L'ouvverture «La bella Melusina» fu composta nel 1834-35 per una rappresentazione del dramma di Grillparzer, dramma sul quale, per un momento, si era fermata anche l'attenzione di Beethoven come possibile soggetto di un'opera. Qualche anno più tardi, Mendelssohn scriveva alla sorella Fanny che considerava La bella Melusina come la più perfetta e la più melodiosa delle sue ouvertures. Nonostante la sua più volte dichiarata antipatia per Mendelssohn e per la sua musica, Wagner sembra essersi ricordato di questa pagina iniziando la composizione dell'Oro del Reno.
L'argomento della leggenda che ha dato origine al dramma - e che si ritrova in un «romanzo» di Jean d'Arras, scritto verso la fine del sec. XIV - è questo:
Dopo l'uccisione del figlio del re di Bretagna, Raimondino conte di Tolosa fugge nei boschi del Morbilhan. Qui incontra Melusina, creatura di rara bellezza, e se ne innamora. Melusina, ohe ricambia il suo sentimento, lo sposa, e non gli chiede altra cosa che di esser lasciata sola ogni giorno di sabato. Raimondino accetta senza chieder spiegazioni. Il matrimonio è felice, ed è allietato dalla nascita di due figli. Melusina - che è una fata - con le sue arti aiuta il marito a sconfiggere tutti i suoi nemici, e a diventare principe di Lusignano. Ciò che non ha detto al marito è di essere sotto il peso di una terribile maledizione che la costringe, un giorno ogni settimana, a trasformarsi in orrido serpente. Raimondino, felice, non ha mai chiesto alla moglie il motivo del suo isolamento settimanale: un giorno dimentica il patto ed entra nella stanza della moglie che trova trasformata in serpente. Ne è inorridito e addolorato, tanto più che essendo stato scoperto l'incantesimo, Melusina non può più restare con lui, e deve lasciare il mondo dei mortali.
La favola di Melusina, creatura fantastica, mezza
fanciulla mezza pesce (o serpente, a seconda delle versioni), ebbe
enorme fortuna nella sensibilità romantica. Mendelssohn ne
trasse ispirazione per questa ouverture, una fra le sue più
felici. Composta nel 1833, fu eseguita per la prima volta a Londra
l'anno successivo sotto la direzione di Ignaz Moscheles, senza
però riscuotere particolare successo. Prima di pubblicarla
(1835) Mendelssohn la sottopose all'ultima delle molte revisioni,
conferendole una rara perfezione di scrittura e di organizzazione
formale. Lo schema incornicia un tempo di sonata in fa minore fra due
episodi in fa maggiore costruiti su un motivo quasi identico a quello
che più tardi Wagner userà nell'Oro
del Reno in
associazione all'idea del moto delle onde, cui un'orchestrazione
trasparente e fascinosa conferisce un potere di suggestione
eccezionale, stabilendo il clima fiabesco e incantato che percorre
ininterrottamente tutta la partitura.