Couleurs de la Cité Céleste

per pianoforte, fiati e percussioni

Musica: Olivier Messiaen (1908 - 1992)

Citazioni contenute nel pezzo:
  1. « Un arc-en-ciel encerclait le trône... » (Apoc., IV, 3)
  2. « Et les sept anges avaient sept trompettes... » (Apoc., VIII, 6)
  3. « On donna à l'étoile la clef du puits de l'abîme... » (Apoc., IX, 1)
  4. « L'éclat de la ville sainte est semblable au jaspe cristallin... » (Apoc., XXI, 11)
  5. « Les fondements du mur de la ville sont ornés de toute pierre précieuse: jaspe, saphir, chalcédoine, émeraude, sardonyx, cornaline, chrysolithe, topaze, chrysoprase, hyacinthe, améthyste... » (Apoc., XXI, 19, 20).
Organico: pianoforte solista, 3 clarinetti, 2 corni, tromba piccola, 3 trombe, 3 tromboni, trombone basso, xilofono, xilorimba, marimba, campanacci, campane tubolari, 4 gong, 2 tam-tam
Composizione: 1963
Prima esecuzione: Donaueschingen, Stadthalle, 17 ottobre 1964
Edizione: Alphonse Leduc, Parigi, 1967
Guida all'ascolto (nota 1)

Un passo tratto da un testo fondamentale del cattolicesimo francese tra le due guerre, Du sens figuré de l'Ecriture di Paul Claudel, recita: «Mais l'homme n'est pas un être isolé dans la création. Il lui est rattaché de tous côtés par les liens de l'analogie, de la construction et du plan, probablement de plus qu'une seule manière, de la causalité. Donc si l'homme est fait à la rassemblence de Dieu, c'est tout la nature aussi, à qui tant de liens le rattachent, qui partecipe à cette ressemblance». Non solo l'uomo, dunque, partecipa alla somiglianza con Dio, ma la natura tutta intera. Il linguaggio musicale di Olivier Messiaen, culminante non a caso nell'opera Saint François d'Assise, trova la sua fonte d'ispirazione in una lettura pastorale del mondo cristiano, esprimendo in primo luogo l'aspetto mistico e simbolico della fede. L'assoluta originalità di Messiaen diventa comprensibile soltanto sullo sfondo di un pensiero religioso, che nella Francia del primo Novecento formava un blocco unico con le inquietudini spirituali di filosofi e scrittori impegnati in maniera costante a dialogare con la cultura contemporanea. La musica di Messiaen aspirava a trascrivere in linguaggio dei suoni il senso intimo di una realtà spirituale nascosta nelle cose e nella materia stessa del creato, espressa tramite la foresta di simboli nella quale è calata la vita dell'uomo. Come scriveva San Paolo, nella Prima lettera ai Corinzi, "ora vediamo come in uno specchio, in maniera oscura; ma allora vedremo faccia a faccia".

Messiaen intendeva forgiare un linguaggio musicale che fosse del tutto svuotato da una visione personale del mondo, conducendo in maniera tenace e meticolosa una ricerca di forme espressive radicalmente estranee alle correnti principali della musica europea. Il percorso mistico della fenomenologia musicale di Messiaen, alla ricerca di una lingua esatta per trascrivere la realtà mistica sentita dentro di sé, procedeva infatti lungo le tappe di un viaggio per molti aspetti unico e irripetibile nel tempo e nello spazio. Nei primi lavori degli anni Trenta Messiaen era incuriosito dal linguaggio antico del canto monodico gregoriano, scoprendo per esempio nella musica di Gian Francesco Malipiero un modello d'ispirazione. In seguito la scoperta dell'Oriente, già cantato da Rimbaud ("je retournais à l'Orient et è la sagesse première et éternelle"), schiudeva a Messiaen le porte di un mondo pulsante di ritmi d'incomparabile sottigliezza rispetto al nostro e a un sentimento del tempo profondamente diverso. Ma sul finire degli anni Quaranta una nuova e sconvolgente fonte di materiali sonori cominciava ad alimentare il suo lavoro. Messiaen comprendeva come la natura stessa fosse in grado d'esprimere la mistica della creazione, senza bisogno di ricorrere alla mediazione del pensiero umano. Iniziava così l'incredibile avventura spirituale dei cahiers. Centinaia di quaderni vennero riempiti nel corso dei successivi decenni con trascrizioni non solo del verso degli uccelli, ma anche di fenomeni sonori d'altro genere, come il rumore delle cascate d'acqua o il fischio del vento tra i rami del bosco.

Colore è un termine ricorrente, nel lavoro di Messiaen. «Gli ottoni dovrebbero, per così dire, "suonare rosso"; i fiati dovrebbero "suonare blu" e così via», sosteneva l'autore in un ciclo di conversazioni con Claude Samuel, pubblicate in un volume intitolato Musique et couleurs. Messiaen intendeva il colore come un'aggregazione di armonia e timbro, in maniera diversa dal tradizionale concetto in uso nel lessico musicale. L'accento mistico conferito al colore, come espressione di una qualità intrinseca e svincolata dalle leggi del tempo della materia, si combinava in questo caso al carattere simbolico degli strumenti. L'origine di Couleurs de la Cité céleste risale al 1962, quando la figura di Messiaen s'era ormai affermata in maniera definitiva sulla scena musicale internazionale. Heinrich Strobel, anima del Festival di Donaueschingen, propose al musicista di scrivere un nuovo lavoro, che venne eseguito la prima volta il 17 ottobre 1964 con Yvonne Loriod al pianoforte e un ensemble strumentale diretto da Pierre Boulez. Il vincolo d'includere nell'organico un trio di xilofoni e uno di tromboni, associati per tradizione all'aldilà, suscitò l'idea di ricorrere al libro dell'Apocalisse. Messiaen non aveva più affrontato da quasi vent'anni musica da concerto d'ispirazione religiosa.

Nell'introduzione della partitura, l'autore indicava come fonte del lavoro cinque versetti dell'Apocalisse. L'ultimo, in particolare, merita di essere riportato per intero: «I fondamenti delle mura della città erano adorni d'ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento era di diaspro; il secondo di zaffiro; il terzo di calcedonio; il quarto di smeraldo; il quinto di sardonico; il sesto di sardio; il settimo di crisòlito; l'ottavo di berillio; il nono di topazio; il decimo di crisopazio; l'undicesimo di giacinto; il dodicesimo di ametista».

Ciascuna pietra conferisce un colore particolare alla musica, secondo un criterio espresso dallo stesso autore: «La forma di quest'opera dipende interamente dai colori. I temi melodici o ritmici, i complessi di suoni e di timbri evolvono alla maniera dei colori. Nelle loro variazioni in perenne rinnovamento, si possono trovare (per analogia) dei colori caldi e freddi, dei colori complementari che influenzano i loro vicini, dei colori smorzati verso il bianco, rinforzati dal nero. Si possono anche comparare queste trasformazioni a dei personaggi che agiscono su molteplici piani sovrapposti e svolgono simultaneamente molteplici storie differenti». Quest'ultima annotazione getta una luce inattesa sullo stile di Messiaen, reduce dal clamoroso scandalo suscitato dal precedente lavoro orchestrale, Chronochromie, scandaloso emblema della rivoluzione linguistica del dopoguerra. Nella musica di Messiaen, le permutazioni degli elementi ritmici e melodici proliferano in maniera tumultuosa, generando un'estrema tensione tra il massimo della disciplina e il massimo della libertà. Per un mistico come Messiaen la relazione tra tempo e spazio costituiva il fondamento imprescindibile d'ogni esperienza musicale. Benché le sue ricerche sul ritmo fossero ritenute dai musicisti d'avanguardia un punto di partenza del loro lavoro, Messiaen era del tutto estraneo ai principi dello strutturalismo, e il riferimento a un implicito carattere rappresentativo di questo lavoro ne costituisce forse la migliore conferma.

Il materiale di Couleurs manifesta un'eccezionale ricchezza. La struttura del lavoro si basa sulla combinazione di tre classi di elementi musicali. La prima è costituita da aggregazioni di suoni, che formano una paletta di colori precisi in corrispondenza ai valori cromatici delle pietre evocate dal testo. La seconda contiene vari motivi dell'Alleluia, provenienti dalla tradizione del canto monodico. Infine la terza è formata dal canto di un cospicuo numero di uccelli, ben diciassette, scelti tra esemplari presenti in Nuova Zelanda, in Argentina, in Brasile, in Venezuela e in Canada. Questi vari elementi, indicati in maniera molto puntuale sulla partitura, vengono combinati assieme secondo una griglia di ritmi e di durate ordinata secondo criteri razionali, in base a rapporti simmetrici e permutazioni ritmiche. L'organico così inconsueto conferisce al lavoro un fascino sonoro particolare. Il pianoforte, in stile concertante, dialoga con un ensemble di strumenti formato da una colonna di ottoni, che vanno dal trombone basso alla tromba acuta in re, da un insieme di tre percussioni di legno (marimba, xilofono e xilomarimba) e tre di metallo, da un trio di clarinetti. Come si vede, anche la scelta della strumentazione rispecchia la natura mistica di questo lavoro, concepito sulla simbologia della Trinità e delle trombe dell'Apocalisse.

La forma riproduce l'intenzione dell'autore di porre la musica fuori dal tempo lineare dell'esperienza umana, "dans une lumière sans lumière, dans une nuit sans nuit...". Le precise linee di suono gettate sul silenzio dello spazio musicale come pennellate di colore non propongono un tema da sviluppare o un contrasto espressivo da elaborare, bensì manifestano semplicemente un divenire immobile, per così dire, in perenne trasformazione.

L'unico momento di Couleurs in leggero contrasto con la forma estatica avviene quando la visione musicale presenta l'immagine della tromba del quinto angelo, «io vidi un astro che era caduto dal cielo sulla terra; e a lui fu data la chiave del pozzo dell'abisso» è scritto nel capitolo IX dell'Apocalisse. Un lampo di suono violentissimo scaturito dal pianoforte attraversa la musica, increspando un attimo la quiete dell'estasi con drammatica forza espressiva, per poi distendersi nel corale Alleluia del Santo Sacramento. Ma il canto degli uccelli, simbolo della natura divina del creato, riprende ogni volta il suo corso, racchiudendo la musica in una forma ciclica. «Comune è infatti il principio e la fine nella circonferenza del cerchio», recita un frammento di Eraclito l'oscuro. La musica di Couleurs non ha un vero inizio, né una vera fine. Dopo il Lent dell'Alleluia del Santo Sacramento segue di nuovo Un peu vif, riempito dal verso dell'Araponga brasiliano come all'inizio da quello dell'uccello Tui della Nuova Zelanda, e potrebbe ripetersi così all'infinito.

Oreste Bossini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorium Parco della Musica, 3 maggio 2008


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Ultimo aggiornamento 30 giugno 2017