scorre le tele col pettine sonoro o cuoce al fuoco il dolce liquido del mosto, e con un ramo fronzuto schiuma l'onda del paiolo gorgogliante.
Quid tempestates autumni et sidera dicam,
atque ubi iam breviorque dies et mollior aestas,
quae vigilanda viris? Vel cum ruit imbriferum ver,
spicea iam campis cum messis inhorruit et cum
frumenta in viridi stipula laetentia turgent?
Che dirò delle tempeste portate dalle costellazioni d'autunno e che deve fare a veglia la gente quando ormai il giorno è più breve e l'estate più mite? O quando volge al termine la piovosa primavera e ormai s'erge sui campi la messe delle spighe, e quando sullo stelo verde il frumento si gonfia di latteo umore?
Ipse pater media nimborum in nocte corusca
fulmina molitur dextra: quo maxima motu
terra tremit; fogere ferae et mortalia corda
per gentes humilis stravit pavor;
Lo stesso Padre, fra le tenebre dei nembi, scaglia con la destra i fulmini abbaglianti: e per quelli trema l'immensa terra; fuggono le fiere e fra le genti, la scoraggiante paura prostra i cuori dei mortali;
Iam variae pelagi volucres, et quae Asia circum
dulcibus in stagnis rimantur prata Caystri,
certatim largos umeris infundere rores:
nunc caput obiectare fretis, nun currere in undas
et studio incassum videas gestire lavandi.
Tum cornix piena pluviam vocat improba voce,
et sola in sicca secum spatiatur harena.
Già gli svariati uccelli marini e quelli che frugano nei dolci stagni intorno ai prati dell'Asico Caistro, si vedono a gara bagnarsi con spruzzi abbondanti il dorso: ora tuffare il capo nell'onda, ora correre verso le onde e invano struggersi per il desiderio di lavarsi. Allora la cornacchia importuna chiama la pioggia a piena voce e solitaria si aggira lenta per l'arena asciutta.
Si vero solem ad rapidum lunasque sequentes
ordine respicies, numquam te crastina fallet
hora, neque insidiis noctis capiere serenae.
Se poi osserverai il rapido sole ed il succedersi ordinato delle fasi lunari, non t'ingannerai mai sul tempo dell'indomani, né sarai preso dagli inganni di una notte serena.
VIRGILIO, Georgiche - Libro I

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 16 dicembre 1973


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Ultimo aggiornamento 5 giugno 2016