A Midsummer Night's Dream (Sogno di una notte di mezza Estate), op. 61 (MWV M13)

Musica di scena per la commedia di Shakespeare per soli, coro femminile e orchestra

Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
  1. Ouverture - Allegro vivace (mi maggiore)
  2. Scherzo - Allegro molto vivace (sol minore)
  3. Marcia degli Elfi - Allegro molto vivace (sol minore)
  4. Bunte - lied per coro - Allegro non troppo (la maggiore - la minore)
  5. Intermezzo - Allegro appassionato (la minore)
  6. Notturno - Con moto tranquillo (mi maggiore)
  7. Hochzeitmarsch (Marcia nuziale) - Allegro vivace (do maggiore)
  8. Prologo (Marcia funebre) - Allegro commodo (do maggiore)
  9. Ein Tanz con Rupeln (Danza dei contadini) - Allegro molto (mi maggiore)
  10. Finale - Allegro vivace (do maggiore)
Organico: soprano, mezzosoprano, coro femminile, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, percussioni, archi
Composizione: 1842
Prima rappresentazione: Postdam, Neuer Palais Theater del Sanssouci-Schloß, 14 Ottobre 1843
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1842

Il numero 6 è la famosa Marcia Nuziale di Mendelssohn
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Composto da Mendelssohn nel pieno della sua maturità (ma recuperando l'Ouverture che aveva scritto all'età di soli diciassette anni), e da molti considerato il suo capolavoro più grande, il Sogno di una notte di mezza estate appartiene a un genere del tutto particolare della musica romantica, quello delle musiche di scena scritte per il teatro drammatico. Un genere ibrido, in effetti, che per via della presenza dell'orchestra è imparentato con la Sinfonia e con tutto quanto di nobile e di «importante» siamo abituati ad associare alla scrittura orchestrale; ma che si collocava, in realtà, in un territorio molto più effimero e occasionale, nascendo come supporto sonoro per una particolare rappresentazione teatrale, come musica «funzionale» quindi, senza particolari ambizioni di «durata» nel tempo al di là dell'occasione specifica per la quale veniva composta. La musicologia ufficiale non ha mai riflettuto a fondo sulle caratteristiche peculiari di questo genere, peraltro piuttosto diffuso nel primo Ottocento, e si è sempre limitata a considerare le musiche di scena come una sorta di scrittura sinfonica di serie B, degna di attenzione soltanto nella misura in cui si mostrava capace di avvicinarsi alla grande Sinfonia dell'epoca romantica; e una riprova di ciò sta proprio nel repertorio concertistico, del quale fanno parte pochissime musiche di scena, e di quelle, oltretutto, soltanto le Ouvertures, quei brani cioè nei quali l'affinità con il mondo della Sinfonia ha modo di estrinsecarsi maggiormente.

Un'eccezione praticamente unica a questa consuetudine è rappresentata proprio dalle musiche scritte da Mendelssohn per il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare: musiche tra le quali è in effetti famosissima l'Ouverture, nata come brano autonomo e come tale sovente eseguita; ma a musiche che capita spesso di ascoltare anche per intero, come avviene nell'incisione offerta questo mese dal cd di Amadeus che ne propone una versione quasi integrale (mancano soltanto alcuni brevi passaggi di collegamento tra una scena e l'altra - o di quasi «recitativo» dove la musica sostiene e si inframmezza alla recitazione degli attori - ma giustamente, dato che risulterebbero assolutamente incomprensibili al di fuori del contesto scenico).

Il primo brano della serie è l'Ouverture, composta nel 1826 come brano orchestrale indipendente destinato a un'esecuzione concertistica e riutilizzato poi nel contesto teatrale come pezzo di «apertura» da eseguirsi a sipario ancora chiuso. Scritta in «forma sonata» (e cioè con la classica architettura basata sulla tripartizione Esposizione - Sviluppo - Ripresa, e sulla presenza di più temi), quest'Ouverture possiede in effetti respiro, dimensioni, complessità e articolazione degne di un primo movimento di Sinfonia. Ma c'è anche qualcosa di più, che riesce a legare strettamente l'Ouverture al clima del testo shakespeariano e soprattutto al resto delle musiche, rendendo l'opera pienamente compatta e perfettamente coerente, e facendo sì che i quindici anni trascorsi tra la composizione dell'Ouverture e quella delle altre musiche di scena costituiscano soltanto una curiosità da musicologi, assolutamente inlnfluente all'ascolto.

L'Ouverture inizia con una breve sigla: quattro ampi accordi eseguiti piano dai fiati, nella regione acuta. La sigla svolge una precisa funzione dal punto di vista strutturale (la ritroveremo infatti all'inizio della Ripresa, alla conclusione dell'Ouverture, e alla conclusione del brano Finale); ma serve anche e soprattutto a introdurre subito il particolare clima espressivo, a metà strada tra fantasia e mistero, che caratterizza quest'Ouverture. Compare quindi il primo tema, costituito da una veloce sequela di crome dei violini, che si muovono nel pianissimo come una sorta di fruscio, e che dal punto di vista espressivo non fanno che riconfermare, sia pur con mezzi diversissimi, il clima di attesa presente sin dalle prime note dell'Ouverture.

Il brano rispetta i canoni costruttivi e architettonici della «forma sonata», ma in un modo del tutto particolare: è soltanto a posteriori infatti, partitura alla mano, che possiamo individuare le due aree tematiche principali dell'Esposizione, impiantate secondo le «regole» nelle tonalità contrastanti di mi maggiore e di si maggiore, e poi anche un terzo tema dal carattere più popolaresco. Lo schema è in effetti quello classico, mozartiano; ma all'ascolto la sensazione è tutt'altra, e abbiamo l'impressione di trovarci di fronte a una sorta di «germinazione tematica» continua, al trascolorare incessante di un tema nell'altro, come se si trattasse delle immagini di un sogno che sembrano nascere spontaneamente l'una dall'altra.

Il primo tema, in ogni caso, è tutt'altro che compatto e monolitico, e soltanto dal punto di vista «burocratico» lo possiamo considerare come una sola unità. Dalla sequela di crome infatti, interrotta per due volte dal ritorno di un accenno alla sigla, sorge come per incanto una frase melodica ampia e trionfale eseguita da tutta l'orchestra, decisamente nuova e diversa da tutto ciò che l'aveva preceduta; quindi i fiati espongono una frase melodica discendente, sovrapponendosi l'un l'altro come in un fugato, mentre contemporaneamente negli archi appare una nuova cellula ritmica dal carattere cadenzante. Ritornano a questo punto le crome come se Mendelssohn si preoccupasse di farci capire che nonostante tutto siamo ancora nell'area del primo tema; ma la nuova tonalità di si maggiore ci sta già spingendo verso il secondo gruppo tematico, che farà la sua comparsa con un'ondeggiante frase dei clarinetti, e soprattutto, con un disegno melodico affidato agli archi e caratterizzato da una delicata inflessione cromatica iniziale. A questo punto, ricompare la cellula ritmica cadenzante che era apparsa per la prima volta all'interno della prima area tematica; e fa quindi il suo ingresso il terzo tema, dal carattere di rozza danza popolaresca, destinato a rivelare più tardi il suo significato espressivo esplicito (lo ritroveremo infatti ad accompagnare la danza dei buffoni-artigiani).

La sezione di Sviluppo si articola come una sorta di forma ad arco: inizia infatti con le «misteriose» crome, prosegue creando un suggestivo crescendo di tensione, basato ampiamente sulla cellula ritmica, e si conclude tornando a un pianissimo, quasi spegnendosi, con la riproposta di una versione modificata del secondo tema, datato ritmicamente e trasformato in un Adagio. Inizia a questo punto la Ripresa, ma non come il trionfale ritorno dell'Esposizione preparato dalle tensioni dello Sviluppo; bensì come se si ricominciasse da capo, come se dovessimo ripartire un'altra volta, in punta di piedi, per un altro viaggio nel mondo del fantastico. Ritroviamo dunque la sigla «misteriosa», alla quale fanno seguito le crome fruscianti e cariche di attesa, tutto come all'inizio. Ma Mendelssohn imbroglia un po' le carte, e sovverte molto abilmente l'ordine di ricomparsa dei numerosissimi materiali tematici che ci aveva proposto nell'Esposizione. Piccole modifiche, in generale, ma una molto grossa e significativa: lo spostamento all'ultimo posto del tema, che grazie a questo mutamento d'ordine guadagna enormemente di importanza, viene ad assumere il carattere di tema principale dell'Ouverture, e dà origine a una vera e propria conclusione trionfale. Ma non è con gli accenti trionfalistici che Mendelssohn vuoi concludere l'Ouverture. Ed ecco dunque una Coda, che inizia ancora una volta con le crome fruscianti, che trasforma il tema trionfale in un'eco lontana, e che va a concludere l'Ouverture proprio là dov'era incominciata, con gli accordi dei fiati della sigla. Si chiude l'Ouverture e si apre il sipario.

Il secondo brano delle musiche di scena del Sogno è uno Scherzo, destinato a essere eseguito alla conclusione del primo atto. La trasparenza della scrittura orchestrale è straordinaria, e il brano, in effetti, viene spesso additato ad esempio per questa sua caratteristica. Per dimensioni e per equilibrio formale non sfigurerebbe certo come terzo movimento di una Sinfonia, e deve senz'altro parte della sua fortuna a questa sostanziale coincidenza con i canoni sinfonici dell'epoca. Non sfugga, infine, un'altra caratteristica singolare, e cioè la notevole affinità tra i due temi del brano, che si differenziano soltanto per il modo (minore e maggiore) e per piccole sfumature ritmiche. È un altro degli ingredienti che permettono a Mendelssohn di raggiungere un risultato di eccezionali levità e compattezza.

Il terzo brano è quello in cui musica e recitazione si dovrebbero intrecciare più da vicino, alternandosi l'una all'altra in modo ravvicinato quasi nello stile di un «recitativo» operistico. Nell'incisione che presentiamo mancano naturalmente le parti recitate, ma la frammentarietà delle musiche, il loro carattere intrinseco di «musiche di transizioni» e il loro rifarsi quasi inconsapevole a temi già ascoltati (derivano dal primo e dal secondo tema dello Scherzo) danno un'idea abbastanza precisa di quale dovesse essere il risultato complessivo. Anche la Marcia degli Elfi è piuttosto interessante da questo punto di vista: sulla scena accompagnava infatti l'ingresso di Oberon e di Titania, ma musicalmente sta proprio a metà strada tra una marcia (funzionale alle esigenze teatrali) e il clima dello Scherzo, che è ancora nelle orecchie dello spettatore.

Ancora musica di transizione, inframmezzata nell'originale da parole di Titania, all'inizio del quarto brano; quindi prende il via il Lied con coro, nel quale gli Elfi invocano pace per la loro Regina. Sereno e gradevole, basato su una melodia dalle tipiche caratteristiche di Lied popolare, il brano è molto elegante ed equilibrato, e lascia emergere in primo piano la scrittura vocale, limitando l'orchestra a un sostegno delicato e leggero. Ma anche qui l'intuito di Mendelssohn è capace di ottenere qualcosa in più della semplice grazia ed eleganza, di cui tutti lo considerano maestro, e riesce a creare un sottile collegamento tra il Lied e il resto delle musiche di scena attraverso l'accompagnamento di violini e flauti che sostiene la prima strofa, e che sarà poi affidato a viole, clarinetti e flauti nella seconda. Il sottile ronzio creato dagli strumenti è in effetti legato al testo (il brusio degli animali a cui si chiede di allontanarsi), ma è anche decisamente imparentato con le crome frusciant che tanto spazio avevano avuto nell'Ouverture.

Il quinto brano, destinato a essere eseguito alla fine del secondo atto, è invece abbastanza atipico. Il clima espressivo è quello di un'agitazione, di un'ansia tutta romantica, dalla quale traggono origine due diverse aperture melodiche: la prima affidata ai violini e ai legni, la seconda che vede protagonisti i violoncelli che eseguono un controcanto al tema iniziale. Ma pur essendo denso di elementi tematici complessi e «importanti», il brano non raggiunge dimensioni ed equilibrio da pezzo sinfonico autonomo: resta una parentesi, un momento di collegamento; e i violoncelli soli, con le movenze di un recitativo, conducono con uno stacco quasi cinematografico a un buffo tema di di marcia, che nella rappresentazione teatrale accompagnava l'entrata in scena di Bottom e degli altri artigiani. Dimensioni ed equilibrio da pezzo sinfonico autonomo, invece, li possiede senza dubbio il sesto brano, che in una Sinfonia potrebbe svolgere egregiamente il ruolo di secondo movimento, magari con il titolo di Andante cantabile. La forma è quella tripartita tipica dei movimenti lenti, e il materiale melodico principale è costituito da un'ampia e cantabile melodia affidata a corno e fagotti: melodia romanticissima, gravida di tutte le connotazioni «boschive» che siamo abituati ad associare al suono del corno. Un pezzo affascinante nella sua semplicità, e nella studiata povertà dei mezzi orchestrali impiegati.

Il settimo brano è quello che meno di tutti ha bisogno di presentazioni: si tratta infatti della famosissima Marcia nuziale, che tutti conoscono. Riascoltarla in questo contesto, dove alla fine del quarto atto introduceva le regali nozze attese sin dall'inizio della commedia, non toglie e non aggiunge nulla a quanto già possiamo sapere. Si tratta infatti di un brano stupendo, che merita la fama di cui gode, e nel quale si uniscono in un modo assolutamente irripetibile lo splendore dell'orchestra romantica, la ricchezza e la sontuosità dell'armonia e un'impareggiabile semplicità. Alla Marcia nuziale segue una Marcia funebre, che sulla scena accompagnava le esequie di Priamo, nella rappresentazione organizzata dai tessitori. Siamo nel regno della parodia, naturalmente, e il contrasto con il brano precedente non fa che metterlo maggiormente in risalto. Con il nono brano restiamo ancora nell'ambiente dei rozzi artigiani capeggiati da Bottom: questa volta si tratta di una vivace e divertente danza di stile contadino, basata su quello che nell'Ouverture era comparso come terzo tema. Chi avesse del tempo da perdere, a questo punto, potrebbe provare a chiedersi se Mendelssohn avesse pensato già quindici anni prima questo tema come associato alla compagnia di Bottom, o se abbia deciso quindici anni dopo di recuperare quel terzo tema con questa nuova funzione. Qualunque sia la risposta, d'altra parte, il risultato non cambia, e va sempre e comunque nella direzione della coerenza e della compattezza stilistica di queste musiche.

Il decimo e ultimo brano è il Finale, che conclude il lavoro con un'ulteriore spinta verso la compattezza e la coerenza interna. Inizia infatti con una ripresa della Marcia nuziale, che però sfuma a poco a poco verso un pianissimo. A questo punto ricompare del tutto inaspettatamente il fruscio di crome dell'Ouverture. Inizia quindi il Finale vero e proprio, come se si trattasse di una ripresa letterale dell'Ouverture: sigla iniziale, e quindi crome dei violini. Ma ecco una nuova sorpresa: le crome non sono più il tema, ma rappresentano questa volta l'accompagnamento a una nuova melodia eseguita dal coro degli Elfi. Il cerchio sichiude: a distanza di quindici anni quel primo tema dell'Ouverture è disposto a modificare la sua funzione senza nessuna forzatura, come se fin da allora fosse stato pensato per questo, e la rappresentazione si chiude con quella stessa sigla di accordi dei fiati da cui aveva preso le mosse.

Franco Sgrignoli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

A una condotta stilistica coerente e sempre omogenea è improntata la musa di Mendelssohn. Vera felicità e facilità, la sua, tale per cui i vari nodi problematici connessi allo spirito romantico si appianano precocemente. In Felix, si direbbe per innata vocazione, il rapporto dialettico fra classicismo e romanticismo raggiunge rapidamente un saldo sincretismo, privo dei retaggi sturmeriani, che si riscontrano in non pochi personaggi della cultura di allora.

Non per niente sua Eccellenza, il Consigliere di Corte di Weimar, Wolfgang Goethe, da tempo gettati alle spalle i sacri furori dello Sturm und Drang accoglie cordialmente, nel novembre 1821, un allievo di Zelter, il dodicenne Felix Mendelssohn Bartholdy: bello, elegante rampollo di facoltosa famiglia di finanzieri, soprattutto dotato di eccezionali, precoci attitudini di pianista e di compositore.

Visite più volte rinnovate nel salotto di Goethe, diventato punto d'incontro di grandi personaggi della cultura, compresi quelli legati all'area teatrale, tra cui lo scrittore di novelle e di pièces teatrali Ludwig Tieck, traduttore con August Wilhelm Schlegel di opere di Shakespeare. E ritroviamo Tieck a Berlino, al servizio di Re Guglielmo IV di Prussia, che nel contempo disponeva di Mendelssohn come suo "compositore privato". Nel 1843, in vista di una rappresentazione del Sogno del grande inglese, curata da Tieck al teatro di Potsdam, il re lo invitò a comporne le musiche di scena. Per Felix "pane per i suoi denti" codesto invito che tra l'altro lo rimandava a sedici anni innanzi quando, appena diciassettenne, aveva già dato al mondo un capolavoro, l'Ouverture per il Sogno di una notte di mezza estate, molto probabilmente sotto la spinta di assidue letture di Shakespeare (significativa la scella del giovinetto compositore per un'opera fiabesca).

Altro non fa, quindi che riprendere l'Ouverture com'era nata, estrarne disegni e motivi primari per comporre musiche necessarie all'allestimento: otto numeri, oltre ai brani inseriti nella recitazione.

Impiegando due soliste di canto, coro femminile e orchestra, Mendelssohn si riaggancia dunque alla pagina sinfonica del '26, usando un'ammirevole coerenza stilistica. Il gioco sottile svolto su diversi piani prospettici, reale e fittizio, del "teatro nel teatro", gli interventi soprannaturali di personaggi della mitologia celtica (Oberon e Titania e il genietto spiritoso e perverso Puck), danno luogo a interscambiabilità tra sogno e realtà, tra sentimenti autentici e illusori, con una rete di risonanza, echi, richiami, appelli, da cui Felix trae spunto per puntare le sue carte migliori sugli aspetti fiabeschi, grotteschi, sentimentali.

E a Puck si ispira il numero 1 della serie, lo Scherzo d'intonazione molto prossima all'Ouverture. Alle fate con le due soliste Mendelssohn presta una soavissima vocalità liederistica con le movenze di un Lullaby, indirizzato alla regina Titania. Il Notturno è un brano svincolato dalla genealogia dell'Ouverture: commenta il sonno di due vittime di sortilegi di Puck, che ne attende il risveglio per riportare le cose alla normalità. Il brano seguente, Marcia Nuziale, si riferisce alla recita del teatro nel teatro (nozze Teseo-Ippolita). L'incanto è interrotto da una Danza di villerecci che la penna mendelssohniana disegna con "falsa" rusticità insistita quasi con dandystica ironia.

Breve ripresa della Marcia nuziale in dissolvenza, poi la magica riapparizione dei quattro accordi originari e la vivace figurazione che li segue, ma con l'aggiunta di un canto corale delle fate e delle loro soliste per concludere sulla riapparizione del tema lirico centrale dell'Ouverture, intonato dal coro. La favola finisce su una velatura di malinconia, come per congedarsi da un sogno e dalla magia dei suoni fioriti dalla musa di Felix Mendelssohn Bartoldy.

Guido Turchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

A cose fatte, è sin troppo facile, a noi di oggi, pensare che per Mendelssohn il «Sogno» di Shakespeare fosse un po' un appuntamento obbligato. Sappiamo quanto fossero presenti, nell'accuratissima Bildung di Felix e Fanny le opere di Shakespeare: fra queste, non stupisce certo che a corrispondere affinità elettive col nostro compositore sia stato proprio il «Sogno di una notte di mezza estate». Shakespeare, si sa, piacque molto ai romantici anche perché ci ritrovavano quella categoria del fantastico, del soprannaturale, che della loro epoca era uno dei miti più frequentati: se poi, come spesso succedeva nell'eclettico panorama di affetti culturali del Romanticismo, c'era anche qualche frainteso nell'interpretazione di certi fenomeni letterari, niente di male. A Mendelssohn, vale a dire ad un artista che era fra i pochissimi in quel tempo, se non era addirittura l'unico, a potersi dimostrare sincero e «felice» mentre manipolava un materiale espressivo connotato quasi esclusivamente in positivo, il fantastico, considerato nei suoi aspetti oscuri, demonici, non poteva certo apparire attraente, o comunque stimolante alla creazione, quanto lo era nei suoi aspetti fiabeschi, popolati di fate e creature soprannaturali benigne. Avrebbe mai saputo accompagnare con la musica i capricci foschi delle streghe di «Macbeth», o perlomeno avrebbe saputo farlo cosi bene come lo ha fatto con gli incantesimi di Oberon e Titania, con i giochi della Natura verdissima, umanizzata nella magia di una notte che non conosce il buio?

L'Ouverture per il «Sogno» fu scritta, com'è noto, prestissimo. Nel 1826 Felix e Fanny, fratelli inseparabili anche nell'avventura artistica, videro a Berlino una rappresentazione del «Sogno»; la traduzione famosa di Schlegel e Tieck li entusiasmò: dalle letture ripetute nacque l'idea di una trasposizione musicale, che fu un brano per pianoforte a quattro mani (e con tutta probabilità le mani cui era primariamente destinato erano quelle dei due fratelli). Poi il pezzo venne strumentato — quant'è difficile usare questa parola, che sa di adattamento, di rimpasticcio di roba vecchia: chi penserebbe che questo miracolo di scrittura orchestrale è posteriore all'idea originale della pagina — e pubblicato come op. 21. Era la prima Ouverture di Mendelssohn, una vera Ouverture da concerto, con un suo programma. Se non esagera Robert Fiske, quando detta una guida all'ascolto attenta a cogliere tutte le allusioni al testo, l'impianto compositivo, pur rispettoso della forma sonatistica, suggerisce l'idea di una vera e propria sintesi della vicenda teatrale; la fisionomia, grosso modo, del piccolo poema sinfonico. È, comunque, uno dei capolavori di Mendelssohn, talmente perfetto che quando, in anni più maturi, egli si ritrovò davanti il «Sogno di una notte di mezza estate» — gli erano state richieste le musiche di scena per una rappresentazione voluta da Federico Guglielmo IV di Prussia — riprese tal quale l'Ouverture che aveva composto a diciassette anni; e potè accostarla ad una serie di pagine dove si dispiegavano in tutta la loro felicissima pienezza i suoi mezzi di compositore ormai espertissimo (si era fra il 1842 e il '43, ed aveva già scritto tutte le sue Sinfonie e tutte le Ouvertures, per parlar solo delle musiche orchestrali), senza che si notasse alcun salto di qualità, non solo, ma nemmen di stile. Né la destinazione originaria, abbastanza impegnativa, in fondo, impedi all'Ouverture di essere appropriatissimo, anche se un po' troppo ampio, «lever de rideau» in uno spettacolo teatrale.

Le musiche di scena, pubblicate come op. 61, comprendono, oltre all'Ouverture, tredici «numeri». Sono pagine sinfoniche, brani vocali, e «Melodramen» (in italiano li chiamiamo melologhi: sono pezzi dove la musica strumentale accompagna e commenta la recitazione degli attori; nel Singspiel tedesco servivano come mediazione ideale fra la prosa e le parti cantate). In sede di concerto si esegue, per lo più, una Suite cosi composta: Ouverture, Scherzo, Notturno e Marcia nuziale, oppure il complesso dei brani sinfonici e vocali, con l'esclusione dei melologhi. Pressappoco quel che avviene nel presente programma, dove si rinuncia solamente alla danza del quinto atto.

Il primo brano è lo Scherzo, destinato a seguire il primo atto. Con esso si prepara, dopo un atto interamente dedicato agli uomini (la corte di Teseo e Ippolita e il piccolo mondo degli artigiani), l'ingresso delle creature soprannaturali, sullo sfondo, gonfio di allusioni magiche, della foresta. Il virtuosismo arditissimo del flauto (abbastanza inedito, per l'epoca) annuncia il mondo fantastico di Puck e delie fate (ma «fairy», in inglese, come «Elfe» in tedesco, significa qualcosa di diverso dalla nostra fata; senza un sesso preciso, fra l'altro). Dal Melodram (n. 2) che vi segue direttamente è tratta la Marcia degli Elfi, che accompagna l'ingresso di Titania e del suo seguito.

Il terzo pezzo è un «Lied mit Chor». Due Elfi cantano una berceuse: sul sonno di Titania si passa direttamente ad un altro Melodram, quarto numero della partitura, mentre Oberon spreme sugli occhi di lei il succo del fiore magico. La conclusione dell'atto è commentata dall'Intermezzo (n. 5). Dall'atmosfera magica del secondo atto si è ricondotti alla realtà del mondo degli uomini: Ermia scompare nella foresta, nell'affannosa ricerca di Lisandro; nella seconda sezione dell'Intermezzo assistiamo all'ingresso del gruppo degli artigiani.

Nel terzo atto, un lungo Melodram (n. 6); al termine, il favoloso Notturno: il sonno delle coppie si colora di magia nel fascino irripetibile del timbro dei corni,in una pagina che segna una delle vette della poesia, naturalistica di Mendelssohn. Un altro Melodram nel quarto atto; poi, al numero 9, il brano più celebre, la Marcia Nuziale: il sipario si apre sull'ultimo atto, mentre sfila il corteo di Teseo e di Ippolita e dei loro cortigiani. Dal Melodram n. 10 è tratta una Marcia funebre, a commento di un episodio della recita degli artigiani (è il suicidio di Tisbe sul cadavere di Piramo!). La conclusione della commedia, dopo la danza (n. 11) e il Melodram (n. 12), soppressi in questa esecuzione, giunge con la canzone delle fate. Mondo reale e mondo fantastico si mescolano una volta di più: quale sarà quello più autentico? Si riascolta un motivo dell'Ouverture: Puck augura buonanotte agli spettatori.

Daniele Spini

Testo delle parti vocali

LIED MIT CHOR LIED CON CORO
Erster Elfe
Bunte Schlangen, zweigezüngt!
Igel, Molche, fort von hier!
Dass ihr euren Gift nicht bringt
In der Königin Revier!
Fort von hier!
Primo Elfo
Serpenti maculati, biforcuti!
Ricci, salamandre, via da qui!
Il vostro veleno non portate
nel quartiere della regina!
Via da qui!
Erster Elfe, Zweiter Elfe und Chor
Nachtigall, mit Melodei
Sing in unser Eya popey!
Eya popey! Eya popey!
Dass kein Spruch,
Kein Zauberfluch,
Der holden Herrin schädlich sei.
Nun gute Nacht mit Eya popey!
Primo Elfo, Secondo Elfo e Coro
Usignolo, melodioso,
canta con noi la ninnananna!
Ninnananna! Ninnananna!
Né incantesimo,
né scongiuro,
nuoccia alla dolce padrona.
Ora, buona notte, ninnananna!
Zweiter Elfe
Schwarze Käfer,
Uns umgebt nicht mit Summen,
Macht euch fort!
Spinnen die ihr künstlich webt,
Webt an einem andern Ort!
Secondo Elfo
Neri scarabei,
col ronzio non ci assordate,
v'allontanate!
Ragni, le vostre ragnatele
tessete in altro luogo!
Erster Elfe
Alles gut! Nun auf und fort!
Einer halte Wache dort!
Primo Elfo
Tutto a posto! Ora, su e via!
Uno faccia guardia là!
FINALE FINALE
Chor der Elfen
Bei des Feuers mattem Flimmern,
Geister, Elfen, stellt euch ein!
Tanzet in den bunten Zimmern
Manchen leichten Ringelreihn!
Singt nach seiner Lieder Weise!
Singet! hüpfet lose, leise!
Coro degli Elfi
Ai fioco bagliore del fuoco,
spiriti, elfi, comparite!
Nelle variopinte stanze,
lievi danzate a tondo!
Cantate ai suoi canti!
Cantate! balzate lievi, piano!
Erster Elfe (Solo)
Wirbelt mir mit zarter Kunst
Eine Not auf jedes Wort,
Hand in Hand, mit Feeengunst,
Singt und segnet diesen Ort!
Primo Elfo (Solo)
Con morbida arte turbinate,
una nota a ogni paróla;
mano nella mano, con grazia fatata,
cantate e benedite questo luogo!
Chor der Eifen
Bei des Feuers mattem Flimmern, etc.
Coro degli Elfi
Al fioco bagliore del fuoco, ecc.
Nun genung,
Fort im Sprung,
Trefft ihn in der Dämmerung!
Basta così,
via d'un balzo,
al crepuscolo lo incontrerete!
(Traduzione italiana di Olimpio Cescatti)

(1) Testo tratto dal n. 68 (Luglio 1995) della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 maggio 1990
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 5 giugno 1978


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Ultimo aggiornamento 30 dicembre 2018