Antigone, op. 55 (MWV M12)

Musica di scena per coro maschile e orchestra

Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
Testo: Sofocle, traduzione tedesca di Jacob Christian Donner
  1. Introduzione - Andante maestoso (do minore)
  2. Strah des Helios schunstes Licht - Maestoso (do maggiore)
  3. Vieles Gewaltige lebt und - Andante con moto (la maggiore)
  4. Ihr Sligen, deren - Moderato (fa maggiore)
  5. O Eros Allsinger im Kampf - Adagio (sol maggiore)
  6. Noch toset des Strurmes Gewalt ... Auch der Danae Reiz - Recitativo e coro (mi minore)
  7. Viel mamiger! Wonn' und Stolz der - Allegro maestoso (re maggiore)
  8. Hier kommt er ja selbst - Andante alla marcia (mi bemolle maggiore)
Organico: tenore, basso, doppio coro maschile, voce recitante, orchestra
Composizione: Berlino, 10 ottobre 1841
Prima esecuzione: Potsdam, Schloßtheater, 28 ottobre 1841
Edizione: Kistner, Lipsia, 1841
Dedica: Federico Guglielmo IV di Prussia
Guida all'ascolto (nota 1)

Mendelssohn è stato definito il più classico dei musicisti romantici in quanto la sua arte assorbì dallo stile definito classico l'amore per le forme chiare e luminosamente equilibrate del linguaggio musicale e nello stesso tempo fu sensibile alla poetica del fantastico e dell'irreale che fermentava con brillantezza e vivacità di accenti nel Romanticismo tedesco. È vero che la sua fedeltà alle regole del classicismo lo spinse alcune volte, nei momenti meno sorretti dall'invenzione creatrice, verso un accademismo di maniera, ma pur tuttavia egli si preoccupò sempre di esprimere sinceramente e onestamente nelle sue composizioni i sentimenti del cuore. Secondo l'autorevole musicologo Alfred Einstein, il fatto che nella musica di Mendelssohn appaia frequentemente nei movimenti allegri l'indicazione "con fuoco" oppure "appassionato" sta ad indicare un preciso gusto romantico, al quale però è estranea la drammatica, travolgente ed esaltante temperie della vita, comune ad altri artisti della sua generazione. La passionalità mendelssohniana rimane in superficie e non affonda mai nei tormenti e nei torbidi dell'anima romantica, perché si muove in un delicato clima fiabesco, disegnato con spontaneità e freschezza di idee musicali. In questo senso sono molte le pagine pianistiche, a cominciare dai Lieder ohne Worte (Romanze senza parole), cameristici e orchestrali, in cui il musicista raggiunse risultati di straordinaria efficacia estetica, dimostrando una sua specificità di artista dal temperamento elegiaco, intendendo questo aggettivo nel significato attribuitogli da Schiller nel suo saggio "Della poesia ingenua e sentimentale". Secondo Schiller la forma dell'elegia è l'espressione più alta dell'arte come sentimento, in cui si raggiunge la sintesi tra commozione individuale e idealizzazione della realtà. E questi due aspetti, l'adesione semplice e immediata ad una determinata situazione psicologica e nello stesso tempo la trasfigurazione e la proiezione del mondo reale in una dimensione di assoluta fantasia costituiscono le due direttrici entro cui si muove la musica di Mendelssohn, sempre sensibile ai richiami dell'arte classica, da Eschilo a Sofocle e a Racine, senza dimenticare il grande teatro di Shakespeare e del contemporaneo Goethe, oltre alla produzione fiabesca della vecchia Germania, secondo una scelta politico-letteraria privilegiata dal pensiero romantico.

In questo contesto un esempio significativo del modo di sentire mendelssohniano l'antico classicismo viene offerto dalle musiche di scena dell'Antigone scritte nel 1841 per l'omonima tragedia di Sofocle ed eseguite con successo il 28 ottobre dello stesso anno a Potsdam. Il lavoro, che si compone di sette scene e di una introduzione orchestrale con pezzi corali, secondo la concezione tedesca del melodrama in cui si alternano recitazione e musica, è dedicato a Federico Guglielmo IV di Prussia, il re che aveva nominato presidente dell'Accademia di Belle Arti di Berlino il musicista, verso cui nutriva una sincera ammirazione. Il soggetto è ricavato dall'omonima tragedia di Sofocle ed è improntato a quella concezione poetica di severa compostezza, tra il religioso e il mitico, tipica della visione dell'arte di questo scrittore greco. Per capire la figura di Antigone è opportuno conoscere la storia di Edipo, uno dei personaggi più complessi e discussi della tragedia greca. Egli, figlio di Laio re di Tebe, della stirpe regale di Làbdaco, fu travolto da una sorte maledetta e di spaventosa crudeltà. Per bocca dell'oracolo era giunta a Laio una voce divina a dirgli che sarebbe morto un giorno per mano di suo figlio, che non era stato ancora concepito. Così avevano decretato gli dei, forse per antica Vendetta contro il sangue di Làbdaco, colpevole di misteriosi e oscuri misfatti. La punizione divina procede per gradi e un po' alla volta assume proporzioni terribili e devastanti. Durante una rissa provocata, sembra, da un atto di superbia Edipo (che non sa chi sia suo padre) uccide Laio, senza riconoscerlo; sposa la moglie di quest'ultimo, Giocasta, sua madre e conquista la corona di Tebe sciogliendo l'enigma della Sfinge. Proclamato re, Edipo visse alcuni anni tranquilli e felici con Giocasta, da cui ebbe quattro figli: due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Ismene e Antigone. Naturalmente essi erano figli e fratelli di Edipo e quando la verità fu svelata Giocasta si uccise, impiccandosi, ed Edipo si accecò con le proprie mani e venne bandito da Tebe. Sia Ismene che Antigone cercarono di non abbandonare completamente a se stesso il vecchio padre cieco e colpito da tante sciagure, mentre i due fratelli, Eteocle e Polinice, cominciarono ad odiarsi per la conquista del trono di Tebe. Da principio pensarono che sarebbe stato meglio che la corona di Tebe fosse andata a Creonte, fratello di Giocasta, quasi per paura di occupare il posto che era stato di Edipo. Ma l'ambizione per ottenere il trono spazzò via ogni altro pensiero ed ecco scatenarsi una furibonda lotta tra i due fratelli. Eteocle mette al bando Polinice, il quale, giunto esule ad Argo, sposa la figlia del re Adrasto e si mette alla testa di sette eserciti per andare all'assalto di Tebe e scacciarne il fratello, usurpatore della corona. Polinice, dopo furiosi combattimenti davanti alle sette porte di Tebe, non riuscì ad espugnare la città; allora decise di sfidare a singolare tenzone il fratello: una lotta all'ultimo sangue, conclusasi con la morte di entrambi. In tal modo si compiva la maledizione lanciata ai figli da Edipo, prima di morire a Colono. A questo punto l'autoritario e potente Creonte, nuovo re di Tebe, emana l'ordine di non concedere sepoltura a Polinice, perché ha combattuto contro la sua città. Ma Antigone, espressione della pietà umana e di quel senso religioso della vita che è una delle componenti del pensiero drammaturgico di Sofocle, si rifiuta di accettare l'ordine di Creonte ed esce da Tebe per seppellire il cadavere del fratello, abbandonato agli assalti dei cani e dei corvi. Le guardie di Creonte la sorprendono mentre sta compiendo da sola il rito pietoso e la conducono davanti al re. Questi, appellandosi alle leggi dello Stato, condanna Antigone ad essere sepolta viva dentro una caverna, dove la donna si ucciderà impiccandosi con un lembo del vestito. Alla morte di Antigone segue il suicidio di Emone, figlio di Creonte e promesso sposo della stessa Antigone, e la morte per dolore di Euridice, moglie del re di Tebe e madre di Emone. Creonte piange disperato sulla rovina della propria famiglia e sulla catastrofe abbattutasi sulla terra di Cadmo. Questa è in sintesi la storia collegata all'Edipo re e all'Antigone di Sofocle, alle quali opere si aggiunse in un secondo tempo l'Edipo a Colono: una trilogia drammatica tra le più potenti e sconvolgenti nella trattazione del rapporto tra la conoscenza umana e la volontà divina, anche se rappresentata secondo l'ideologia del paganesimo.

Dell'Antigone sofoclea Mendelssohn ha musicato integralmente le parti corali, in alcuni momenti collegate fra loro da brani recitati.

L'Antigone inizia con una introduzione orchestrale divisa in due parti: Andante maestoso e Allegro assai appassionato. L'Andante maestoso prorompe su un "tutti" dell'orchestra di notevole effetto per il suo carattere tragico. A mò di canone si inseriscono le viole raddoppiate dai fagotti, i violini secondi raddoppiati dai clarinetti e i violini primi raddoppiati dai flauti, formando un tessuto sonoro di estrema chiarezza strumentale. Ritornano le otto misure iniziali in cui i violoncelli e i contrabbassi, con il raddoppio dei fagotti, offrono con il movimento a crome staccate il loro sostegno ritmico all'orchestra. Un suono in crescendo sfocia nell'Allegro assai appassionato, caratterizzato da una lunga frase dei violini primi, raddoppiati dal primo clarinetto, secondo una linea di tensione espressiva esaltata dagli interventi perentori degli ottoni. L'Allegro assai appassionato termina su un accordo di sol maggiore dei soli fiati, da cui si diparte il coro ri. 1: tenori e bassi all'unisono, sostenuti dai legni e dagli ottoni, intonano una melodia di sapore diatonico, quasi un corale. Si avverte quindi un ritmo dattilico sino a quando la ripresa della melodia iniziale del coro non viene arricchita dalle figurazioni in arpeggio degli archi. Le parole cantate dal coro si riferiscono all'assalto alla città di Tebe e all'arrivo di Creonte, al quale gli dèi hanno affidato la responsabilità del nuovo corso degli avvenimenti. Creonte annuncia la morte in combattimento di Eteocle e Polinice; mentre il primo ha diritto a tutti gli onori perchè si è battuto per la sua terra, il secondo non merita la stessa sorte in quanto si è ribellato alle leggi della città. Il narratore, una figura che spiega e commenta i fatti, racconta che il corpo di Polinice ha avuto sepoltura per mano di una persona che le guardie non sono riuscite ad individuare. Creonte si mostra irritato per questo gesto ribelle. Si passa così al coro n. 2 (Andante con moto), dove i violini e i clarinetti insieme al coro intonano una melodia dolcemente effusiva, in un gioco di arabeschi sonori particolarmente suggestivi. Il narratore annuncia che è stata scoperta la persona che ha dato sepoltura a Polinice: è Antigone che viene condotta davanti a Creonte. Questi accusa Antigone di aver trasgredito con il suo gesto le leggi di Tebe, rese pubbliche da un editto. Antigone non nega quello che ha fatto: non c'è niente di male - ella sostiene coraggiosamente - a venerare i nati dalle stesse viscere di una sola donna e di un medesimo padre. «Non sono nata per odiare - dice Antigone a Creonte - ma per amare». Segue il coro n. 3 (Moderato), articolato su un intervento del basso e sulla risposta dello stesso coro sul lungo arpeggiato dei violini primi. Si passa ad un Allegro con fuoco, indicato da una melodia all'unisono del coro, sorretto dai tremoli degli archi e dalle uscite dei corni e dei fagotti, con una conclusione in recitativo. Le parole cantate dal coro n. 2 e dal coro n. 3 dicono del tragico destino che si abbatte su chi trasgredisce le leggi della patria. Nella scena successiva si assiste al contrasto fra Creonte e il figlio Emone, promesso sposo di Antigone. Creonte avverte che Antigone sarà rinchiusa viva in una caverna pietrosa ed Emone accusa il padre di essere spietato e pazzo, provocando altri lutti alla sua città. Si giunge così al coro n. 4, inframezzato dal racconto di Antigone, che accetta dolente la propria sorte di andare "a coabitare senza nozze con gli sventurati genitori". Il coro commenta con tristezza la discesa di Antigone nell'Ade, il regno dei morti. Musicalmente il coro n. 4 è formato da un Adagio non troppo, da un Allegro moderato e da un recitativo. Nel primo movimento si ascolta una melodia corale, inframezzata dagli interventi dei fiati. Nel successivo Allegro moderato l'orchestra si riallaccia alle ultime battute del coro, giungendo, attraverso varie progressioni, al recitativo di Antigone. Creonte è inesorabile e vuole che Antigone sia sepolta viva; Antigone sa che ormai è la fine per lei «poiché per essere pietosa - come dice - ho ricevuto empietà». Il coro n. 5 si apre con un recitativo seguito da un Allegro assai con brevi interventi dell'orchestra e da un Allegro serioso con il canto del coro in mi minore sulla "terribile potenza dell'arcano fato" e un discorso strumentale dai contorni sfumati e leggeri. A questo punto il vecchio vate Tiresia lancia la maledizione contro Creonte, annunciata dalla voce del narratore. Il coro n. 6 (Allegro maestoso) è una danza delle baccanti perché venga scacciata la maledizione sulla città di Tebe. Il brano è ben ritmato con squilli di trombe, corni e tromboni; diventa sempre più animato nel successivo Allegro assai vivace, affidato ai due cori e al gioco contrappuntistico degli strumenti, specialmente i violini primi e secondi. A questo punto il narratore rievoca gli avvenimenti accaduti nella terra di Cadmo: il gesto pietoso di Antigone per salvare il cadavere di Polinice dallo scempio dei cani; la morte crudele della stessa Antigone e il suicidio di Emone, suo promesso sposo. Il coro n. 7 è una marcia funebre (Andante alla marcia) drammaticamente efficace nel fluire solenne e naturale dell'orchestra e delle voci corali. Esso si conclude nel suggestivo Andante con moto maestoso in do minore che ha il significato di commiato della tragedia; l'orchestra muore su un pianissimo, sopra un lungo accordo di do minore. Creonte si dispera per la rovina della sua famiglia e soprattutto per la morte del figlio Emone; il narratore annuncia che anche Euridice, la moglie di Creonte, si è tolta la vita. Creonte si è reso consapevole che il male genera il male e grida in un clima di straziante trenodia: «Non posso sopportare la tremenda fatalità che si è abbattuta sulla mia testa». Lo spirito della tragedia greca aleggia veramente sulle ultime battute di questa Antigone sofoclea.

Ennio Melchiorre

I cori di Mendelssohn per l'Antigone di Sofocle

Le musiche corali che Mendelssohn ha scritto per una rappresentazione della tragedia di Sofocle Antigone saranno per molti una novità e una sorpresa. Di lui tutti conoscono le famose pagine del Sogno di una notte di mezza estate, così aeree, magiche, brillanti; nulla di più lontano da questa Antigone, severa e solenne rievocazione del rito della tragedia.

Attenendosi con scrupolo a quella, Mendelssohn ha musicato per intero soltanto quei brani corali che fungono da intermezzo tra un episodio e l'altro: in questo caso la parodo, il primo, il secondo, il terzo stasimo, il dialogo del coro con Antigone, il quarto stasimo, il quinto e la parte finale dell'esodo, con il compianto di Creonte.

Il coro, di soli uomini (come prescritto da Sofocle) è diviso in due gruppi fronteggiantisi, e la struttura in strofe e antistrofi che si rispondono è rispettata puntualmente. Il verso greco, tradotto in tedesco dal filologo Johann Christian Donner in un linguaggio petroso e arcaizzante secondo l'uso ottocentesco (un Pindemonte tedesco) è scandito quasi sempre in modo omofono dalla massa corale all'unisono. Così Mendelssohn inseguiva il sogno comune a tanti musicisti di tutte le epoche di far rivivere il mitico declamato ritmico della tragedia greca, di cui i filologi sanno restituirci il ritmo, ma, ahimé, non il suono. E volendo fare l'antico, come spesso succede, quest'Antigone suona stranamente moderna, né classica né romantica, qualcosa che per misteriosi canali sotterranei riemergerà cent'anni dopo nell'Edipo Re stravinskiano.

Marcello Panni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 2 febbraio 1986


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Ultimo aggiornamento 16 febbraio 2014