La Sestina, su versi di Scipione Agnelli, fu composta nel 1600 e data alle stampe nel 1614. Essa consta di sei Madrigali dedicati alla memoria di una giovane cantatrice, Caterinuccia Martinelli, prematuramente morta. Il drammaticismo ha ormai permeato nelle intime strutture la polifonia madrigalistica monteverdiana, che risüona con accentuazioni ed espressioni tipicamente monodiche, piegandosi ad un'effusione patetica greve di sconsolata accoratezza.
Giovanni Carli Ballola
Le innovazioni monteverdiane «che a quel tempo rappresentavano le imperfezioni della moderna musica», per dirla coll'Artusi) si rivelano invece appieno ne «Il sesto libro de Madrigali a cinque voci con uno Dialogo a Sette con il suo Basso continuo per poterli concertare nel clavicembalo e altri Stromenti di Claudio Monteverdi..»: secondo H. Prunières basterebbe questo solo frontespizio a testimoniare la fine dell'ideale polifonico, poiché «il basso continuo permette di ridurre al clavicembalo le diverse voci, lasciandone dominare una». Ma non tutti i Madrigali del «Sesto libro» hanno il «continuo»: tra quelli che ne sono privi figura il gruppo della «Sestina» Lacrime d'amante al sepolcro dell'amata che Monteverdi aveva composto nel 1610, cioè quattro anni prima della pubblicazione della raccolta. La «Sestina» è dedicata alla memoria della cantante Caterinuccia Martinelli, la «Romanina», morta nel 1608 all'età di soli diciotto anni. La piccola Caterina era stata portata a Mantova alla Corte di Vincenzo Gonzaga quando aveva tredici anni e, messa in casa di Monteverdi per essere educata alla musica, ne era diventata l'allieva prediletta. La morte la colse proprio mentre si apprestava a dar vita per la prima volta al personaggio di Arianna, figura centrale della omonima opera di Monteverdi di cui ci è pervenuto solo il celebre Lamento. Il primo di questi Madrigali (Incenerite spoglie), dove una sola voce evoca l'anima perduta mentre le altre fanno coro con un carattere quasi strumentale - per l'atmosfera armonica, per il ritmo insistente, quasi duro, desta l'impressione d'una «sinfonia funebre», impressione che i madrigali seguenti prolungano. (D. de' Paoli). Nel secondo (Ditelo voi), Glauco, l'amante vedovo, chiama i fiumi a testimoni della sua «gelida pena»; nel terzo (Darà la notte il sol) la immutabilità delle leggi della natura, per cui il sole non può splendere di notte, né la luna illuminare il giorno, viene posta a simbolo della costanza del suo duolo; nel quarto madrigale (Ma te raccoglie) sono ancora i lamenti di Glauco che vengono contrapposti alla pace in cui la Ninfa amata gode nel grembo del cielo; nel quinto (O chiome d'oro) si evocano le sue gentili sembianze mentre nell'ultimo la natura tutta viene invocata a testimone dell'angoscia dell'amante desolato. In ogni caso la qualità della musica di Monteverdi supera di gran lunga l'aulico petrarchismo dei testi e si eleva alle altezze della più pura e decantata poesia.
Roman Vlad