Quartetto per archi n. 3 in re maggiore, op. 44 n. 1 (MWV R 30)


Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
  1. Molto Allegro vivace (re maggiore)
  2. Menuetto. Un poco Allegretto (re maggiore)
  3. Andante espressivo ma con moto (si minore)
  4. Finale. Presto con brio (re maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Berlino, 24 luglio 1838
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 16 febbraio 1839
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1839
Guida all'ascolto (nota 1)

Mendelssohn ebbe sin dall'infanzia una precoce sensibilità musicale. Beneficiò inoltre in famiglia d'una educazione umanistica completa, studiando il latino, il greco, la matematica, il francese, la storia dell'arte, la letteratura e coltivando anche la pittura. Nato ad Amburgo nel 1809, già nel 1816, dopo aver appreso dalla madre i principi della teoria musicale, Mendelssohn fu condotto a Parigi ove ebbe i primi rudimenti di pianoforte da Madame Bigot de Marognes, famosa interprete mozartiana. Tornato a Berlino, ove la sua famiglia s'era trasferita, il giovane Mendelssohn fu affidato alle cure di Carl Friedrich Zelter per la teoria, di Ludwig Berger per il pianoforte e di Carl Wilhelm Henning per il violino. E già nel 1821 iniziò l'attività compositiva, spiccatamente nell'ambito della musica da camera.

Illuminante, in proposito, è l'inciso d'un diario di Julius Benedict, discepolo di Weber: «Nella primavera del 1821, una mattina, mentre accompagnavo Weber ad una prova nel teatro di corte a Berlino, un ragazzino dai lunghi riccioli biondi ci venne incontro all'improvviso, presentandosi come Felix Mendelssohn-Bartholdy. Si professò appassionato di musica e dichiarò d'aver dodici anni. Volle assolutamente che l'accompagnassi a casa, dal momento che Weber aveva altri impegni improrogabili, e che suonassi con lui il pianoforte: io qualche pagina del Franco cacciatore, il piccolo Felix a memoria alcune fughe di Bach e qualche studio di Cramer. Poco dopo il ragazzo si sedette su uno sgabello, accostò un piccolo tavolo e con assoluta disinvoltura cominciò a vergare musica su dei fogli pentagrammati. Alla mia curiosità rispose che stava ultimando la stesura di un quartetto per pianoforte e archi. Non celando il mio stupore, guardai oltre le sue spalle e m'accorsi che la partitura era senza alcuna cancellatura e che la mano di Felix correva veloce sulla carta come quella d'un provetto copista. Seppi poi che la musica era quella del suo primo Quartetto in do minore. Per nulla irritandosi dell'interruzione, Felix s'alzò di scatto, corse al pianoforte e senza leggìo riprodusse i brani del Franco cacciatore uditi poco prima. Non molto dopo m'invitò a seguirlo in giardino e, accennando qualche passo di danza e un Lied, s'arrampicò su un albero con la destrezza d'uno scoiattolo».

Assieme a vari lavori cameristici, videro la luce in quegli anni le Sinfonie per archi che attestano la sicurezza e la freschezza dell'inventiva dell'adolescente Mendelssohn. Ed è ancora la testimonianza di Benedict a dar la conferma di quanto bravo il geniale giovanetto fosse come strumentista. Le formazioni di professionisti erano allora rarissime ed il Quartetto Schuppanzigh costituiva una vera eccezione per la qualità della resa interpretativa. Dal racconto d'un altro testimone della vita musicale berlinese dell'inizio dell'Ottocento, Ferdinand Hiller, si apprende che Mendelssohn era in grado di suonare a prima vista, imbracciando la viola, i quartetti di Spohr ed anche i propri lavori, come l'Ottetto. Del resto nell'augusto palazzo della famiglia Mendelssohn si svolgevano le più importanti serate musicali di Berlino alle quali prendeva parte tutto il mondo della cultura e dell'arte, con il giovane compositore a svolgere il ruolo d'un sicuro e disinvolto protagonista alla viola come al violino, al pianoforte come all'organo.

L'apprendistato con Eduard Rietz nel 1824 e l'anno successivo con Baillot a Parigi avviò Mendelssohn ad approfondire lo studio della produzione quartettistica beethoveniana, non soltanto del ciclo dell'op. 18, che lo stesso Baillot contribuì in larga misura a far conoscere nella vita artistica francese. E proprio a Parigi, grazie al medesimo Baillot, fu eseguito dagli allievi del Conservatorio nel 1832 il Quartetto in la maggiore per archi op. 13, già caratterizzato da una felice inventiva melodica e da una originale concezione dialogica del gioco strumentale. Una decina d'anni dopo, rivolgendosi agli allievi di composizione al Conservatorio di Lipsia, che egli aveva fondato nel 1843, Mendelssohn soleva consigliare «di imitare esattamente la forma di un quartetto di Haydn» e precisava: «Così ha fatto con me anche il mio maestro Zelter». E a Moscheles, da lui chiamato ad insegnare nella medesima istituzione, aggiungeva: «Gli allievi vogliono subito comporre e teorizzare, mentre io credo che la cosa principale, l'unica che si può e si deve insegnare, e da cui poi derivano tutte le altre, sia una diligente pratica, il suonare con impegno costante, con la massima diligenza, tutte le opere. Il resto, cioè l'essenza della musica, non è frutto dell'apprendimento, ma è frutto di Dio».

La produzione mendelssohniana nell'ambito della musica da camera è tutt'altro che vasta, articolandosi in due settori a seconda che sia contemplata, o meno, la presenza del pianoforte. Per l'organico di soli archi, a parte il giovanile Quartetto in mi bemolle maggiore (1823) e i Quattro pezzi (1827-47) pubblicati postumi, comprende, oltre all'Ottetto (1825), soltanto due Quintetti - quello in la maggiore op. 18 (1831) e quello in si bemolle maggiore op. 87 (1845) - e sei Quartetti: l'op. 12 in mi bemolle maggiore (1828), l'op. 13 in la maggiore (1829), i tre Quartetti dell'op. 44 (1837-38), infine il Sesto Quartetto in fa minore op. 80 (1847).

Cronologicamente l'ordine di composizione dei Quartetti dell'op. 44 non corrisponde a quello della pubblicazione 1839 da Breitkopf & Härtel a Lipsia: il Quartetto n. 2 in minore fu ultimato il 18 giugno 1837; il Quartetto n. 3 in mi bemolle maggiore porta la data del 6 febbraio 1838; il Quartetto n. 1 in re maggiore è del 24 luglio 1838. Quest'ultimo è la composizione, delle tre dell'op. 44, prediletta da Mendelssohn che, per tale ragione, volle dar alle stampe per prima. Ed in proposito, nella lettera del 30 luglio 1838 a Ferdinand David - che avrebbe eseguito per la prima volta questo lavoro con il proprio quartetto al Gewandhaus di lì al breve - Mendelssohn precisò: «Spero che l'ascolto di questa musica susciti le medesime emozioni che da a me, per due ragioni: l'incedere è percorso da una maggiore vivacità di spirito, mentre tutt'altro che minore per gli esecutori è la sua eufonia, la sua grazia».

La caratteristica principale del Quartetto n. 1 in re maggiore risiede nell'esemplare equilibrio tra i movimenti dominati da un'impronta castamente classica, restandone praticamente escluse certe ambizioni sperimentali ed innovative che s'erano manifestate nelle opere precedenti sotto l'influsso beethoveniano. Luminosa e trasparente è la qualità della scrittura strumentale sin dal movimento iniziale il cui materiale tematico è segnato da un'efficace contrapposizione tra gli esuberanti atteggiamenti dell'idea principale e i connotati del soggetto secondario, segnati da una serrata intervallistica. Allo schema tradizionale dell'esposizione fa seguito un elaborato sviluppo che non si limita a coinvolgere il vigoroso tema introduttivo ed assai pronunciata è la trama contrappuntistica. Più convenzionali la ripresa e la coda. La scorrevolezza, la fluidità discorsiva e l'eufonia del Molto allegro iniziale caratterizzano anche il secondo movimento, un Menuetto di stampo haydniano, agile ed elegante, ove il Trio centrale s'articola a sua volta in tre sezioni, quella mediana più lineare rispetto alle parti esterne evocanti moduli stilistici d'ascendenza barocca. La tonalità di si minore ritorna nell'Andante espressivo con moto ove l'effusione lirica si espande nella successione di sagaci e intense frasi melodiche, vagamente intessute d'una vena nostalgica. Il finale, Presto con brio, si traduce in un vorticoso e brillante saltarello, affine all'incedere del tempo conclusivo dell'Italiana, naturalmente trasferito nell'ambito d'una concezione cameristica. Di particolare significato è il materiale motivico che contraddistingue l'idea principale, in cui si possono individuare tre distinti incisi tematici che ora si susseguono ora si combinano assieme in un efficace impiego del contrappunto. Si notano anche passaggi imitativi a canone ed eleganti modulazioni entro uno schema formale delineato con sicura trasparenza e brillantezza, degna, una volta ancora, dello straordinario magistero mendelssohniano al suo apogeo.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 17 gennaio 1997


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Ultimo aggiornamento 19 maggio 2012