Nel 1846 Mendelssohn lavorò con dedizione esigente e febbrile (il poeta Julius Schubring, mediocre, a dire la verità, ne fece le spese, tra ripensamenti e cancellazioni) all'Elias per consegnarlo in tempo al festival corale del 1847 a Birmingham in Inghilterra. Qui l'Elias ebbe un'accoglienza trionfale, che fu l'estremo successo del grande artista. Mendelssohn morì pochi mesi dopo, a trentotto anni, e l'Oratorio Christus, progetto maggiore cui egli aveva già messo mano, restò per gran parte incompiuto.
All'Elias Mendelssohn aveva cominciato a pensare subito dopo il Paulus (Düsseldorf, 22 maggio 1836), dunque dieci anni prima di concluderlo. Ma concetto poetico e forma musicale tardarono a definirsi. Nell'idea di un Oratorio biblico Mendelssohn sentiva, evidentemente, una certa responsabilità non solo artistica e culturale ma anche spirituale. Egli, infatti, era cresciuto, sì, nella fede luterana (si era convertito il padre Abraham), sentiva forte e attivo in sé il valore della tradizione sinfonica-corale tedesca e protestante, ma apparteneva pur sempre a una nobile famiglia ebrea, illuminata due generazioni prima niente meno che da Moses Mendelssohn, il filosofo razionalista, intimo amico di Lessing (Bartholdy, che Abraham aveva aggiunto, era il cognome di famiglia di sua moglie, madre di Felix).
L'argomento dell'Elias, dunque, la figura del grande profeta, gli inni di lode all'Eterno e le invettive contro i pagani dovettero essere per Mendelssohn, per i suoi ricordi infantili e per i suoi affetti familiari, non solo un impegno creativo puramente artistico, ma anche un'occasione di esprimere un legame intcriore col passato religioso dei suoi (noteremo che, almeno una volta, abbiamo di ciò la prova sulla pagina). Ma, ripeto, Mendelssohn era e si sentiva, nell'animo e nella mente, un cristiano, un musicista tedesco 'classico' ma dei suoi tempi, un sano e laborioso borghese della sua patria. Dunque, l'adeguatezza delle forme tradizionali alla nuova sensibilità estetica del Romanticismo era per lui, come per gli altri grandi suoi amici e colleghi nell'arte, la legge del lavoro.
Nel caso dell'Elias, lavoro pienamente maturo, le incertezze e le difficoltà principali le pose a Mendelssohn, come vedremo subito, la questione stringente della forma moderna dell'Oratorio vocale e corale.
Gli accadimenti e i personaggi dell'Ellias di Mendelssohn sono storici in gran parte.
Alla morte di Salomone nel 931 a.C. il regno di Israele si divise in due metà, quella del nord, propriamente Israele, con le capitali Tirsa e poi Samaria, e quella del sud, la Giudea, con capitale Gerusalemme. Circa un secolo dopo il nord, durante il regno di Acab (Achab) e della sua sposa fenicia Gezabele (Jezabel) cadde preda del paganesimo politeista e dell'idolatria di Baal. Dalla Giudea entrò in Israele il profeta Elia fedele ai padri, furente accusatore dell'empia coppia regale e del culto sanguinario di Baal. Alle vicende di Elia, del discepolo Eliseo e dei loro regali persecutori sono dedicati i capitoli dal diciassette al diciannove del Primo libro dei Re dell'Antico Testamento, che il libretto di Schubring riproduce, fino all'ascesa in cielo di Elia e alla glorificazione del vero Iddio. L'ignoto autore del Libro dei Re disprezza senza limite Acab e la sua sposa, che forse nella vera storia furono sovrani crudeli sì (come gli altri) ma non inetti.
Il libretto è una tessitura di frasi e versetti biblici vetero e neotestamentari per lo più riportati alla lettera e collegati tra loro da poche righe descrittive o narrative di Schubnng (il testo tedesco riproduce abbastanza fedelmente la gloriosa traduzione di Lutero, che gli ascoltatori tedeschi protestanti sapevano a memoria).
Nato in Italia in epoca barocca, l'Oratorio, di argomento religioso soprattutto (poteva intitolarsi Dramma sacro o Cantata da chiesa, o altro), ma anche di argomento profano e allegorico, - l'Oratorio, dicevo, dalla fine del Seicento ebbe un grande sviluppo nei paesi protestanti e a Vienna. Ne favorirono la diffusione il moltiplicarsi delle società corali di professionisti e di dilettanti, l'educazione comune alla musica strumentale e alla polifonia sinfonica e vocale, la diffidenza della cultura luterana agli spettacoli mondani e, infine, le esigenze delle festività lungo l'anno liturgico (questo valeva anche per l'Italia cattolica dove le autorità chiudevano i teatri per le feste maggiori e la musica taceva, se non c'era altro modo di cantare fuori della scena).
Come sappiamo, con J. S. Bach (le sue meravigliose Passioni sono veri Drammi sacri), con Händel, in ultimo con Haydn (con le sue Stagioni arriviamo al 1801) il genere dell'Oratorio giunse alla perfezione formale e al massimo della complessità espressiva. Quindi nell'Ottocento tedesco Händel e Haydn e, dal 1829, la Passione secondo San Matteo di Bach si imposero come modelli naturali e necessari del genere, con i rischi di astrazione formalistica e di manierismo dello stile solenne (rischi a cui non si sottrassero né i minori, per esempio L. Sphor con l'enorme Das jüngste Gericht, 1811, né i maggiori: forse sta a sé solo il Lazarus di Schubert, 1820, splendido e incompiuto).
Su questo seppe riflettere il coltissimo e acuto Mendelssohn e ricreò il genere 'Oratorio' rispettandone, sì, le leggi esterne, ma rinnovando con sensibilità romantica (che sempre in Germania fu anche responsabilità storica di tecniche e di stili del passato) il sinfonismo, la vocalità lirica, l'impianto drammatico. Neppure l'amico Schumann ebbe differenti intenzioni nel suo primo lavoro sinfonico-corale (Das Paradies und die Perì, 1843): ed egli poi seppe nutrirsi dello spirito di attiva fedeltà che anima l'Elias di Mendelssohn.
Di uno spirito siffatto ben più che il Paulus è prova l'Elias, sulla cui architettura tanto si dette pensiero Mendelssohn, da giungere, alla fine, a una decisione molto originale ma non del tutto felice. Per ottenere continuità e unità anche esteriormente perfette egli eliminò dal suo Oratorio il tradizionale elemento epico-narrativo, cioè la parte del cosiddetto 'storico', colui che racconta o spiega agli ascoltatori gli avvenimenti tra un episodio e l'altro. Sì che la sequenza ininterrotta di Arie, Cori, Recitativi drammatici e mai narrativi segno, certo, di solida unità di concezione, provoca in chi ascolta qualche disorientamento sul contenuto degli episodi e sulle connessioni. Ma in genere a qualunque attesa provvede la concentrata forza dell'invenzione tematica e del canto, qui massima tra tutti i lavori di Mendelssohn.
Con un'idea formale sorprendente, l'Oratorio si inizia con un breve declamato di Elia. Il personaggio principale è subito davanti a noi, forte e autoritario, un autentico profeta biblico. Egli maledice l'empietà del suo paese («Come è vero che vive il Signore, Dio d'Israele, al cui servizio io sto, in questi anni non cadrà né rugiada né pioggia, io lo dico»), in uno stupefatto silenzio (legni e ottoni in piano), che diventa terribile frastuono (fortissimo di tutti i fiati) con la profezia della siccità: la voce scende da do a do diesis percorrendo due volte il sinistro intervallo di quarta eccedente («weder Tau noch Regen», discesa da do a fa diesis, «kommen» giù, lentamente, da sol a do diesis). Il tono è inesorabile, la nostra impressione enorme e tale da orientare tutto l'ascolto: sapremo della inflessibilità del Signore contro gli empi per bocca del suo santo. Conosceremo poi anche la misericordia divina e la bontà.
Da qui si può compendiare il contenuto dell'Elias in otto parti
narrative maggiori, ognuna di estensione molto differente, entro le
quali si svolgono gli episodi:
Come ho detto, la prima esecuzione dell'Elias fu al festival corale di Birmingham, il 26 agosto 1846. Poco più di anno dopo, il 4 novembre 1847 a Lipsia, dopo una breve malattia Mendelssohn improvvisamente morì. Nel funerale erano accanto al feretro Schumann, Niels Cade, Ignaz Moscheles, Ferdinand David, Moritz Hauptmann. Tre giorni dopo la salma fu portata a Berlino e sepolta. Nelle cerimonie di compianto, in Germania e in Austria, da per tutto risuonarono i Cori e le Arie dell'Elias.
Franco Serpa
Concepito da Mendelssohn già nel 1836 all'indomani dell'enorme successo del Paulus, il progetto dell'Elias si concretò soltanto nel 1845 su commissione del festival di Birmingham, che ne ospitò la prima esecuzione, diretta dall'autore il 26 agosto 1846 e risoltasi in un autentico trionfo. Per il testo Mendelssohn si era servito di passi biblici scelti in collaborazione con l'amico pastore Julius Schubring, e la musica composta su questo libretto tedesco venne via via adattata alla traduzione inglese, preparata da William Bartholomew, tanto che si può parlare di due versioni di autenticità sostanzialmente uguale (Elias, tedesca, ed Elijah, inglese). Testimonianza imponente della maturità artistica di Mendelssohn, l'Elias è il documento capitale della rinascita, in piena stagione romantica, della grande tradizione oratoriale del protestantesimo tedesco e inglese, rappresentata dai capolavori di Handel e di quel Bach che proprio Mendelssohn aveva fatto riscoprire con la prima esecuzione moderna della Passione secondo Matteo. Per Mendelssohn, nato da famiglia ebrea, protestantesimo e germanicità faranno un'identità culturale tutt'altro che scontata, e di cui il musicista sembrò affannarsi a cercare le radici: di qui il recupero della drammaticità astratta delle Passioni e degli oratori händeliani, e l'approdo sicuro alle poderose strutture del contrappunto accademico realizzati nell'Elias con una sicurezza e un'organicità di risultati assai superiori sia al Paulus che all'incompiuto Christus. La figura del protagonista, il grande profeta debellatore dell'idolatria diffusa in Israele sotto il regno di Achab, ben m presta alla creazione di un personaggio musicale autentico, dotato di vera vita, come fin dalla prima concezione dell'oratorio Mendelssohn aveva sognato. Ciò vale anche per le figure di contorno, affidate agli altri solisti: dalla dissoluti regina Jezebel alla Vedova, all'ardente giovane Obadjah. La vicenda è imperniata sui due prodigi destinati a confondere i seguaci di Baal: il fuoco miracolosamente acceso sotto la vittima offerta da Elia anziché sotto quella immolata' dai pagani, e il ritorno della pioggia dopo la lunga siccità invocata dal profeta per punire l'infedeltà di Israele.
Molte le occasioni per soluzioni di drammaturgia musicale ispirate all'esempio di Bach, e ancor più per quelle che si ispirano a Handel: possenti sillabazioni dei cori, rilievo plastico del declamato, arie di generosa espansione melodica, sintesi storica con il corale e i grandi edifici contrappuntistici, colpi di scena a grande effetto, come quello, tipicamente handeliano, dell'arrivo della pioggia (Recitativo con coro: Andante sostenuto). Fra gli episodi più toccanti della prima parte dell'oratorio sono da segnalare quelli delle invocazioni dei sacerdoti a Baal (Recitativo e coro: Allegro molto) e quello seguente della semplice preghiera di Elia (Aria: Adagio) "Herr Gott Abrahams" (Dio di Abramo). Più lirica si presenta invece la seconda parte, comi si avverte nell'aria del soprano "Höre Israel" (Ascolta Israel) col potente coro che le risponde (Aria: Adagio, Recitativo-Coro: Allegro maestoso ma moderato), nell'intima aria di Elia (Adagio) "Es ist genug" (Basta!), nell'ispirato terzetto per voci femminili (Andante con moto) "Hebe deine Augen auf" (Leva i tuoi occhi). Il coro, durante tutto l'oratorio, ora partecipa all'azione, come quando dà voce all'invocazione dei preti di Baal (prima parte, Coro: Andante grave e maestoso - Recitativo e coro: Allegro - Recitativo e coro: Allegro molto) o esulta per il miracolo della pioggia (Coro finale della prima parte: Allegro moderato ma con fuoco), ora celebra semplicemente la fede in Dio, come in "Wer bis ans Ende behart" (Chi persevera sino alla fine, Coro: Andante sostenuto).
Uno spazio di dieci anni separa il primo dal secondo oratorio di Mendelssohn, Paulus da Elias. La prima esecuzione di Paulus - al Festival del Basso Reno di Düsseldorf il 22 maggio 1836 - aveva interrotto il lungo silenzio dei compositori della giovane generazione romantica in materia di oratorio. O meglio, era dal tempo dei due grandi oratori di Haydn - Die Schöpfung (La creazione del 1799) e Die Jahreszeiten (Le stagioni del 1801) - che non venivano scritti in terra tedesca altri lavori notevoli in questo ambito creativo. Al genere oratoriale erano stati sostanzialmente refrattari tanto Beethoven che Schubert (quest'ultimo attratto però irresistibilmente dal teatro d'opera), mentre esiti non memorabili avevano lasciato autori "minori" come Ludwig Spohr e Friedrich Schneider.
Non è un caso che il primo musicista convinto dell'opportunità di raccogliere e tenere alta la fiaccola lasciata cadere da Haydn fosse proprio Mendelssohn. Rientravano in questa precisa scelta sia motivi di ordine personale che formativo. Proveniente da una famiglia di origine ebraica ma convertita al culto riformato, Mendelssohn avvertì sempre in modo pressante il problema religioso; la storia di Paolo, ebreo folgorato sulla poi proverbiale via di Damasco e autentico diffusore del verbo cristiano, doveva apparire al musicista come la logica proiezione delle sue vicende familiari.
Ma era poi la formazione musicale di Mendelssohn a fargli guardare con attenzione a un modello che ai compositori della sua generazione poteva apparire obsoleto. Il viaggio in Italia del 1830-31 gli aveva rivelato la tradizione polifonica palestriniana e lo aveva portato alla creazione di alcune pagine corali - i Tre pezzi sacri op. 23, il salmo «Non nobis, Domine» e il corale tedesco «O Haupt voli Blut und Wunden», fra gli altri - che costituiscono altrettanti studi sulle possibilità di trattamento multiplo del gruppo corale.
Inoltre, come nessun altro compositore del suo tempo Mendelssohn conosceva e amava la musica del passato. Era stato Carl Friedrich Zelter - a partire dal 1819 suo insegnante di teoria e composizione, nonché compositore di qualche merito come liederista e consigliere musicale del vecchio Goethe, al quale volle presentare il piccolo Mendelssohn - a infondere in Felix il culto per Händel, per Bach, per la musica corale antica. Senonché quella che per Zelter era una passione antiquaria, da "erudito" di altra epoca, doveva trasformarsi per Mendelssohn nella scoperta della Storia con la maiuscola, cioè della possibile attualità della musica del passato, concetto che era sostanzialmente sconosciuto nelle epoche precedenti e che si traduceva anche nella rivendicazione di una identità musicale autenticamente "tedesca".
Basterebbe considerare, a questo proposito, l'attività svolta da Mendelssohn come direttore d'orchestra e divulgatore dei grandi oratori barocchi. Del 1829 è la storica riesumazione della Passione secondo Matteo di Bach, a Berlino; vennero poi le partiture di Händel: Israel in Egypt e Alexander Feast nel 1833, The Messiah, Dettingen Te Deum e Judas Maccabeus nel 1834, e Solomon nel 1835. Logico che le influenze dei due grandi modelli venissero in qualche modo riplasmate all'interno di Paulus, sia in termini di scelte stilistiche - il trattamento di voci solistiche e coro, l'inserimento di corali luterani - sia in termini di impianto costruttivo - il carattere drammatico dell'oratorio, interrotto da pagine riflessive.
Il successo travolgente arriso a Paulus in terra britannica, dopo l'esecuzione di Liverpool del 1837, doveva essere all'origine della decisione di dar vita a un nuovo oratorio. Per un aiuto nella stesura del libretto e nella stessa scelta del soggetto Mendelssohn si rivolse dapprima a Karl Klingemann - suo amico residente a Londra, nonché traduttore in inglese di Paulus e traduttore in tedesco degli oratori di Händel - proponendogli quale protagonista San Pietro, Elia o magari qualche altro personaggio biblico, che animasse un libretto non ancora ben definito nel suo carattere; «Puoi scriverne uno drammatico, come il Maccabeus, oppure epico, o anche una via di mezzo tra i due; per me va bene. Non devi chiedermi nulla». Tanta fiducia però non riuscì a scuotere le diffidenze di Klingemann; Mendelssohn aveva ricevuto in visione, inoltre, due inadeguati libretti sul soggetto di Elia da parte di due letterati inglesi (Charles Greville e l'ecclesiastico James Barry) e temeva dunque di essere preceduto da qualcun altro su quella strada.
Sfumata la prospettiva della collaborazione con Klingemann, Mendelssohn ripiegò sul suo consulente teologico, il pastore Julius Schubring, già collaboratore per Paulus; nel corso di un denso carteggio, nel 1838, si definì nella mente del compositore la traccia essenziale del nuovo oratorio. Eppure l'anno seguente questo tema sembrò venire meno negli interessi dell'autore, per tornarvi solamente nel 1845, quando il comitato organizzatore del Festival di Birmingham lo incaricò della direzione della successiva edizione della manifestazione nonché della stesura di un nuovo oratorio.
L'entusiastica accettazione provocò nuovi contatti con Schubring e la definizione del libretto, tradotto poi in inglese da William Bartholomew; la partitura venne terminata all'inizio dell'estate 1846.
La prima esecuzione avvenne il 26 agosto 1846 a Birmingham riscuotendo un pieno successo, grazie anche al contributo di un prezioso cast vocale (il celebre soprano Maria Caradori-Allan, il contralto Maria Hawes, il tenore Charles Lockley e il basso Joseph Staudigl). Trionfale fu l'accoglienza della prima esecuzione a Londra, il 16 aprile 1847, alla presenza della regina Vittoria e del principe Alberto. Quest'ultimo inviò all'autore un libretto con una eloquente dedica: «Al nobile artista che, circondato dal culto idolatra di un'arte menzognera, è arrivato, grazie al suo genio e al suo lavoro, a preservare l'arte veritiera, come un novello Elia, e a riabituare il nostro orecchio ai suoni puri di una sensibilità evocatrice e di una giusta armonia, fuori dal tumulto insano di un banalità musicale - al gran maestro che svolge davanti a noi tanto i più dolci mormorii quanto il maestoso scatenarsi degli elementi, secondo il sereno sviluppo del suo pensiero». Parole che lasciavano presagire la fortuna che sarebbe toccata all'oratorio in Gran Bretagna, dove ebbe diffusione assai maggiore che nei paesi tedeschi. A quella esecuzione e a quella dedica Mendelssohn non doveva sopravvivere che poche settimane.
«In un soggetto come l'Elias mi pare che dovrebbe predominare l'elemento drammatico, come in tutti quelli tratti dal Vecchio Testamento - con l'eccezione forse di Mosè. I personaggi dovrebbero parlare e agire come esseri umani in carne ed ossa; per amor del Cielo, non facciamone un affresco musicale, ma un ritratto del mondo reale, come quelli che si trovano in ogni capitolo del Vecchio Testamento». Queste le parole inviate da Mendelssohn a Schubring nel 1838, nel corso dei lunghi scambi epistolari sul libretto dell'oratorio. Parole assai significative, che indicano chiaramente una precisa scelta dell'autore.
A differenza di Paulus manca in Elias il racconto in terza persona dell'azione ad opera di uno storico, mentre sono gli stessi personaggi a vivere lo sviluppo della vicenda. Mendelssohn, insomma, evita il modello delle Passioni di Bach - dove la figura dello storico è centrale - e si richiama compiutamente piuttosto agli oratori di Händel, dove lo storico è assente e l'azione è drammatizzata. D'altra parte non mancano nella partitura le pagine contemplative, in cui al racconto narrativo si sostituisce la riflessione su questo o quell'aspetto della vicenda. E proprio il taglio librettistico non perfettamente calibrato di questa alternanza fra momenti dinamici e pagine riflessive è all'origine delle critiche che più hanno colpito la partitura di Mendelssohn.
La quale partitura è di per sé ricchissima. Vi è intanto da parte dell'autore l'impegno ad ampliare le parti solistiche rispetto a Paulus, impegno che era la logica conseguenza della scelta della drammatizzazione. Abbiamo così i personaggi principali delineati all'interno di arie molto caratterizzate. La figura del profeta (basso) viene definita dall'aria "di furore" della prima parte (n. 17: «Ist nicht des Herrn Wort wie ein Feuer») e da quella dolente della seconda parte (n. 26: «Es ist genug!») come dai numerosi recitativi incisivi e scultorei. Si affiancano le caratterizzazioni di Obadia (n. 4), della Vedova (n. 8), della Regina (n. 23), dell'Angelo (n. 31). Ma largo spazio agli interventi solistici è anche quello delle arie "contemplative", non personalizzate.
Soprattutto però Elias è una partitura corale, in cui Mendelssohn riplasma tutti i suoi studi sulla coralità antica, per dar nuova vita alle tecniche del passato. Gli intrecci trasparenti della polifonia palestriniana si affacciano ripetutamente. Abbiamo poi la tecnica del Doppio Quartetto (n. 7) del Terzetto a cappella (n. 28) e il ricorso al Corale (vedi il n. 5 e il n. 15), che imprime una caratterizzazione protestante all'oratorio. Non mancano ovviamente le elaborazioni fugate di stampo bachiano. Tutte queste tecniche, peraltro, non sono nettamente separate, ma piuttosto rielaborate in uno stile personalissimo, che risente nella sua logica duttile, variata e insieme spettacolare, dell'esempio di Händel. Senza questo illustre modello sarebbe impensabile, ad esempio, una delle pagine più efficaci di tutta la partitura, l'invocazione senza risposta al falso dio Baal da parte del popolo idolatra (n. 13).
La struttura narrativa dell'oratorio può essere divisa in quattro blocchi per ciascuna delle due parti, con l'aggiunta di un preambolo e di una conclusione. La prima parte si apre in modo inconsueto, con un recitativo del profeta che lancia la sua maledizione; il tema ritmico di questo episodio si innesta profondamente nell'ouverture che segue. Dopo questo preambolo abbiamo il primo blocco di numeri musicali, nn. 1-5: con la successione di Coro-Duetto-Recitativo-Aria-Coro troviamo la disperazione del popolo ebreo per la situazione di siccità. Il secondo blocco, nn. 6-9, costituisce il miracolo della guarigione del figlio della Vedova, ad opera della implorazione del profeta. I nn. 10-16 sono dedicati invece al miracolo del fuoco, con la sconfitta dei falsi profeti di Baal e il trionfo di Elia e del vero Dio. I nn. 17-20 illustrano il miracolo della pioggia e chiudono la prima parte con il poderoso inno di ringraziamento.
La seconda parte si apre con un episodio di riflessione (nn. 21-22); esortano alla fede l'aria del soprano e il seguente coro. Il secondo blocco della seconda parte è il più massiccio (nn. 23-31) e illustra la collera della regina Gezabele e la fuga di Elia verso il deserto, la sua disperazione per non essere riuscito nella sua missione, poi la convocazione sul monte (mirabile e celebre è l'aria n. 31 del soprano «Sei stille dem Herrn»). Segue, con i nn. 32-38, la manifestazione di Dio al profeta e la sua ascensione al cielo, episodio che trova i suoi culmini nei plastici cori nn. 35 e 38. I nn. 39-41 sono un'ulteriore meditazione, condotta attraverso l'aria del tenore e il coro che sfocia nel quartetto di voci sole. Chiude la partitura il coro n. 42, pagina di grande dinamismo e spettacolarità, ascoltando la quale non è difficile identificare lo stesso ritmo (o meglio una variante) della "maledizione" che aveva aperto l'intero oratorio e innervato l'ouverture. Un prezioso indizio che la partitura di Elias si nutre anche di una ferrea logica interna, di corrispondenze sotterranee; causa non ultima dell'ammirazione di cui ha goduto questo estremo monumentale capolavoro della creatività di Mendelssohn.
Arrigo Quattrocchi
Poco dopo aver diretto, il 22 maggio 1836 a Düsseldorf, il suo primo oratorio, il Paulus, del quale aveva avviato la composizione nel '32, Mendelssohn, in una lettera all'amico Carl Klingemann, manifestava di avere altri progetti in quel campo, accennando alla possibilità di compore un Elia, un San Pietro, oppure un Og di Basan. Di questi ultimi due titoli Mendelssohn non si occupò più; dell'Elia, viceversa, cominciò subito a interessarsi: ci sarebbero voluti dieci anni, però, prima che l'Elia (Elijah nell'originale inglese, Elias nella versione tedesca) fosse compiuto. Subito dopo l'immenso successo del Paulus Mendelssohn si fidanzò e come dono di nozze chiese a Klingemann «il testo per un oratorio biblico»: «Potrai darvi un carattere drammatico, come per il Giuda Maccabeo [di Händel], oppure epico, o ambedue le cose insieme. Non dovrai chiedermi consiglio». Poi Klingemann si trasse indietro; a Mendelssohn non rimase che provvedere egli stesso a disporre i brani biblici scelti per lui dal pastore Schubring, vecchio amico di famiglia, in un libretto d'oratorio. Fra quest'ultimo e il musicista corse un intenso scambio di lettere, che rivelò non poche discordanze di vedute: a Mendelssohn interessava privilegiare anzitutto il lato drammatico del soggetto; a Schubring premeva salvaguardare quello spirituale e religioso, sì da conferire al nuovo oratorio un carattere edificante. Replicava Mendelssohn: «In un soggetto come quello dell'Elia l'elemento drammatico mi pare debba predominare, così come in qualunque soggetto tolto dall'Antico Testamento, tranne, forse, Mosè. I personaggi dovrebbero agire e parlare come persone reali: per amor del Cielo non ne facciamo una pittura musicale, ma un mondo autentico, quale si può trovare in ogni capitolo dell'Antico Testamento; e l'elemento patetico e contemplativo cui Ella tiene dovrebbe essere reso comprensibile completamente per mezzo delle parole e degli stati d'animo dei personaggi». Mendelssohn fu dunque costretto a far da sé, come meglio poteva. Fatto sta, però, che dell'Elia non si parlò più fino al 1845. In quell'anno Joseph Moore, l'infaticabile animatore del festival di Birmingham, si preoccupò di trovare una grande novità da offrire nell'edizione del 1846; così l'il giugno '45 il comitato del festival approvava una risoluzione dove si affermava: «sembra auspicabile al Comitato che si ottengano i servigi del Dr. Mendelssohn in qualità di direttore d'orchestra nel prossimo festival; e che gli si domandi di considerare la possibilità di fornire un nuovo oratorio, o altra musica, per l'occasione».
Mendelssohn, allora poco più che trentacinquenne, era ormai una celebrità, in Inghilterra non meno che in patria, e anzi proprio oltre Manica aveva trovato le più calorose manifestazioni di simpatia, da parer destinata a ripetersi con lui quella situazione che un secolo prima aveva fatto di Händel, benché «importato», un musicista nazionale inglese: nel '36, sempre a Birmingham, Paulus aveva fatto furore; nel '42 aveva suonato davanti a tremila persone plaudenti, la giovane regina Vittoria e il principe Alberto gli avevan fatto mille feste e carezze, dovunque le sue musiche avevano ottenuto accoglienze entusiastiche. Più che logico che il piatto forte di un festival venisse richiesto proprio a lui, e che egli accettasse con gioia. Non mancò, tuttavia, una riserva: «Tempo fa ho cominciato un oratorio, e spero d'esser capace di presentarlo per la prima volta al vostro festival; ma non sono rimasto che al principio, e ancora non posso in alcun modo promettere di terminarlo in tempo». Mendelssohn tornò a chiedere aiuto al vecchio Schubring per la scelta dei testi biblici, che provvide via via a musicare basandosi sul testo tedesco, passandoli poi per la traduzione a William Bartholomew: composto partendo da parole tedesche, l'Elia risultò tuttavia un lavoro su testi inglesi, poiché Mendelssohn non esitò, come testimonia la fitta corrispondenza con il Bartholomew, a modificare qua e là la stesura musicale per adattarla alla versione inglese corrente della Scrittura. Dal Bartholomew venne il suggerimento di premettere un'Ouverture all'oratorio, idea che Mendelssohn aveva dapprima scartato: il risultato fu, in certo senso, un compromesso, giacché all'Ouverture orchestrale Mendelssohn fece precedere, a mo' d'introduzione, uno scultoreo, breve recitativo di Elia, non volendo rinunciare all'idea di iniziare il suo oratorio sotto il segno della parola. Il lavoro procedette intensamente, in continua lotta con il tempo: più volte Mendelssohn, cui lo straordinario calore dell'estate del '46 arrecava grave disagio (probabilmente il suo fisico presentava già i segni dell'esaurimento e della malattia che avrebbero posto precocemente fine alla sua esistenza, di lì a poco più d'un anno), temè di non riuscire a completare il lavoro; ma il desiderio di soddisfare gli amici di Birmingham lo aiutò, e dedicandosi alla composizione con tutto se stesso («Ho fatto la vita di una marmotta», disse poi di questo periodo), giunse finalmente in porto.
Prima dell'esecuzione, ci fu da superare una buffa difficoltà, tirata in ballo dall'editore dell'Elia (Buxton, della Ewer & Co.), che si era accorto della somiglianza fra l'avvio di «O rest in the Lord», l'aria dell'Angelo al n. 31 della partitura, con una ballata scozzese, e proponeva di sopprimere il pezzo: Mendelssohn replicò che se anche così era, egli non l'aveva fatto certo apposta, e se la cavò con una piccola modifica, pur restando a lungo perplesso. Poi, il 26 agosto, si arrivò alla prima, diretta da Mendelssohn stesso nella Town Hall di Birmingham con il concorso di celebri solisti di canto. «Mai», scrisse il «Times», «si vide trionfo più completo; mai più profondo e pronto riconoscimento a una grande opera d'arte». E Mendelssohn stesso così scriveva al fratello il giorno dopo: «Nessun mio lavoro ha avuto esito così ammirevole alla prima esecuzione, né è stato accolto con pari entusiasmo, dai musicisti come dal pubblico, come questo oratorio. Fin dalle prime prove a Londra era stato evidente che esso piaceva loro, e che essi eran lieti di cantarlo e suonarlo; ma confesso che ero ben lungi dall'attendermi che esso avrebbe preso tanto fresco vigore e andar così bene all'esecuzione. Se soltanto tu fossi stato là! Per tutte le due ore e mezza della sua durata, le duemila persone nella gran sala, e la grande orchestra, sono state talmente intente a quest'unico oggetto che non si udiva il minimo rumore fra il pubblico, sicché io ho potuto guidare a mio piacimento l'immensa orchestra e il coro, come pure l'accompagnamento d'organo. Quante volte ho pensato in te in quel tempo! In particolare, però, quando si è arrivati al suono della pioggia copiosa [l'episodio al n. 19] e quando hanno cantato il coro finale con furore [in italiano], e quando, dopo la conclusione della prima parte, siamo stati costretti a ripetere tutto il brano. Sono stati ripetuti non meno di quattro cori e quattro arie, e in tutta la prima parte non c'è stato un solo sbaglio; ci furono alcune entrate in ritardo nella seconda, ma anche queste non furono niente di grave. Un giovane tenore inglese ha cantato l'ultima aria così stupendamente, che sono stato costretto a far appello a tutta la mia energia per non lasciarmi commuovere, e a continuare a suddividere il tempo alla velocità giusta. Come ho detto, se solo tu fossi stato là!». E riconoscimento graditissimo fu quello giunto da Buckingham Palace, per mano di un altro tedesco diventato inglese, il principe Alberto: «Al nobile artista che, circondato da un'arte falsa, devota a Balaam, seppe con il grande suo genio e con lo studio conservarsi fedele all'arte vera, come un altro Elia, e dall'ebbrezza di una musica frivola e vuota di senso avvezzare il nostro orecchio alla musica pura, seguace del sentimento e dell'armonia autentica, al grande maestro, che con la tranquilla finezza del suo pensiero suscita davanti a noi tutti i mormorii più dolci e le più possenti tempeste degli elementi - per memore rinoscenza». Il grande successo dell'Elia spronò Mendelssohn alla composizione di un terzo oratorio, Christus, ma non sarebbe mai giunto a finirlo. Con l'Elia la sua carriera si era virtualmente conclusa: riuscì ancora a comporre un Quartetto, il sesto; avviò un'opera, Loreley, che forse avrebbe potuto segnare un contributo importante alla storia del teatro musicale del Romanticismo tedesco; scrisse qualche pagina vocale e per coro, poi morì.
Elia resta quindi la testimonianza bellissima - e, vista con il senno di poi, anche un po' tragica - della maturità artistica cui Mendelssohn riuscì a giungere nell'arco di una vita breve ma intensa e di precoce sviluppo. In esso compaiono al meglio tutte le sue qualità di artigiano straordinariamente provetto - quasi un'eccezione, in un'epoca e in un clima culturale come quelli del Romanticismo tedesco - anche da un punto di vista puramente scolastico; abile ed energico dominatore della forma, saputa trattare con tutte le licenze che lo spirito del tempo naturalmente imponeva, ma senza il disagio e l'eroica fatica che segnano in modo così affascinante tanti tentativi, per esempio, di uno Schumann, e anzi con la disinvoltura di un classico. La sapiente e sensibilissima mano di strumentatore, la vigorosa maestria contrappuntistica, l'abile leggerezza della scrittura vocale si offrono quasi a ogni passo di questa ampia composizione al riconoscimento ammirato di chiunque. E non soltanto di un fatto di accademica dignità tecnica si tratta, che è impossibile non avvertire l'immediata felicità d'ispirazione anche dei brani più complessi o seriosi, non essere colpiti dall'efficacia drammatica delle sortite più apertamente narrative o descrittive (in questo senso, la decisione con la quale Mendelssohn difendeva le proprie intenzioni dagli scrupoli morali del buon pastore Schubring appare confermata a usura nei fatti: e non sarà un caso che al teatro, seriamente inteso, Mendelssohn avesse tentato di indirizzarsi, per la prima volta, proprio di seguito alla realizzazione dell'Elia). Tutto ciò trova ancor maggiore evidenza, peraltro, alla luce di ciò che l'Elia rappresenta nel contesto di una ben circoscritta esperienza mendelssohniana, che a sua volta costituisce nel suo complesso un fatto di straordinaria importanza nella storia della cultura musicale europea, e di una particolare presa di coscienza di essa nei confronti di un passato non lontanissimo e trascurato, se non negletto.
È indubbio infatti che il lascito di Mendelssohn trova una delle sue voci più preziose, accanto ai molti capolavori strumentali, proprio nel filone oratoriale, rappresentato concretamente dalla mutila trilogia Paulus - Elia - Christus. E ciò non solo o non tanto per il valore intrinseco di questi tre lavori (nonostante i grandi meriti, il Paulus non regge in complesso il confronto con il fratello più tardo; e così le parti del Christus che Mendelssohn riuscì a mettere su carta), quanto per l'assunto ideologico e storico che alla loro nascita presiedette; ossia l'impulso alla rinascita, in piena stagione romantica, della grande tradizione oratoriale del protestantesimo tedesco, incarnata nei capolavori di Bach e di Händel. Bach, com'è noto, era stato fin dall'infanzia uno dei grandi amori di Mendelssohn, che a diciott'anni si era messo con impegno a preparare quell'avvenimento straordinario che fu la prima ripresa, dopo i tempi di Bach, della Passione secondo Matteo, che egli diresse ventenne a Berlino nel 1829, e alla quale in gran parte dobbiamo il trionfale ritorno nella nostra cultura musicale del sommo compositore; quanto a Händel, i frequenti soggiorni in Inghilterra gli avevano dato occasione di familiarizzarsi con i più celebri oratori del Sassone, tuttora amatissimi dal pubblico d'oltre Manica. Il rapporto interiore di Mendelssohn con questi due maestri fu quanto mai intenso: nasceva da un lato da un'intima disposizione alla «cultura», viva e sentita in Mendelssohn forse più che in qualsiasi altro compositore di musica del tempo suo; dall'altro da un desiderio, ugualmente profondo, di rendere omaggio in prima persona a una sorta di nazionalismo, musicale e spirituale, che forse Mendelssohn, protestante di educazione e per convinzione sincera, ma ebreo e dunque in fondo apolide di origini, sentì il bisogno di rinforzare e riaffermare più volte davanti a se stesso prima ancora che di fronte agli altri. Nel tempo, questa aspirazione prese forma concreta, dopo il coraggioso omaggio della Passione riesumata, attraverso una serie di lavori come quella Sinfonia detta Riforma, e impropriamente catalogata come Quinta, mentre fu invece la seconda di quelle composte da Mendelssohn dopo l'adolescenza, che si nutrì abbondantemente di corale e di contrappunto, a testimoniare i precisi connotati linguistici di un tale dialogo spirituale con il passato, e poi il Paulus e la Sinfonia Lobgesang, grande cantata «su parole della Sacra Scrittura» composta nel '40, e appunto l'Elia. Nel quale Mendelssohn seppe meglio che altrove ricreare, beninteso con i mezzi tecnici e gli orizzonti spirituali suoi e del suo tempo, quel senso di dramma, non meno efficace che solenne, che in modi e significati differenti aveva percorso tanto gli oratori di Händel che le Passioni di Bach: quasi una sintesi fra una religiosità come quella riformata, che quasi non conosceva un impiego della musica in funzione espressamente liturgica, come avveniva invece per quella cattolica, e un'aspirazione drammatica più o meno consciamente nostalgica di un teatro vietato - solo nel caso di Bach - dal timore di compromissioni mondane. In più, il ricorso alle parole della Scrittura, anziché a un «libretto», concorreva a determinare la «germanicità» di un tale revival: poiché proprio nella versione tedesca della Bibbia approntata da Lutero la nazione aveva trovato il primo grande momento di aggregazione culturale, anche nel popolo, e la prima grande certezza della propria identità (non per caso, qualche decennio dopo Mendelssohn, un Brahms avrebbe creato un capolavoro di ispirazione religiosa, il Requiem tedesco, proprio «nach Worten der heiligen Schrift», «su parole della Sacra Scrittura»; a rivendicare l'arte sua non menò tedesca di quella, percorsa da ben altri misticismi, di un Wagner).
A tali assunti il soggetto dell'Elia, messo insieme, come s'è visto, con una certa difficoltà, si proponeva perfettamente adatto. Lo sbalzo della figura del protagonista, il grande profeta che sconfisse l'idolatria alla quale il popolo d'Israele si era abbandonato sotto il regno di Achab, ben si prestava a quella creazione di un personaggio autentico, dotato di vera vita, che fin dalla prima concezione dell'oratorio Mendelssohn aveva vagheggiato. Così le numerose figure di contorno, dalla dissoluta regina Jezebel alla Vedova, all'ardente giovane Obadiah. Ma tutte le linee della vicenda, imperniata sui due prodigi che confondono i seguaci di Baal (il fuoco miracolosamente acceso sotta la vittima immolata da Elia, e non sotto quella offerta dai pagani al loro dio, e quindi il ritorno della pioggia dopo la lunga siccità invocata da Elia a punire l'infedeltà del popolo verso Dio), dava largo spazio all'impiego di soluzioni musicali certamente mutuate dall'esempio dei due grandi: donde le possenti sillabazioni dei cori, il rilievo poderoso del declamato nei recitativi, l'espansione melodica delle arie, la grande sintesi del corale e dei complessi edifici contrappuntistici, i colpi di scena di grande effetto, come appunto quello, händeliano, della pioggia. Un uso generoso delle proprie risorse da parte di Mendelssohn, sempre temperato da quel senso della misura che ne fece il più tranquillo dei romantici, forma il pregio più vistoso dell'Elia: con quel lievissimo sospetto di accademia, di cedimento alle tentazioni - rare, per la verità - di un gusto un po' pompier, che tante volte si affaccia a chi ascolti le più ambiziose composizioni di Mendelssohn; ma anche con la maestosa imponenza dei veri capolavori, cui l'ampiezza del respiro garantisce comunque equilibrio e organicità.
Daniele Spini