Sonata in fa minore per violino e pianoforte, op. 4 (MWV Q12)


Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
  1. Adagio (fa minore). Allegro moderato (fa minore)
  2. Poco Adagio (la bemolle maggiore)
  3. Allegro agitato (fa minore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1825
Edizione: Hofmeister, Lipsia, 1825
Guida all'ascolto (nota 1)

Per ragioni a noi ignote, ma verosimilmente consistenti nella mancanza di un occasionale, potente stimolo creativo, l'autore del Concerto in mi minore non ci ha lasciato un degno contraltare violinistico nel genere da camera. Delle due Sonate per violino e pianoforte comprese nel catalogo mendelssohniano, la seconda, composta nel 1838, rimase inedita fino a vent'anni fa, mentre la prima, quella inclusa nel presente programma, risale al 1823, ossia agli anni di apprendistato dell'enfant prodige quattordicenne, che allineava con bella disinvoltura sinfonie per archi, pezzi per pianoforte, quartetti e operine da camera, nonché traduzioni di Terenzio, Dante e Boccaccio e acquarelli di pregevole fattura sotto gli occhi ammirati di Goethe. Sfiducia o noncuranza per un «genere», che tuttavia vanno considerate nell'andamento complessivo della creatività mendelssohniana nel settore cameristico: un andamento discontinuo e, si direbbe, privo di quella sistematica coerenza, tanto evidente nell'ultimo Schubert e in Schumann, per tacere poi di Brahms.

Eppure, fu col più serio impegno di «far grande» che l'adolescente si accostò al duo strumentale su cui incombevano da vicino le ombre deterrenti dei capolavori beethoveniani. Senza meno dal modello della Kreutzer proviene, infatti, quella eloquente cadenza violinistica in stile recitativo, posta ad apertura della Sonata e conclusa sull'inevitabile suspense di una «corona». Dopo di che, l'Allegro moderato (che è tale anche nelle pretese virtuosistiche verso i due strumenti) si svolge in un impeccabile schema sonatistico soffuso di delicato, elegante pathos.

Assai più cherubiniana che beethoveniana è la cesellata levigatezza del Poco adagio, il quale tuttavia riserba una seconda idea dal disteso arco melodico sviluppato attraverso una tensione modulante di sorprendente efficacia.

A questa pagina di alta bravura compositiva fa seguito il movimento più intimamente originale della Sonata, un Allegro agitato in sei ottavi, nella cui sottile inquietudine, culminante, poco prima della fine, in una seconda cadenza per violino solo, è già tutta la Stimmung delle migliori Romanze senza parole di genere patetico.

Giovanni Carli Ballola


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 6 aprile 1977


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Ultimo aggiornamento 7 marzo 2013