Ohimé il bel viso, SV 112

a 5 voci col basso continuo

Musica: Claudio Monteverdi (1567 - 1643)
Testo: Francesco Petrarca
Organico: 2 soprani, contralto, tenore, basso, basso continuo
Edizione: in Il Sesto Libro de Madrigali, Ricciardo Amadino, Venezia, 1614
Guida all'ascolto (nota 1)

Pur avendolo dato alle stampe a Venezia nel 1614, Monteverdi lavorò al Sesto libro de madrigali già dal 1610, a Mantova. Ciò è sicuro soprattutto per i suoi due cicli interni: Il Lamento di Arianna in versione polifonica e la Sestina in memoria del Martinelli. Anche qui dunque abbiamo un libro di madrigali all'interno del quale sono state organizzate sezioni che hanno un rapporto particolare con il teatro musicale, in questo caso inverso a quello dell'Ottavo Libro. Se in quest'ultimo il Combattimento era più teatro che madrigale, nel Lamento di Arianna abbiamo un brano teatrale trasformato in madrigale. La tragedia in musica Arianna era stata composta da Monteverdi per i Gonzaga nel 1608. La trama è quella nota che vede la protagonista abbandonata da Teseo dopo l'uccisione del minotauro. Il suo lamento a seguito della partenza dell'eroe era diventato all'epoca subito celebre. La trasposizione polifonica è in parte legata a questa celebrità. Ma non è solo questo il motivo. La resa monodica e polifonica del personaggio all'interno del madrigale sembra azzerare le barriere tra scena e gruppo vocale, coinvolgere il pubblico cantore nella tragedia di lei, Arianna che emerge e affonda nel flusso musicale d'insieme come se la battaglia tra la protagonista e il suo dolore vedesse vittoriosi prima l'una e poi l'altro alternativamente e senza sosta. Dunque un'altra sperimentazione dove il madrigale sembra riuscire più teatrale del teatro stesso.

In generale gli altri madrigali del Sesto Libro hanno un'articolazione formale più regolare e strofica, forse anche per il fatto che i sonetti sono quasi la maggior parte (7 su 10). Monteverdi non disdegna di tornare a combinazioni di evidente stroficità se questo è richiesto dall'ispirazione datagli dal testo poetico. Le creazioni del Marino cominciano ad essere in questa raccolta molto frequenti; saranno poi frequentissime nel Settimo Libro per poi scemare. La scelta del sonetto, che possiede una struttura logica molto regolare, permette al compositore di dedicarsi alla miniatura, cosa possibile solo in un quadro ben organizzato che non faccia perdere di vista l'insieme.

Si propone una breve lettura di Ohimè il bel viso per sottolineare come Monteverdi lavori mettendo la poesia a fondamento della composizione. In questo sonetto l'esaltazione del testo si ottiene tramite una sapiente suddivisione del suo contenuto in sezioni, che diventano parti musicali differenziate. Ma l'arte di Monteverdi mira al contempo a un'architettura coerente e fa trascolorare le sezioni le une nelle altre, come vari stati d'animo, proprio perché non perde mai di vista, come si diceva, una visione d'insieme. Così la prima quartina e parte della seconda, in cui il poeta si addolora per la perdita del viso di Laura, vede il testo affidato alle voci maschili, mentre le voci acute intessono, sopra di loro, dolci 'ohimè'. Ma tutto cambia nelle parte successiva. Il poeta si dichiara ancora innamorato nonostante l'assenza della donna, e della speranza d'amore che lo colse non rimangono che parole portate via dal vento. Monteverdi dà a queste ultime parti veste esclamativa o interrogativa, distribuendo silenzi e pause; nel verso finale "ma 'l vento ne portava le parole" i valori ritmici aumentano come il gonfiarsi e lo svanire di una folata. Eppure il tutto, sempre, sembra appartenere a un'anima sola, a una voce sola dalle molte sfumature.

Simone Ciolfi

Testo

Ohimè il bel viso

Ohimè il bel viso, ohimè 'l soave sguardo
Ohimè 'l leggiadro portamento altero
Ohimè 'l parlar ch'ogn'aspro ingegno e fero
faceva humile, ed ogni uom vil gagliardo.

Et ohimè il dolce riso onde usci 'l dardo
di che morte, altro ben già mai non spero:
Alma real, dignissima d'impero,
se non fosse tra noi scesa si tardo.

Per voi convien ch 'io arda e 'n voi respiro,
ch 'io pur fui vostro et se dì voi son privo
via men d'ogni sventura altra mi duole.

Di speranza m'empieste e di desìo
quand 'io partii dal sommo piacer vivo;
ma 'l vento ne portava le parole.

(Libro sesto dei Madrigali)
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Palazzo Pamphilj, 14 maggio 2006


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Ultimo aggiornamento 4 dicembre 2015