Sonata n. 2 in re maggiore per violoncello e pianoforte, op. 58 (MWV Q32)


Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
  1. Allegro assai vivace (re maggiore)
  2. Allegretto scherzando (si minore)
  3. Adagio (sol maggiore)
  4. Molto Allegro e vivace (re maggiore)
Organico: violoncello, pianoforte
Composizione: Giugno 1843
Prima esecuzione privata: Berlino, residenza Mendelssohn, 29 Ottobre 1843
Prima esecuzione pubblica: Lipsia, 18 Novembre 1843
Edizione: Kistner, Lipsia, 1844
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Dicevamo pocanzi che il repertorio violoncellistico non era ricco, alla fine dell'Ottocento, di Sonate. Il "nucleo" classico era formato dalle cinque Sonate di Beethoven, il nucleo romantico dalle due Sonate di Mendelssohn e dalla trascuratissima Sonata di Chopin. Brahms aveva scritto nel 1865 la sua prima Sonata, op. 38; Saint-Saëns, nel 1873, la sua prima Sonata, op. 32; le due Sonate di Anton Rubinstein non avevano ottenuto alcuna diffusione, né furono coronati dal successo gli sforzi di Alfredo Piatti (quattro Sonate scritte verso il 1880), e anche le Sonate di Brahms e di Saint-Saëns non ebbero una vera circolazione concertistica. A questo striminzito repertorio, Grieg aggiunse nel 1883 la Sonata op. 36, e Strauss la Sonata op. 6; nel 1886, con la Sonata op. 99 di Brahms, si chiudeva in pratica il capitolo classico-romantico della Sonata per violoncello e pianoforte.

Il sintetico excursus storico ci consente di capire quale importanza sia da assegnare alle due Sonate di Felix Mendelssohn-Bartholdy: l'op. 45 in si bemolle maggiore, composta nel 1838 e pubblicata nel 1839, e l'op. 58 in re maggiore, composta nel 1845 e pubblicata nello stesso anno a Lipsia. L'edizione uscita quasi contemporaneamente a Parigi è intitolata Duo. Il termine era già stato usato da Schubert per una Sonata per violino e pianoforte, e la scelta era dovuta alla volontà del compositore di indicare attraverso il titolo la pari dignità e il trattamento paritetico riservato allo strumento ad arco e al pianoforte, mentre i pezzi per violino, o per violoncello e pianoforte, assegnavano allo strumento a tastiera un compito di semplice accompagnamento.

Verso il 1890, come abbiamo detto pocanzi, i pezzi per violoncello e pianoforte erano dovuti alla penna di compositori come Dvorak e Fauré o di virtuosi come Braga o Popper. Nel 1830-40 i virtuosi di grido, e compositori per il loro strumento, erano Adrien-François Servais, August Franchomme, Alexander Batta e Alfredo Piatti (non ancora convertito al sonatismo), che seguivano il solco del virtuosismo paganiniano e lisztiano. Le due Sonate di Mendelssohn, andando controcorrente, si riallacciavano idealmente a Beethoven e all'allievo di Beethoven, Ferdinand Ries. Nella Sonata op. 58 il riferimento a Beethoven è evidente nel primo tempo. Tuttavia Mendelssohn mostra di preferire il Beethoven giovanile delle Sonate op. 5 al Beethoven maturo della Sonata op. 69 o al tardo Beethoven delle Sonate op. 102: i temi sono costruiti sulle funzioni armoniche fondamentali, la scrittura pianistica e violoncellistica è trasparente, lineare, e l'insieme risulta spesso - spesso, non sempre - immerso in una luce tardosettecentesca quanto mai suggestiva perché indiretta. La costruzione è classica, con esposizione, sviluppo, riesposizione, ed un'ampia, frenetica, entusiasmante coda.

Al primo tempo, in re maggiore, segue un secondo tempo in si minore, beethoveniano di spirito ma rivolto verso il Beethoven della Ottava Sinfonia invece che verso il giovane Beethoven. Non consueta è la forma - Allegretto scherzando in luogo di scherzo - e non consueta è la tonalità, mentre consueto, scherzando, è il carattere della composizione. Mendelssohn, grande creatore di scherzi fatati, di danze di elfi, si accosta qui allo spirito dell'umorismo viennese beethoveniano (e anche schubertiano), delineando un quadretto di genere che avrebbe potuto vivere anche come pezzo isolato.

I violoncellisti romantici tendevano a mettere in luce le qualità cantabili del loro strumento, che poteva liricizzarsi fino a sembrare un baritono nobile; e proprio in quegli anni Wagner, nel Tannhäuser, scriveva una romanza per baritono che sarebbe finita dritta dritta nel repertorio violoncellistico.

L'Adagio della Sonata di Mendelssohn, piuttosto breve, è un arioso del violoncello, appassionato e animato, accompagnato da grandi accordi arpeggiati del pianoforte: una specie di "canto del bardo", che dimostra come Mendelssohn tenesse conto, e non inopportunamente, del contesto in cui la sua Sonata andava a cascare, e come non rifiutasse dunque l'estetica del caratteristico. La tonalità dell'Adagio, sol maggiore, è tradizionale rispetto al re maggiore del primo e dell'ultimo tempo.

Nel finale l'equilibrio tra i due strumenti, che era stato meticolosamente mantenuto nei primi due tempi e che si era rotto a vantaggio del violoncello nel terzo, si rompe di nuovo, questa volta a vantaggio del pianoforte. Sebbene il violoncello, all'inizio, ribatta punto per punto le virtuosistiche cascate di note del pianoforte, la sua funzione diventa poi quella di strumento melodico, mentre al pianoforte spetta di condurre la propulsione ritmica a livelli di tensione elevatissimi. La conclusione, come spesso avviene in Mendelssohn, è travolgente.

Secondo un uso editoriale consueto a quel tempo, e ancora per tutto il secolo, la parte del violoncello venne anche pubblicata in un adattamento per violino. La Sonata op. 58 è dedicata al conte Mathieu Wielhorsky (Matvej'Viel'horskij), violoncellista, ma soprattutto mecenate russo, nato a San Pietroburgo nel 1794 e promotore della vita musicale nella capitale dell'impero zarista. Matvej Viel'horskij è meno noto del fratello maggiore Michail, che studiò con Cherubini, conobbe Beethoven, fu amico di Liszt e di Robert e Clara Schumann. Michail fu compositore molto impegnato, autore tra l'altro di due Sinfonie, mentre Matvej si dedicò con passione all'organizzazione musicale, promuovendo nel 1840 la nascita della Società Sinfonica, della Società dei Concerti nel 1850 e della Imperiale Società Russa di Musica nel 1859. Morì a Nizza nel 1866, e lasciò il suo violoncello Stradivari al ventottenne Karl J. Davydov, che sarebbe più tardi diventato il più celebre violoncellista russo dell'Ottocento. Mendelssohn, evidentemente, non poteva trovare miglior dedicatario per una composizione che affermava il valore culturale della tradizione classica.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata in re maggiore op. 58 per violoncello e pianoforte, dedicata al conte russo Mathieu Wielhorsky, violoncellista dilettante, venne scritta da Mendelssohn tra la fine del 1842 e l'estate del 1843. La partitura è carica di irruenta passione che si alterna a momenti più riservati e intimi e si articola in quattro movimenti, unico caso nel corpus sonatistico di Mendelssohn.

Il primo movimento, Allegro assai vivace, si apre con un tema pieno di slancio e di vitalità esposto dal violoncello. È un motivo ascendente di marca tipicamente mendelssohniana, che subito il pianoforte fa suo. Una transizione ricca di spunti melodici porta al secondo tema, più lirico e sognante, ma anch'esso dotato di quella carica ritmica e di quella gioiosa esplosività che caratterizzano tutta la sonata. Il ritorno del primo tema, ora alla dominante e sostenuto da guizzanti arpeggi del pianoforte, precede la coda dell'esposizione, caratterizzata da misteriosi accordi del pianoforte in pianissimo. La sezione di sviluppo può essere divisa in quattro parti: nella prima troviamo un intenso dialogo fra i due strumenti basato sull'incipit del primo tema, nella seconda il violoncello proietta il primo tema in progressioni modulanti sostenuto dai guizzanti arpeggi del pianoforte, già uditi. Nella terza parte cresce l'intensità del discorso musicale fino a esplodere nel ritorno del secondo tema affidato al pianoforte in fortissimo; l'ultima parte dello sviluppo è in realtà una "falsa ripresa" del primo tema in una tonalità lontana che prepara abilmente, dopo la modulazione a re maggiore, la ripresa vera e propria. Quest'ultima scorre regolare e fluida fino alla trascinante coda, dominata ancora una volta dallo slancio vitale del primo tema (violoncello), sostenuto dagli arpeggi del pianoforte.

L'Allegretto scherzando ci introduce nel magico e un po' misterioso mondo degli gnomi: questa è l'impressione che si ha ascoltando il tema principale in si minore, esposto dal pianoforte in staccato e dal violoncello in pizzicato. Per contrasto il tema secondario, in sol maggiore, ha un carattere nobilmente cantabile e viene infatti affidato solo al violoncello (arco), che esalta qui il caldo timbro del suo registro centrale. Il tema principale viene poi ripreso, ma appare ora più inquieto e misterioso nel ritmo pulsante della mano sinistra del pianoforte, ora quasi aggressivo nelle ottave a due mani che sostengono il tema del violoncello. Un crescendo dinamico porta alla ripresa del tema secondario seguita dalla coda che chiude in pianissimo il movimento.

Molto originale è la struttura del terzo movimento, Adagio, che si apre con una sorta di religioso corale costituito da una serie di ampi arpeggi a due mani del pianoforte. Dopo questo solenne sipario ancor più efficace è l'ingresso del violoncello, che avviene con un intenso recitativo nel registro medio-acuto, sul quale il pianoforte si limita ad appoggiare i suoi accordi. Una combinazione dei due elementi precedenti, col pianoforte che riprende gli arpeggi introduttivi sopra il recitativo del violoncello, precede l'epilogo finale affidato al pianoforte sopra un lungo pedale del violoncello.

All'insegna del virtuosismo e della spensieratezza si apre invece l'ultimo movimento, Molto Allegro e vivace: aggressivi arpeggi del pianoforte servono da "lancio" al primo tema, dal carattere giovanile ed esuberante. Anche il secondo tema, in la maggiore, esposto prima dal pianoforte e subito dopo dal violoncello è un motivo saltellante e gioioso (leggiero scherzando scrive Mendelssohn in partitura). Una progressione ascendente che utilizza l'incipit del primo tema (prima al pianoforte poi al violoncello) culmina in un motivo di quattro note discendenti esposto in terze dai due strumenti, apice dinamico dell'esposizione che tosto si chiude con una codetta dal carattere brillante, basata sul secondo tema. Molto stringata è la sezione di sviluppo, che combina abilmente elementi motivici tratti dai due temi a volate virtuosistiche (veloci scalette, arpeggi) nei due strumenti. Mendelssohn ha fretta di ritornare al brio del primo tema, al quale succedono regolarmente le altre sezioni udite nell'esposizione. Il finale della sonata è dominato da una scrittura virtuoslstica nella quale i due strumenti battagliano allegramente riprendendo elementi motivici dei due temi principali abilmente combinati a brillanti figurazioni strumentali (veloci scalette di semicrome nel violoncello, arpeggi e ottave nel pianoforte).

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La voce grave del violoncello era destinata a suscitare un'intima eco nella sensibilità dei grandi musicisti del periodo romantico, che consideravano la musica da camera l'ambito ideale per questo strumento dal timbro suggestivo e meditativo, non sufficientemente brillante e agile per il concerto orchestrale, dove era necessaria una certa dose d'estroversione e di virtuosismo per arrivare agli ascoltatori (conferma la regola il Concerto per violoncello di Schumann, cui il tono raccolto e cameristico gli precluse a lungo non soltanto il successo ma anche la possibilità di venire eseguito). Ad aprire la strada ai romantici era stato Beethoven, con la magnifica serie delle sue cinque Sonate, cui seguirono Schubert (se è lecito, come d'altronde avviene normalmente nelle esecuzioni attuali, considerare il violoncello un valido sostituto dell'arpeggione, per il quale è scritta la sua Sonata D. 821), Chopin, Mendelssohn, Schumann e più tardi Brahmis e vari compositori come Bruch e Grieg, autori di sonate, variazioni, fantasie e altri pezzi per violoncello e pianoforte, che formano un repertorio cospicuo se non per quantità quanto meno per qualità.

Nel catalogo di Mendelssohn s'incontrano, disseminate dal 1829 al 1845, quattro composizioni per violoncello e pianoforte, ingiustamente poco eseguite e oggi quasi dimenticate: sono le Variazioni concertanti op. 17, la Sonata in Si bemolle maggiore op. 45 e la Sonata in Re maggiore op. 58 e infine la Romanza senza parole op. 109, che, insieme alle calde e ampie melodie affidate al violoncello nelle ouvertures Le Ebridi e Ruy Blas e nell'oratorio Elia, testimoniano un profondo amore per questo strumento. La Sonata op. 58 venne composta nel 1843 e dedicata al conte Mathieu Wiehlorsky, mecenate russo e violoncellista dilettante: eseguita per la prima volta il 29 ottobre di quell'anno nella sontuosa residenza berlinese della famiglia Mendelssohn, fu presentata in pubblico il 18 novembre al Gewandhaus di Lipsia dal violoncellista Karl Wittmann e dall'autore stesso al pianoforte.

Mendelssohn - che nelle giovanili Variazioni concertanti op. 17 non aveva saputo valorizzare in pieno il violoncello, soverchiato dalla prevaricante e virtuosistica presenza del pianoforte - nella Sonata op. 58 tratta entrambi gli strumenti con perfetta conoscenza delle loro caratteristiche individuali e soprattutto dimostra una matura padronanza di questo duo costituito da strumenti dalle possibilità molto diverse e difficilmente amalgamabili. La maturità della concezione di questa sonata è confermata anche dall'articolazione in quattro movimenti invece dei tre comuni a tutte le altre sonate di Mendelssohn. L'Allegro assai vivace iniziale è in un tempo di 6/8 che s'incontra molto raramente in un primo movimento ma che era già stato usato da Mendelssohn per l'inizio della Sinfonia "Italiana". Il tono è accesamente romantico, con un primo tema d'esuberante vitalità, presentato dal violoncello e subito dopo ripetuto dal pianoforte, cui si contrappone un secondo tema molto lirico; il ritorno del primo tema al violoncello sull'accompagnamento in arpeggi brillanti e leggeri del pianoforte avvia la sezione di sviluppo di questo movimento, costruito con un'architettura ampia e solida di matrice classica.

L'Allegretto scherzando, in Si minore, è degno di stare accanto alla musica fatata che Mendelssohn ha scritto per gli elfi del Sogno d'una notte di mezza estate: in questa pagina sospesa tra fantasia e ironia il violoncello si rivela capace di stupefacente leggerezza e di meravigliosi colori dai riflessi perlacei, che lasciano spazio nella parte centrale del movimento a un tema molto cantabile, sempre perfettamente elegante e senza concessioni sentimentaleggianti. E' invece l'autore del Paulus e dell'Elia che ritroviamo nel terzo movimento, un Adagio in Sol maggiore aperto dalla nobile meditazione d'un corale, suonato dal pianoforte sempre arpeggiando e col pedale abbassato, mentre il violoncello entra con una frase nobilmente eloquente: questi due elementi finiscono col sovrapporsi, finché nelle ultime battute il pianoforte assume la frase che era del violoncello, sotto la quale Mendelssohn affida al violoncello un curioso effetto, facendo risuonare a lungo con l'archetto un Sol grave e contemporaneamente ripetendo lo stesso Sol per dodici volte in pizzicato (vi si devono forse riconoscere i dodici rintocchi della mezzanotte, come in tante musiche d'ambientazione notturna del XIX secolo?). Il quarto movimento, Molto allegro e vivace, richiede agli esecutori un notevole impegno virtuosistico e agli ascoltatori un approccio facile e disimpegnato: è un rondò mozzafiato che dà a questa sonata un finale pieno di spirito e di buon umore ma anche di temperamento e d'energia.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 11 Gennaio 1992
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 228 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 24 novembre 1998


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Ultimo aggiornamento 18 gennaio 2015