Sonata in fa maggiore per violino e pianoforte, senza n. di opus (MWV Q7)


Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
  1. Allegro
  2. Andante
  3. Presto
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1820
Guida all'ascolto (nota 1)

In genere Mendelssohn viene definito un musicista in cui confluiscono e si integrano perfettamente il classico e il romantico, due aggettivazioni stilistiche distinte, ma non contrastanti fra di loro. Infatti questo compositore assorbe dal classicismo l'amore per le costruzioni chiare e luminosamente scandite del linguaggio musicale e nello stesso tempo è sensibile alla poetica del fantastico e dell'irreale che fermentava con particolare libertà e vivacità di accenti nel tumultuoso panorama del Romanticismo tedesco. È evidente però che la parola "classico" non vuol dire soltanto una spiccata preferenza per i valori formali nel rispetto di una disposizione precisa ed equilibrata di certe regole del comporre, né il termine "romantico" sta a significare l'adesione ad un mondo armonico, timbrico e ritmico che tenga conto di leggi profondamente diverse dalla simmetria dell'architettura classica. In fondo il problema non è per così dire di scelte esteriori di un modo di organizzare i suoni, quanto piuttosto di capacità di esprimere e comunicare più direttamente il flusso delle proprie emozioni da parte dell'artista. In questo senso, specie nella musica strumentale e cameristica, quella chiamata musica pura perché libera dal peso delle parole, si dispiega al meglio la sensibilità e il temperamento creativo di Mendelssohn. Primi fra tutti vanno citati gli otto quaderni dei pianistici Lieder ohne Worte (Romanze senza parole), che diedero enorme fama all'autore. C'è in essi la summa di tutte le conquiste tecniche raggiunte dal pianoforte in quel periodo e il musicista riesce a far cantare lo strumento meglio della voce umana e ad esprimere tutti i sentimenti dell'animo, proiettati su uno sfondo di sognante poesia. Composti in epoche diverse tra il 1829 e il 1845, per oltre tanti decenni, a causa della loro relativa semplicità tecnica, queste "romanze" hanno richiamato l'attenzione e suscitato l'entusiasmo dei pianisti dilettanti di ambo i sessi, conquistati dalla varietà delle figurazioni ritmiche e armoniche dei vari quadretti concepiti come veri e propri acquarelli dai colori morbidi e pastosi. Come componimenti elaborati nella forma del Lied, e del duetto, oppure come brani che anche nel titolo (barcarola, ninna-nanna, filatrici, cacce, canti popolari, melodie di stile francese, italiano etc.) si inseriscono nella cornice dei "pezzi caratteristici", le Romanze senza parole hanno in comune un affettuoso e cordiale sentimentalismo, considerato la sigla psicologica di Mendelssohn. Nello stesso ambito espressivo si collocano il Rondò capriccioso op. 14, la Fantasia op. 15, il Perpetuum mobile op. 119, le diciassette Variations sérieuses op. 54 e le tre Sonate per pianoforte, in sol minore op. 105, in mi maggiore op. 6 e in si bemolle maggiore op. 106 con quel gioco dei pianissimi e degli staccati, appartenenti al Mendelssohn più sinceramente personale. Non va dimenticata comunque la produzione cameristica del musicista, a cominciare dall'Ottetto in mi bemolle maggiore op. 20 per quattro violini, due viole e due violoncelli, finito di scrivere il 20 ottobre del 1825 e considerato un modello del genere per la perfetta fusione delle parti e la varietà sinfonica dell'insieme, nel quadro di una fluidità melodica di pregevole eleganza sonora. Né vanno trascurati il Sestetto per archi op. 110 (1824) e il Quintetto in la maggiore per due violini, due viole e violoncello op. 18 (1831), ma è certamente la forma quartettistica quella in cui il compositore raggiunge la più omogenea fusione fra sviluppo tecnico e dialettica tematica. In particolare i tre Quartetti dell'op. 44 (in re maggiore, in si minore e in mi bemolle maggiore) rivelano quel lirismo romantico di classica bellezza in cui l'artista non ebbe rivali, o quasi.

Forse le due Sonate per violino e pianoforte, quella in fa minore del 1823 e quella in fa maggiore del 1838 non raggiungono il livello e l'importanza delle composizioni citate, ma sono ugualmente indicative della sensibilità creatrice di Mendelssohn e della sua cifra classicista. Per limitarci alla Sonata in fa maggiore si può dire che essa si distingue per la purezza e l'eleganza dell'invenzione melodica e la brillantezza spumeggiale dei tempi allegri, condotti con quella travolgente forza ritmica, tipica degli Scherzi di questo autore. Si passa dall'Allegro vivace improntato a spigliatezza e a cordialità diaccenti musicali in un clima di calda tensione sentimentale, nel gioco ben misurato tra crescendo e diminuendo, all'Adagio pensoso e meditativo, ma sereno e dolce nel suo respiro cantabile, premonitore di certi passaggi quartettistici brahmsiani (il violino si espande e si ripiega in se stesso con straordinaria finezza di coloriture). Il brano si conclude con un Assai vivace punteggiato da una frastagliata fioritura ritmica quanto mai fresca e leggera, come l'aria di un mattino d'estate.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 2 maggio 1986


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Ultimo aggiornamento 14 gennaio 2012