Sinfonia n. 2 in si bemolle maggiore "Lobgesang" (Canto di lode)

per soli, coro, orchestra e organo, op. 52 (MWV A18)

Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
Testo: su testi tratti dalla Sacra Scrittura
  1. a. Sinfonia - Maestoso con moto (sol minore). Allegro (si bemolle maggiore)
        2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
    b. Allegretto un poco agitato (sol minore - mi minore - sol minore)
        2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 tromboni, archi
    c. Adagio religioso (re maggiore)
        2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, archi
  2. Alles, alles - Allegro moderato maestoso. Allegro di molto (si bemolle maggiore)
    coro, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, organo, archi
  3. a. Saget es, die ihr erlöst seid durch den Herrn - recitativo (sol minore)
        tenore, 2 corni, archi
    b. Er zählet uns're Thränen in der - aria - Allegro moderato (sol minore)
        2 corni, archi
  4. Sagt es, die ihr erlöset seid - A tempo moderato (sol minore)
    tenore, coro, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, archi
  5. Ich harrete des Herrn - duetto - Andante (mi bemolle maggiore)
    2 soprani, coro, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
  6. Stricke des Todes hatten uns - Allegro un poco agitato (do minore - do maggiore). Allegro assai agitato
    tenore, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 3 tromboni, archi
  7. Die Nach ist - Allegro maestoso e molto vivace (si minore - re maggiore)
    coro, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, organo, archi
  8. a. Nun danket alle Gott - corale - Andante con moto (sol maggiore)
        coro senza accompagnamento
    b. Lob, Ehr'und Preis - Un poco piu animato (sol maggiore)
        coro, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, timpani, archi
  9. Drum sing'ich mit meinem Liede ewig dein Lob - duetto - Andante sostenuto assai (sol minore)
    soprano, tenore, 2 flauti, 2 oboi, archi
  10. Ihr Völker! bringet her dem Herrn - Allegro non troppo (sol minore)
    coro, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, organo, archi
Organico: 2 soprani, tenore, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, organo, archi
Composizione: 25 Giugno 1840
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 25 Giugno 1840
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1841
Dedica: Federico Augusto di Prussia
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Correndo nel 1840 il presunto quarto centenario dell'invenzione della stampa, fu richiesta a Mendelssohn una composizione celebrativa di vaste proporzioni e di contenuto adeguato alla universale portata storica di quel grandioso avvenimento maturato in seno alla civiltà tedesca rinascimentale. Non è difficile indicare nella famosa Bibbia in folio uscita dai torchi di Johann Gutenherg e dei suoi aiuti l'oggetto ispiratore dell'israelita protestante Mendelssohn, lo stimolo potente per le sue suggestioni di uomo colto e romanticamente sensibile al fascino del passato. Dalle parole della Bibbia, dunque, doveva muovere l'apoteosi musicale della quale la spiritualità del mondo intero andava debitrice alla Germania; tedesco quindi, e non latino, il testo dei versetti intonati dalle voci del Lobgesang (Canto di lode) che, in forma di imponente Sinfonia-cantata con l'intervento di tre solisti e del coro, venne eseguita per la prima volta il 25 giugno 1840 a Lipsia, nella chiesa di San Tommaso, sacra alla gloria di Bach.

Nella numerazione editoriale delle Sinfonie mendelssohniane, il Lobgesang occupa il secondo posto, benché sia stato composto per quarto, dopo, cioè, la Sinfonia in do minore (denominata Prima, 1824), quella in re minore «della Riforma» (Quinta, 1829-30); e quella in la maggiore «Italiana» (Quarta, 1830-33). La fama e la fortuna del Lobgesang, dopo l'esito trionfale della «prima» (che indusse Mendelssohn a dare subito alle stampe il lavoro), non furono peraltro pari a quelle delle altre sinfonie: a lungo gravò come condanna, per gli anni successivi, il giudizio negativo di Wagner, che irrise allo «stupido candore» dell'ambiziosa composizione, finché, a rinverdirne gli allori non giunse Hans von Bülow che, a partire dal 1877, la inserì nel proprio repertorio. Da allora la Sinfonia-cantata mendelssohniana, sia pure con passo più lento rispetto alle svelte sorelle, non ha interrotto il proprio cammino.

Rovesciando la cattiveria wagneriana (nella quale, come in ogni stroncatura, è pur sempre un granello di verità), si può affermare che proprio nel candore entusiastico che si dona senza reticenza, ma anche senza vacue gestualità, alla retorica celebrativa cercando di risolverla in immagini sonore di un purificato stupore sacrale, stanno il fascino e la poesia del Lobgesang. Una poesia volatile e delicata, in singolare contrasto con le imponenti strutture da cui si sprigiona, ma, proprio per questo, capace di tenere testa vittoriosamente alle tremende sirene del Sublime beethoveniano, in agguato inesorabile. La Nona Sinfonia era lì, incombente, oltre che con le sue implicazioni contenutistiche, con un paradigma formale di schiacciante esemplarità. Mendelssohn vi si sottrae col solito invidiabile sorriso sulle labbra, anche se, come Beethoven, articola la propria composizione in due grandi blocchi, l'uno dei quali costituito dal regolare susseguirsi dei primi tre movimenti di una sinfonia, l'altro dall'intervento sistematico dell'elemento vocale. Un solo germe tematico fa da ponte e da connettivo ideale, oltre che strutturale, tra le due sezioni della Sinfonia-cantata: il «motto», ad un tempo solenne e festoso, annunciato dai tromboni all'inizio del breve «Maestoso» introduttivo e di poi sviluppato nel successivo «Allegro» insieme con gli altri due temi propriamente sonatistici: il primo dei quali caratterizzato dal tipico Schwung, lo slancio, lieve e appassionato, del melodisrno mendelssohniano. Anche precipuo della sensibilità armonica di Mendelssohn è l'artificio mediante il quale la seconda idea, un'ampia frase cantabile per «terze» parallele, proposta dai legni e dalle viole nella tonalità di la bemolle maggiore, viene ripetuta poco dopo nel regolamentare fa maggiore, secondo le leggi della, classica esposizione sonatistica che, come è noto., prevede la modulazione alla dominante della tonalità d'impianto (si bemolle).

L'«Allegro», improntato a una serena e alquanto distaccata souplesse che non potè non suonare provocatoria a un complicato come Wagner, sfocia, mediante una breve cadenza del clarinetto, nell'«Allegretto un poco agitato» in sol minore, sorta di fascinosa romanza senza parole trasposta in dimensioni sinfoniche, introducendo la seconda parte della Sinfonia: un gigantesco Finale strutturato in sezioni corrispondenti ad altrettanti versetti tratti dai Salmi. Riappare, riproposto alternativamente da tromboni e corni, il tema conduttore che prepara il radioso esordio del coro («Tutto ciò che ha respiro, lodi il Signore!») in una pagina polifonica, seguita dall'invocazione del soprano solo («Loda il Signore, anima mia») sullo sfondo di voci femminili. E' quindi la volta del tenore, con il recitativo («Ditelo voi, che siete stati salvati») e l'aria («Egli conta le nostre lacrime») accompagnata dai soli archi. Un'inquieta figurazione in terzine sostiene e guida la successiva espressione corale, sulle stesse parole del recitativo tenorile; al coro si uniscono quindi i due soprani in una pagina di delicata intimità mistica («Attendevo il Signore»), cui fa da studiato contrasto l'intenso «solo» del tenore («I lacci della morte ci avevano avvinti»), dove la componente vocale della Sinfonia raggiunge il climax drammatico culminante con l'interrogativo, ripetuto per sei volte con crescente pathos: «Pastore, sta per finire la notte?». All'ansiosa domanda, cui fa da eco ogni volta un breve inciso dei legni teso in un anelito, tutto beethoveniano, verso la espressione «parlante», risponde l'annuncio gioioso del soprano: «La notte è passata», e, subito dopo, il trionfante coro in re maggiore, dalle luminose arcate haendeliane. Risuonano quindi le parole di Lutero («Ora ringraziate tutti Iddio») intonate da un corale a cappella; nella seconda strofa, l'orchestra si unisce alle voci con un'alata figurazione in quartine di sedicesimi di tipica suggestione bachiana, mirabilmente personalizzata da Mendelssohn grazie all'inconfondibile tocco timbrico costituito dalla soffice fascia luminosa dei flauti e dei clarinetti che «raddoppiano» gli archi. Dopo un consolante Duetto del soprano e del tenore («Perciò col mio canto ti loderò in eterno»), ricco di finezze orchestrali, il Lobgesang ha termine con uno Schluss-chor articolato in tre sezioni, alla maniera haendeliana (« Popoli, accrescete la gloria e la potenza del Signore ») e suggellato, nelle battute conclusive, dal tema-motto, ancora una volta introdotto dai tromboni, come all'inizio della Sinfonìa.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Non vi è quasi scritto o studio su Mendelssohn in cui non si esalti, inutilità assoluta, l'esattezza della scrittura; come se un'altra lettera non ci desse indicazioni di una affatto opposta poetica: al nipote Sebastian Hensel, da Lipsia, il 27 febbraio 1847: ' se vuoi seguir l'arte come una vocazione, non ti avvezzerai mai abbastanza presto a dare maggiore importanza al contenuto d'un'opera d'arte che alla sua fattura... ' E prima, a J. Fürst, per un progettato libretto, da Lipsia, il 4 gennaio 1840: ' ...ciò che mi può dissuadere dalla composizione d'un testo e me ne ha sempre dissuaso finora, non sono mai stati i versi, le parole isolate, le espressioni nel modo di trattare il soggetto [...] ma sempre l'andamento dell'azione, l'essenza drammatica, gli avvenimenti: la scena '.

Con queste dichiarazioni inequivocabili, ci viene amabilmente consentita una prima occhiata anche sul paesaggio vasto che è della più drammatica fra le sue Sinfonie: il Lobgesang op. 52, per soli, coro e orchestra, composto nel 1840, per il quarto centenario dell'invenzione della stampa (s'intende, portatrice di luce): e venuto, esso pure, alla luce per i tipi di Breitkopf, l'anno seguente. L'opera si intitola Eine Symphonie-Cantate nach Worten der heiligen Schrift, ed è dedicata a Friedrich August, re di Sassonia. Ancora una serata ufficiale, destinata a replicarsi in Inghilterra, come s'è veduto. Alla madre, da Lipsia, il 27 ottobre 1840, il più veridico rendiconto: ' Dai giornali saprai già che noi abbiamo dato di recente per il re di Sassonia una seconda esecuzione del Lobgesang, e che tutto riuscì splendidamente. Tutti i musicisti riuniti applaudivano ch'era una gioia. Il re mi fece chiamare durante il riposo, sicché dovetti passare fra una doppia schiera di dame [....] per arrivare al posto dove egli sedeva con la sua corte. S'intrattenne con me per un tempo discretamente lungo con affabilità, e mi parlò bene della musica. Nella seconda parte v'era soltanto il Lobgesang, e alla fine, quando già stavo per abbandonare il leggio, sentii dire ad un tratto intorno a me: ' Ora il re si reca da lui ', e infatti egli passò frammezzo alle dame, venne al mio leggio (immaginati qual fosse la gioia universale) [...] mi citò i punti che gli erano piaciuti di più, ringraziò le cantanti e i cantanti e se ne partì, intanto che tutta l'orchestra e tutta la sala facevano i più profondi inchini e riverenze possibili. Dopo vi fu un chiasso e uno scompiglio come quello dell'arca di Noè. Forse il re darà ora i 20.000 talleri... '.

Il sovrano (per definizione grazioso) non arrivò a regolare i registri dell'organo, come poi Albert: ma chissà non fosse la sua scelta, poesia e non poesia, più attendibile che non sapesse Victoria: deliziosa gaffeuse, aveva cantato il Lied Schöner und schöner senza accorgersi che era opera non di F(elix) ma di F(anny) Mendelssohn, collaboratrice essenziale, come Nannerl e Clara.

La cronaca fin qui: dalla quale sarebbe facilissimo trarre deduzioni radicalmente, anche se non proprio totalmente, inesatte. Una larga zona di Mendelssohn ha in animo, non fosse che quel proposito, il rituale, ed anzi il cerimoniale della conservazione. Avversa, intanto, qualsiasi idea di avanguardia: non solo la propriamente detta, che sta nascendo con Berlioz, ma in fondo la stessa nuova musica che pensano, senza rifiutare una virgola del passato, dei modelli, Chopin e Liszt.

Eppure, già l'occhio linceo di Goethe aveva scorto la verità: ' so che, nel frattempo, tu e gli altri avete spinto molto avanti l'affare '. Per una larga parte, i ' contenuti ' di Mendelssohn oscillano tra incompatibili elisi, le praterie e le foreste dei fairìes e dei robins, seguiti dai fantasmi di vergini ed eroi ossianici, e di qualche tedeschina occhicerula, Melusine o Loreley, l'archetipo classico e classicista, da Sofocle a Racine, il mitologema biblico e cristiano. I barbari; Ossian e Shakespeare, sono ormai reçus, persino in Francia; a battezzare i Greci e i Latini han provveduto da tempo i Padri della Compagnia. Tutto può adunque svolgersi all'insegna di una conciliazione definitiva dei Buoni, che sono anche i Belli e gli Eleganti: se persino alle devote monache di Trinità de' Monti erano stati dedicati, nel '30, tre Mottetti latini, cattolici senza scampo.

Ma non parliamo leggermente, per il compositore Mendelssohn, di Olimpi compositi, di pantheon spuri. I rapporti della Romantik con il Cattolicesimo, con il Cristianesimo stesso, sono sottilmente tortuosi: se il ciclo concluderà con l'indecifrabile Parsifal. E nelle stesse ammissioni si annida l'antipodo ottico: il Rosenkranz di Brentano richiama anche il rosario d'Oriente, su cui si contano i versetti coranici. Nel Lobgesang in questione, Mendelssohn si cautela con un avvallo ferreo, la citazione luterana: ' Sondern ich wöllt alle künste, sonderlich die Musica, gern sehen im dienst des der sie geben und geschaffen hat '. (Vorrei bensì vedere tutte le arti, specialmente la Musica, al servizio di colui che le dà e le ha create).

I testi biblici, opportunamente miscelati, sono tratti dalla Versione per eccellenza, in cui la Germania si era trovata come lingua; il corale - n. 8 della partitura - è nella tradizione: anche musicalmente, sia nella esposizione a cappella, sia nella seguente, alla Bach. Tutto è dunque rassicurante, per i sovrani come per i colleghi di conservatorio?

Anche sì. E tuttavia, non assistiamo a una conciliazione forzata. La musica (che non è sintesi di contenuto e forma, ma dialettica di struttura e materiale) si organizza secondo le proprie leggi immanenti. Il segreto sarà svelato da un sommo intendente, nel 1912: Adolf Loos pensa al perfetto spazio musicale: ' Bisogna che vi si faccia della buona musica. Perché è forse possibile ingannare l'anima degli uomini, ma non l'anima del materiale '.

Ora, nemmeno la forma della tradizione - intendiamo lo schema, l'idea di sinfonia quale si deriva dai Mannheimer e dalla Wiener Klassik; l'idea di primo tempo - risulta qui risparmiata ossequiosamente.

Il piano di una sinfonia-cantata è un ibrido, che la tradizione classica non conosce: il Lobgesang raduna i primi tre movimenti, come Sinfonia, in un unico numero; l'Allegro, preceduto e concluso dal capitale Maestoso con moto, si aggancia, tramite un recitativo del clarinetto, all'Allegretto un poco agitato, cui segue l'Adagio: i nn. 2-10 sono tempi di cantata.

Ma errerebbe chi pensasse a qualcosa che finisca in piscem. Non è Mendelssohn il miglior fabbro? Reverenti al verdetto di Debussy, che lo voleva notaio, ma rincorati dall'intelligente amore di Ravel, guardiamo da vicino questa Seconda Sinfonia, che è poi la penultima. Già l'ascolto più passivo ci mette difronte ad un decisivo elemento: il tema sigla (l'Einstein indica: ' del Magnificat ') con cui i tre tromboni, all'unissono, guidano l'Introduzione, germe o pianta primigenia, invero nel gran senso goethiano. Scritta a contrapposizioni, sconvolge già questa proposta con la variazione continua delle distribuzioni: tre tromboni contra Tutti, due volte, due tromboni - Tutti, ancora due volte, ma, la seconda, i fiati continuano, su una figurazione di corale, e su essa i tre strumenti espongono la quinta replica tematica, sicché le sette battute conclusive, dopo la risposta Tutti, possono sviluppare la proposta stessa, secondo il più rigoroso spirito sinfonico: si immaginano, e quasi si avvertono gli sguardi del Wagner maestrevole, qui, e anche più nel prosieguo (diciamo, a pag. 20, negli omnia): il suono splendente e barbarico dei Meistersinger, un ritrovo, forse una pace dopo il famigerato Judentum in der Musik.

L'allegro, signaculum della sinfonia, accoglie l'idea di due temi antagonisti: ma il secondo, esposto da clarinetti, fagotti e viole, in terze, è ancora in si bemolle maggiore; e inoltre, una terza idea, sottolineata dall'indicazione Animato, compare, serbando l'inarrestabile flusso sinfonico: in fa maggiore. Intanto, è ricomparso (una prima volta, ancora ai tre tromboni, e subito ai primi violini) il tema dell'Introduzione, che riaffiora nei momenti acme di questo Allegro. L'inscindibilità di esposizione e sviluppo, la irregolarità della ripresa, rispetto alle convenzioni scolastiche, sono dovute essenzialmente all'onnipresenza prevaricante di questo elemento erratico. Né si deve supporre che esso figuri come inserto, citazione o reminiscenza: appartiene invece in proprio alla stessa andatura sinfonica. Il tema sarà poi ripreso in vari luoghi dell'opera intera: il Lobgesang è dunque, letteralmente, una composizione ciclica.

Nel duplice significato: ritorno di un tema identico nei diversi movimenti, e collegamento dello stesso, nel senso genetico, con gli altri temi.

Ciò che qui Mendelssohn compie è una sorta di analisi interna del tema fino a ridurlo al Wesen elementare, originario: la scansione, in quella marcia di Coribanti cristiani, e germanici, di un ritmo primigenio: croma puntata più semicroma, capace anche di ritorni per augmentationem, o diminutionem. Nell'Adagio (definito religioso un po' per serbar fede ai patti: è una derivazione beethoveniana, tranquillamente meditativa), la testa tematica dà il ritmo nella sua formulazione principale; più tardi esso appare, con gran dovizia, nella forma diminuita: semicroma puntata più biscroma. Così nel duetto per tenore e soprano (n. 9).

Nella prima aria per tenore (n. 3) la figura puntata (semiminima più croma) indica le parole chiave del testo: Thronen, (Be)trübten, seinem Wort. Il primo gran coro (n. 2), ove nell'introduzione orchestrale si è riaffacciato il tema sigla, presenta l'inciso ritmico (nella forma minima puntata più semiminima, poi nella consueta) nella testa del tema: ' Alles was Odem hat, lobet den Herrn '; il secondo coro (n. 4) ancora due volte nel solo tema (in entrambe come semiminima puntata più croma): ' Sagt es, die ihr erlöset seid von dem Herrn aus aller Trübsal '. Il duetto fra due soprani (n. 5) presenta del pari la figura ritmica due volte nel tema, sempre come croma puntata più semicroma: ' Ich harrete des Herrn und er neigte sich zu mir '. Ancora su di essa è costruito, integralmente, il gran Recitativo per tenore: ' Wir riefen in der Finsterniss ': da sola quella successione costituisce l'essenziale apporto delle risposte strumentali, il gemito dei legni. Lo Schlusschor (n. 10), nella sola proposta del basso, contiene l'inciso tre volte.

Restano i due movimenti in sei ottavi: l'Allegretto, alle soglie di Brahms, e il coro ' Die Nacht ist vergangen '. È da intendersi quest'ultimo come una sola, gigantesca variazione ritmica al rapporto tre a uno, in coincidenza con l'acme emozionale: ' so lasst uns anlegen die Waffen des Lichts! ' (' afferriamo le armi della luce '), ove esplode, anche in termini di intensità, la coreuticità liturgica dell'opera: proprio con quel ' lievito ereticale di Germania ' di cui parlò, superbamente, Gottfried Benn: il medesimo destinato a tornare nel Deutsches Requiem.

Lo scorrevole Allegretto, spinto fino ai limiti della musica notturna, anche di mezza estate, persino con qualche profezia ciajkovskiana (il cantabile fagotto, in registro alto), ha una parte centrale, sorta di Trio innominato, ove i fiati, attorno agli oboi, ricantano il tema dell'Introduzione alla lettera: ma, con un accorgimento nuovo, il compositore non disgiunge trio ed esposizione: gli archi, sotto quella sorta di corale, continuano il loro moto consueto. Prima di Schoenberg, che ne detiene la chiara coscienza, è probabile che solo Hans von Bülow avesse indagato l'essenza della tonalità fino al nucleo costitutivo: 'in principio era il ritmo'. Ma è ben certo che tal sapere è dei grandi compositori. Qui, l'armonia di Mendelssohn, ricca senza eccessi, né divinazioni, e il carattere tradizionale affatto della tematica, quasi sfiorante le secche dell'accademia, fanno risaltare anche più il pulsante centro generativo dell'invenzione totale: la relazione tre a uno destinata a scarnirsi nell'opposizione binaria della prosodia giambicotrocaica: il ritmo, appunto, dei seguaci d'ogni numinosum.

Un quarto movimento, ipertrofico, con partecipazione corale, era il modello immediato del sinfonismo tedesco. Mendelssohn lo somma all'idea bachiana di cantata, con la spaccatura che il corale frappone. Alla disgiunzione formale obsta vittoriosamente l'unità costitutiva della tematica. Il suono rimane lo stesso, alleggerendosi ove occorra, specie degli ottoni; arricchendosi, nella cantata propriamente detta, dell'organo. Mendelssohn già lo aveva sottoposto a polifonie vocali in opere liturgiche: i tre pezzi sacri del '30, il mottetto O beata del medesimo anno, il Te Deum del '32, e l'Adspice Domine, dell'anno seguente, il Salmo 95, Kommt, lass uns anbeten, del '39-41. Vi ritornerà dopo il Lobgesang con frequenza puntuale. Ma, in questa Seconda Sinfonia, la presenza del ' mostro ' - Strawinsky dixit - non manifesta perspicue volontà timbriche: sì che la dizione ' per soli, coro, organo e orchestra ' che spesso si legge, è da stimarsi erronea: l'organo non essendo concertante (anzi anche meno rilevato che nella Terza di Saint-Saëns), ma mero strumento aggiunto. Esso si limita a conferire, ai luoghi acmeici, la necessaria intensità e, dunque, il sufficiente discrimine fonico: lo spettro acustico affigurando i successivi livelli della violenza spirituale, i gradus dell'enfasi. Ancora una volta, se in Oriente dobbiamo trovarne la quintessenza, secondo stabilisce Friedrich Schlegel, non si può dare Romantik senza le categorie del Barocco. La tematica musicale secondo Bach diviene, in Mendelssohn, ricognizione intema, indagine sulla struttura molecolare.

Parallelamente, si svolge l'inquisizione sulle forme (o schemi) della tradizione sinfonica. Ciò che la Romantik progetta, ed attua per gradi, è la liberazione come regolazione dal di dentro: il frei werden significa il soddisfare le esigenze del canonico dall'intimo, fino ad annullarle nell'opposto. (Per averne la teoria compiuta, occorrerà attendere il tardo Nietzsche, il concetto di avanzamento graduale nella décadence come aspetto del progresso).

Torniamo all'analisi delle singole idee tematiche. Sarà facile scorgere (è alla capacità di chiunque) come le idee non abbiano per lo più, almeno in questo Lobgesang, una individualità troppo spiccata: possono anche ricordare a un osservatore non benevolo - è quasi incredibile come Mendelssohn continui a suscitarne - i modelli proposti agli allievi. Ora, la fusione senza residui di un materiale siffatto nel discorrevole agio della sinfonia può sembrar riuscita non troppo ardua. Impeccabilmente maligno, Adorno vi scorse anche le tracce di un 'estraneo al proprio strato sociale': 'la levigatezza della sua musica rimanda allo zelo eccessivo di chi non è del tutto «in»'.

Ma le deduzioni macroformali che Mendelssohn trae da quella pratica sono indiscutibilmente nuove: e dunque, sovvertitrici, passo passo (non è agevole consegna la condizione che Clemente Brentano riscontrava in sé e nella sorella Bettina, l'esser ' fuori di ogni ordine '). Il nostro musicista sa che ciascun grammo di libertà esige tributi immensi alla consuetudine, che le prove devianti si compiono in arene accademiche. L'ininterrotto scorrere del primo Allegro, in ispecie, è consentito solo dalle reliquie formali che lo reggono con energie residue: ma, ancor qui, della più fiera validità. La distribuzione eccentrica di primo e secondo tema, e nello sviluppo non meno che nella riesposizione, l'azione eversiva di quel terzo tema su cui gli altri due infine si comparano, e si provano, garantiscono, di fatto, la quasi biologica naturalezza, il modello organico ritrovato che offre anche questo questionabile saggio sinfonico. Qualcosa di dimenticato, almeno di abbandonato, riemerge: il nuovo si giustifica nella somiglianza con il consueto. Nulla di più estraneo dalla tabula rasa, o il grado zero delle avanguardie. Il derivato si appoggia sulla premessa, che riprende senza replicarla. Al garbato, l'ossequioso, il formalista Mendelssohn la negatività romantica ha affidato il concetto di grande forma come terreno di dimostrazione: probabilmente Adorno è stato il primo ad accorgersene compiutamente.

I preziosi paralipomena all'opera incompiuta, Àstetische Theorie, ci consegnano l'intuizione storiografica: ' Uguale, nell'arte non è uguale. Ciò è divenuto manifesto in musica. Il ritorno di parti analoghe in uguale lunghezza non ottiene ciò che l'astratto concetto di armonia se ne ripromette: il ritorno stanca invece di soddisfare o, detto meno soggettivamente, è formalmente troppo lungo; probabilmente Mendelssohn è stato uno dei primi compositori ad operare secondo quest'esperienza, che seguita ad avere efficacia fino all'autocritica che la scuola seriale ha condotto delle corrispondenze meccaniche '. (Ultima traccia di ossequio allo schema ci sembra il ritornello nel primo tempo, nella Sinfonia di Anton Webern).

Trattandosi di un appunto, ci permetteremmo di aggiungere, per chiarezza, un ' più ' a ' non ottiene ': giacché proprio da Adorno sappiamo come la percezione di una simmetria sia fenomeno storico, dei più mutevoli.

La letterina del principe Albert, a questo punto, par commentata con bastevole ampiezza. Nessuno si sognerà di negare il fascino della musica in questione: ma proprio un suo esame un poco più attento ci permette di capovolgere quegli asserti: il ' conservarsi fedele la ' tranquilla finezza '. Se Schumann aveva scorto con agio i cannoni sotto i fiori di Chopin, qualcosa di non dissimile, almeno di omologabile, risulta con evidenza apodittica persino dalle manifestazioni più conformi, in Mendelssohn, alle auliche richieste. Già il suo accento, proprio nel leggere testi biblici, avrebbe ben potuto generare fondati sospetti, anche in area protestante: con il citato dr Luther, forse anche oltre la sua lettura, il musicista par ritrovare semmai gli autentici accenti feroci dei Salmi davidici. L'ufficialità dei testi è contraddittoria al modo del loro ritrovarsi. (Già Nietzsche: ' La lingua di Lutero, la Bibbia come base di una nuova forma poetica '). Ma, prima di ogni altro argomento, vale la verifica che s'è detta: l'azione, cauta e misurata quanto si voglia, ma infine efficiente, e anzi decisiva sul corpo del linguaggio musicale medesimo, la lenta e se si vuole tranquilla impresa di una scepsi di ciò che è ritrovato e ciò che è irrediminente perduto. Piacesse a tutti i sovrani del mondo, anche il Lobgesang appartiene senza possibile equivoco all'area della rivoluzione musicale permanente: in essa, secondo una tesi di Heinz-Klaus Metzger, si è rifugiato quanto sopravviveva di una rivoluzione politica mancata. Occorre in altre parole affrontare Mendelssohn, come è giusto, sulla realtà vera delle partiture, segnarne le tracce del moderno (esattamente nel significato datogli dal Wagner estremo): allora le sobrie eleganze, la sensibilità delicata del ' vero signore ', quali traboccano dai documenti, dalle stesse lettere (la virtuosa avversione verso Parigi, ove imperano le due streghe, la politica e il piacere, e ove anche Heine si sta perdendo), possono divenire, intese alla lettera, non poco svianti, se non aliene affatto.

Al cuore della Romantik musicale vi è l'idea di uno scavo nel profondo, vorremmo dire una sorta di analisi acustica dell'inconscio. La situazione è contrassegnata dalle ' sette solitudini ' (del principe Vogelfrei o del ridente Zarathustra, ci verrà rivelato, o alla fine del ciclo, o dove esso ricomincia). Il patto con l'oscurità avvolgente segna quest'ora autunnale della maturità: la scoperta (Nietzsche parla, per lo spirito tedesco, di un nuovo Colombo) destinata a decidere riguarda il rapporto con l'oscuro appunto: ' il mondo, una volta che se ne sia tolto il dolore, è in ogni senso antiestetico '. Pure, si è già notato, a proposito dei Notturni chopiniani, forse la più intransigente manifestazione del solipsismo lirico, come, ad un tratto, Chopin introduca, o piuttosto accolga una seconda voce: una gemmazione del canto, un'espressione gemellare di cui non è dichiarata l'origine. Gradatamente, ancora, queste registrazioni dell'altro si allargano, le figure dei solitari si sdoppiano: non è solo il Doppelgänger, è l'eguale antitetico, in cui nessuno potrebbe sceverare il dato schizoide dalla duplicità archetipica. Se ciò che evolve è lo stesso di ciò che si ripiega, nella dolorosa ' felicità del circolo ', allora i ritorni (al Medioevo, alla Riforma, o, qui, a Bach, all'esperienza incomparabile della Matthäeus-Passion rinata) sono legittimi quanto le prospettive sul futuro, le disintegrazioni, le rivolte, le furie. Da quella chiusura, o clausura, ascetica risalgono, ad afferrare le ' armi della luce ', gli affini, destinati a riporre il problema della socialità: i confederati in Schumann, quanto in Mendelssohn, coloro che più non temono il ' Wir '. Antiche idee di Ordine, fino alla fantasia templare, indicano, in una cultura che si è troppo spesso vantata unpolitisch, il nesso vitale che collega la musica alla politicità.

Le esigenze che la modernità musicale poneva anche a Mendelssohn erano obbiettive, restano normative. Del tutto secondario, se non marginale affatto, rimane il chiedersi se il figlio del banchiere ne fosse consapevole: certo lo era il compositore: per il resto, proprio secondo il Wagner abborrito, 'se [...] noi volessimo accordare la nostra simpatia all'individualità, non potremmo rifiutarla a Mendelssohn, dovesse pur essa venir diminuita dal pensiero ch'egli non era realmente cosciente di ciò che aveva di tragico nella sua situazione '.

Del tragico l' 'alcionio' è una maschera di tradizione sicura: occorre dunque imparare a scorgere, sotto i tratti di Felix mentis, animati da un'euforia leggermente febbrile, i segni scavati di Felix Fallax.

Mario Bortolotto


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 29 Ottobre 1972
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, Basilica di Santa Croce, 28 maggio 1976


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Ultimo aggiornamento 23 marzo 2016