Concerto in si bemolle minore per pianoforte e orchestra, op. 66


Musica: Giuseppe Martucci (1856 - 1909)
  1. Allegro giusto
  2. Larghetto (sol bemolle maggiore)
  3. Allegro con spirito
Organico: pianoforte solista, 2 flauti (2 anche ottavino), 2 oboi, 3 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, oficleide, timpani, triangolo, archi
Composizione: Napoli, Torre del Greco, 1884 - 1885
Prima esecuzione: Napoli, Sala Helzel, 31 gennaio 1886
Edizione: Friedrich Carl Kistner, Lipsia, 1886
Dedica: all'amico Dottor Filippo Filippi
Guida all'ascolto (nota 1)

Il manoscritto del Concerto op. 66, conservato nella Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, reca la notazione autografa: Napoli - Torre del Greco ottobre 1884-1885. La composizione fu certamente iniziata a Napoli e proseguita anche a Torre del Greco, località frequentata in quell'anno 1884 dal Martucci a causa dell'epidemia di colera che imperversava su Napoli, e che lo vide pure colà dall'estate all'autunno dell'anno successivo 1885.

Precedentemente Martucci aveva avuto modo di trattare la medesima forma di composizione con il Concerto in re minore per pianoforte ed orchestra, scritto a Parigi nel 1878 in occasione del suo soggiorno nella capitale francese protrattosi dall'aprile al giugno di quell'anno, epoca nella quale aveva tenuto alcuni concerti punistici. Ma lo opere determinanti nell'evoluzione della personalità del compositore, e che più da vicino prepararono il giovane artista alla realizzazione del brano in questione, possono essere considerate quelle comprese fra la Sonata in fa diesis minore per violoncello e pianoforte op. 52 ed il secondo Trio in mi bemolle maggiore op. 62, appartenenti quindi al periodo circoscritto tra l'ottobre 1880 e l'ottobre 1883.

Il fatto che Martucci abbia trascritto per pianoforte ed orchestra il suo Tema con variazioni op. 58 per pianoforte in quest'ultimo anno, ci sembra elemento d'indagine assai significativo quale rgione logica nel valutare l'esigenza del musicista di indirizzare, in quel periodo, il suo sforzo creativo verso una forma che doveva sollecitare particolarmente la sua natura di pianista e di sinfonista. La composizione in questione vi si prestava sia per la sua struttura in variazione, sia per le risorse armoniche che aprivano possibilità timbriche diverse e sfruttabili anche in ragione di un dialogo evidente per la disposizione del disegno ritmico.

Nel primo tempo del Concerto (Allegro giusto) l'inciso del primo tema, col suo inconsueto ritmo, viene introduttivamente presentato in due misure dagli archi che aboliscono così l'usuale proemio orchestrale. Il pianoforte espone subito il tema che si estende in sedici misure e rivela una natura vigorosa, perentoria. Liszt, è noto, all'ascolto di questo tema si espresse con un "bon commencement" che sottolinea l'efficacia del nucleo germinale del lavoro. Non riteniamo che la drammaticità dell'esposizione possa venire confusa per forzata magniloquenza: la forza intellettiva che si manifesta nella perfetta simbiosi pensiero-tecnicismo non favorisce enfatici sfoghi, ma conduce ad una rivelazione essenzialmente concisa e profonda. Tra le peculiarità del primo tempo si rivela la "cadenza". Tale solistica enunciazione nasce da un clima intriso di condensate armonie: a poco a poco si libera in canto più lineare e spiegato per raggiungere gradualmente, nella consapevolezza del tecnicismo pianistico, l'espressione drammatica della riconferma tematica. La scienza pianistica nella sua sostanza tecnico-armonica vi è profusa. L'intelligente utilizzazione dei temi fusi con i continui richiami agli sviluppi, crea pagine di una complessità eccezionale: i momenti lirici si alternano agli stimoli brillanti; fughe virtuosistiche di ottave ed accordi s'intrecciano a trilli doppi di triadi e bicordi alternati, che si estendono in attesa dell'entrata dell'orchestra. Lo stupendo epilogo orchestrale è l'apoteosi, l'esplosione sonora dei motivi conduttori cantati con intensa penetrante voce, l'affermazione ideale delle forze più profonde dello spinto. Le due entità si fondono e lo strumento solista diviene così materia sonora nel "tutto".

La concezione formale del secondo tempo Larghetto è quella del Lied ABA, realizzata in rapporto normale di tonalità con la precedente di si bemolle minore nel primo tempo. Il violoncello - al quale è affidata l'esposizione del secondo tema - unitariamente al flauto imposta il discorso musicale, mentre il solista commenta ed asseconda, con disegni a terzine d'accordi della mano destra contro le duine della sinistra, la stupenda melodia. Martucci prediligeva evidentemente la voce del violoncello e riusciva a creare con il cantabile di questo strumento i suoi più ispirati brani melodici. L'autenticità e la profonda bellezza di questo tema sono indiscutibili: alla fine della sua esposizione cresce nei toni caldi per assumere una sostanziale intensità in perfetta unione con la rivelazione commovente del primo lenipo. La condotta tecnica dei due strumenti, a corda e a tastiera, è quanto di più armonioso si possa riscontrare in esempi analoghi.

Nel tempo conclusivo, Allegro con spirito, il piglio brillante del pianista-compositore emerge quasi incondizionatamente. Par di ritrovare nelle pagine briose, e nel contempo venate da un sottile senso di indefinibile mestizia, la spigliata scioltezza di un atto riposante dello spirito. Dopo la complessa pensosità del primo tempo e la tensione lirica del secondo, questo ultimo movimento fa affiorare la natura essenzialmente pianistica, quasi elemento d'origine prorompente del voluto momento strumentale. L'istinto, libero da presupposti contenutistici, urge sotto l'impulso di una tecnica connaturale; l'esperienza pianistica di alto rango si riversa nelle combinazioni armoniche e, senza volute forzature accademiche, esprime e redige un testo strumentale degno delle grandi tradizioni universali.

Nel periodo fine secolo, quando il Concerto veniva presentato dall'autore in qualità di solista (precisamente dal 1886 al 1900), si possono rilevare ragioni di carattere artistico e di natura contingente. Nel primo caso il fascino e l'alto valore del Martucci interprete hanno certamente influito come parte determinante sul giudizio espresso dalla maggioranza dei critici d'allora. D'altro lato, è necessario tenere nel debito conto un certo empirismo esistente fra i recensori; tranne eccezioni di note firme, i corrispondenti e parte dei cronisti di quel tempo non possedevano una preparazione artistica e musicologica tale da garantire un giudizio tecnico ed estetico di un certo qual fondamento. Pur tuttavia alcuni giudizi ripetuti, alcune frasi che parevano dettate da impressioni momentanee ed epidermiche si cristallizzarono, riflettendo i falsi raggi oltre il tempo fittizio della loro stessa natura, perpetuandosi attraverso le voci di altri esponenti a noi più vicini. Si può quindi stabilire in generale che l'opera in questione ha conseguito un globale consenso di stima; tale definizione non appaga interamente, poiché non rispecchia l'intrinseco valore della composizione.

La storia delle esecuzioni del Concerto inizia nel 1886, quando l'autore lo presentò, sostenendo la parte solistica, il 31 gennaio nella Sala della Società del Quartetto in Napoli, direttore Paolo Serrao. È sempre Martucci che lo esegue al pianoforte, il 20 febbraio, a Roma nella Sala Palestrina a Palazzo Doria: la direzione è affidata ad Ettore Pinelli. Un'altra esecuzione a Napoli, il 27 aprile 1886, vede nuovamente l'autore in qualità di solista, con il maestro Paolo Serrao direttore dell'orchestra.

Con i due concerti che il musicista capuano tenne a Bologna nel maggio 1886 ebbe inizio un importante periodo della sua vila artistica; l'esecuzione dell'opera 66, avvenuta nell'ultimo dei suddetti concerti, il 16 maggio, fu determinante per la chiamala di Martucci alla direzione del Liceo Musicale bolognese e valse al compositore ed al pianista un trionfo memorabile nella storia musicale della città. Seguirono altre interpretazioni a Milano, Venezia, Bruxelles e Bologna.

Nel settembre, per il 31° concerto dell'Esposizione Nazionale a Torino, la cronistoria delle esecuzioni registra un avvenimento eccezionale per la collaborazione artistica di due grandi musicisti: Giuseppe Martucci e Arturo Toscanini. Il felice incontro si npete al massimo teatro italiano, "Alla Scala" di Milano, il 27 aprile del 1899. Ancora nello stesso anno si ha notizia di un concerto a Trieste per la Società Filarmonica Drammatica (27 novembre) con l'orchestra affidata per la direzione del concerto a Teodoro Costantini. Il 29 gennaio 1900, all'Accademia di Santa Cecilia, Martucci ripresenta a Roma per la seconda volta - a distanza di quattordici anni - la sua composizione, la cui direzione è nuovamente affidata ad Ettore Pinelli.

Il ciclo delle esecuzioni interpretate dall'autore si chiude nella città che aveva assistito al battesimo dell'opera: a Palazzo Madaloni a Toledo in Napoli, il 2 febbraio 1900, Florestano Rossomandi dirige il Concerto, mentre Martucci al pianoforte rinnova e conclude i trionfi, indici di una vita consacrata all'arte.

Dopo la scomparsa di Martucci, altri illustri artisti interpretarono il Concerto. In particolar modo va ricordata l'esecuzione di Ernesto Consolo, nel 1911, alla Carnegie Hall di New York, direttore Gustav Mahler.

Nelle stagioni di Santa Cecilia ritorna dopo oltre quarant'anni.

Il problema dell'interpretazione di questo Concerto, come d'altra parte in tutte le opere di Martucci, è significativo. A nostro avviso, il musicista che si dispone ad eseguire quest'opera, oltre ad una tecnica completa nel vero senso della parola, deve possedere una profondità di spirito ed un temperamento eccezionali. Parrà assolutismo esagerato di idee, ma troppe volte si è potuto riscontrare una mancata penetrazione ed una inadeguata ricreazione dei valori sostanziali del lavoro, proprio per le carenze interiori manifeste in alcuni pianisti. Potenza e drammaticità non devono nascere all'esterno, ovvero da un "mestiere" strumentale che i moduli tecnici della composizione in oggetto possono far apparire risolvibili nell'invitante palestra di preziosità puramente pianistiche. Pensiero e forza interiore riveleranno il mondo ideale del primo tempo; poesia, sensibilità, purezza di ideali faranno del secondo tempo un canto che penetrerà nelle menti e nei cuori; personalità, dominio e misura stilistica, cultura non empirica ed istintiva potranno esprimere il messaggio impetuoso e prezioso del terzo movimento.

Gabriele d'Annunzio in una lettera a Martucci, dopo l'ascolto del Concerto da lui eseguito, scrisse: «Caro e grande Maestro, avrei voluto stringervi le mani, prima di partire, e dirvi la mia riconoscenza profonda per le belle ore di gioia che avete dato oggi alla mia anima attenta. Ma l'angustia del tempo m'impedisce di venire di persona a rendervi grazie. Il veemente soffio lirico che agita il vostro Concerto è degno d'un alto poeta. Voi avete sollevato alla più pura gioia la moltitudine che riempiva il teatro; e bisogna veramente rallegrarsi dell'esempio che dà questa nobilissima città di Bologna. Grazie ancora una volta, caro e grande maestro. "Ars severa gaudium magnum". Credete al mio affetto fraterno».

Folco Perrino


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorium Parco della Musica, 4 aprile 2009


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Ultimo aggiornamento 2 gennaio 2016